Giuseppe Giacosa
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Giuseppe Giacosa (Colleretto Parella, Torino, 21 ottobre 1847 - ivi 1 settembre 1906) fu il più importante commediografo dell'età umbertina.
Dopo essersi messo in luce con drammi come La partita a scacchi (1871) e Il marito amante della moglie (1871) impacciati dall'ambientazione storica (un medioevo romanzesco e retorico nella prima, un Settecento alquanto manierato nell'altra), Giacosa, influenzato dal naturalismo e dalla commedia francese, si accosta al dramma di ambiente borghese. In Tristi amori (1887), I diritti dell'anima (1894), Come le foglie (1900), Il più forte (1904), non senza ritornare all'ambientazione storica e a toni tardoromantici con La signora di Challant (1891), si fa interprete dell'inquietudine e del disagio morale del mondo borghese, indagandolo nei toni dimessi e misurati di una rappresentazione che fa emergere il dramma, in modo apparentemente banale, dai particolari della minuziosa descrizione ambientale.
L'attività di librettista di Giacosa si limita all'adattamento della Partita a Scacchi per Pietro Abbà-Cornaglia e alla collaborazione con Luigi Illica per le tre opere che Giacomo Puccini compose tra il 1893 e il 1904: La Bohème, Tosca e Madama Butterfly.
A Giacosa è riservata l'elaborazione dei momenti propriamente lirici nell'ambito dello sviluppo drammatico dell'opera, e la versificazione della trama predisposta da Illica, certamente più smaliziato quanto a conoscenza dei meccanismi peculiari del teatro musicale. Non c'è dubbio che la sua inclinazione per un intimismo naturalista largamente tradotto in analisi psicologica e in particolare la sua sensibilità nei confronti delle figure femminili gli rendano congeniale il mondo creativo di Puccini.
Non stupisce, del resto, che si senta a proprio agio con La Bohème e provi al contrario fastidio per "un dramma di grossi fatti emozionali, senza poesia" (Gara, p. 151) come Tosca, che giudica inadatto alla musica. Giacosa è un preciso punto di riferimento per Puccini e Illica durante la complicata gestazione di un libretto: il suo prestigio ed il suo buon carattere devono spesso intervenire a comporre i dissidi tra i più giovani ed impulsivi collaboratori (Puccini lo chiama scherzosamente "Buddha" per il suo equilibrio oltre che per la figura corpulenta).
Ciò nonostante lo stesso Giacosa giunge in più di un'occasione a minacciare la rinuncia al proprio incarico, infastidito per le continue richieste di rifacimenti, per le scadenze di cui gli si sollecita il rispetto e soprattutto per il fatto di dover trascurare il proprio lavoro di drammaturgo in favore di un'attività nella quale le sue capacita di letterato sono subordinate alle necessità pratiche del teatro di musica: il 2 ottobre 1893 scrive a Giulio Ricordi:
- Voi mi dite di saper compatire alle lentezze del lavoro d'arte. Ma il guaio è che quello che vo facendo intorno a quel libretto non è lavoro d'arte, ma di pedanteria minuziosa, indispensabile e faticosissima. È lavoro che va fatto assolutamente, è lavoro che richiede un artista, ma è lavoro senza stimoli e senza calore interno. Il lavoro d'arte ha le sue ore penose e laboriose, ma in compenso ha le sue ore di getto nelle quali la mano è lenta a seguire il pensiero. Qui nulla che sollevi lo spirito. Vi assicuro che a tale impresa, a volerla condurre con coscienza, non mi ci metterei più, per nessunissimo prezzo» (da Gara, op.cit., pp. 88-89).
La morte di Giacosa pone fine a una felice stagione creativa, basata sui precisi equilibri di una collaborazione che non sarà possibile ricreare: senza di lui, la collaborazione tra Puccini e Illica si rivelerà impossibile. E quest'ultimo, che di Giacosa riconobbe sempre l'indiscutibile statura di artista, non accetterà in seguito di essere affiancato da altri letterati.
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