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Fra Dolcino

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Fra Dolcino (o Dolcino da Novara) è stato un personaggio vissuto in clandestinità all'inizio del XIV secolo sulle montagne fra la Valsesia e la Valséssera; accusato dalla Chiesa di eresia, fu - per i cronisti dell'epoca - un vero e proprio condottiero capace di radunare attorno a sé un gruppo cospicuo di popolani (che prenderanno il nome di dolciniani) assieme ai quali portare avanti una (vana) battaglia contro il feudalesimo.

Erede della dottrina francescana del predicatore Gherardo Segarelli, Dolcino - originario probabilmente dell'alto novarese - influenzato dalle dottrine millenaristiche di Gioacchino da Fiore annunciò, come predicatore, l'approssimarsi della fine dei tempi e la discesa dello Spirito sugli apostoli. Papa Clemente V mosse contro di lui una crociata.

Dopo un lungo assedio sui monti del biellese - dove Dolcino si era trasferito assieme ai suoi fedeli, capeggiati da Margherita di Trento e Longino di Bergamo - i dolciniani furono sconfitti ed annientati; alcuni furono uccisi subito, altri catturati e poi giustiziati; Fra Dolcino venne processato e condannato a morte, per essere giustiziato nell'estate del 1307[1].

Indice

[modifica] Chi era Fra Dolcino

Il luogo di nascita di Davide Tornielli - questo è il nome tradizionalmente tramandato del futuro Fra Dolcino - rimane sconosciuto, ma si suppone fosse nell'alto novarese, la famiglia Tornielli è infatti originaria di Romagnano Sesia. Una torre presente nel territorio di Trontano, in Ossola, porta il suo nome. Probabilmente qui nacque dall'unione di una donna del posto con un prete, forse parroco di Prato Sesia. Tuttavia la sua nascita è velata di mistero.

Era sicuramente una persona istruita, cresciuta nella conoscenza delle Sacre Scritture, così come avveniva secondo i criteri culturali del tempo. Espresse le sue idee in una serie di lettere agli Apostolici, lettere permeate da premonizioni millenaristiche sulla falsariga di quelle di Gioacchino da Fiore e citazioni dell' Apocalisse di Giovanni; si ritiene comunque che fosse un personaggio dotato di grande fascino e comunicativa.

Le sue esortazioni per un ritorno alle origini apostoliche (con riferimenti chiliastici al millenarismo, all'età dello Spirito, ecc.) in attesa di un imminente tempo finale in cui si sarebbe ristabilito finalmente l'ordine e la pace dopo le degenerazioni che la Chiesa del tempo aveva - a parere di Dolcino - sempre più perpetrato, lo portarono, come altri eretici meno noti, a moltiplicare il seguito di "eletti" che con lui si "sarebbero salvati dal peccato di un secolo particolarmente corrotto".

[modifica] La setta degli "Apostolici"

La rigorosa coerenza nell'essere sempre aderente con l'azione da lui predicata, in tempi in cui questo esercizio - stando a quanto racconta la storia - era disatteso in primis proprio dai grandi prelati, fece sì che il seguito che raccolse Gherardo Segarelli durante l'incessante peregrinare in alta Italia (ben presto tramutatosi in vera e propria fuga dalle autorità) aumentasse giorno dopo giorno.

Come sempre avveniva in casi simili, molti - avvinti dalla sincerità e coerenza del predicatore di passaggio - decidevano di seguirlo, finendo anche per vendere ciò che possedeva per versare il ricavato nelle casse del trascinatore.

La chiesa Cattolica preoccupata dalla crescita incontrollata del movimento, inizio le pratiche di eresia nel 1290 e infine nel 1300 condannò il Segarelli ed alcuni apostolici al rogo. Il resto del movimento si disperse e Dolcino, membro della setta dal 1291, si rifugiò in Dalmazia dove scrisse la prima delle sue lettere agli Apostolici in cui introduceva per la prima volta la sua teoria sulle 4 epoche della storia della Chiesa Cattolica basate sulle teorie di Gioacchino da Fiore.

Nel 1303 in Trentino, Dolcino chiamo a raccolta gli apostolici e qui conobbe - a quanto si sa - una giovine di bellissimo aspetto di nome Margherita Boninsegna e questa lo seguì immediatamente; sarà al suo fianco fino alla cattura, tortura e morte sul rogo. La seconda lettera agli apostolici in cui la loro dottrina viene ulteriormente descritta è di questo periodo e viene attribuita proprio a Margherita. Braccio destro e luogotenente di Fra Dolcino fu invece un certo Longino da Bergamo; anch'egli morirà con Margherita arso vivo sulle rive del Torrente Cervo, il corso d'acqua che scorre vicino a Biella.

L'inquisizione decise subito di occuparsi di loro e in quell'anno 3 Apostolici (due uomini e una donna) furono arsi vivi in Trentino. Dolcino decise di passare al contrattacco e si trasferì con i seguaci più fedeli nella natia Valsesia. In questa regione era in atto una rivolta contro lo stato feudale ed i dolciniani ebbero buon gioco nell'allearsi con i rivoltosi e al loro arrivo nel 1304 i dolciniani furono accolti entusiasticamente.

[modifica] La Lega e la Crociata

I vescovi di Novara e Vercelli e i feudatari locali iniziarono immediatamente a perseguitarli e i dolciniani furono costretti a rifugiarsi nell'alta Valsesia invitati da un contadino del luogo.

Scorribande improvvise e sortite notturne nelle campagne della Valsesia permisero un misero sostentamento ai fuggiaschi, verso i quali crebbe però l'ostilità dei valligiani depredati. Un rigido inverno contribuì a ridurre ulteriormente le forze e le riserve alimentari.

Per porre termine a tutto ciò, con lo "Statutum Ligae contra Haereticos" (statuto di Scopello) redatto il 24 agosto 1305 e firmato da quasi tutti i paesi della valle, i valligiani decisero di costituire una lega per combatterli e il 3 settembre dello stesso anno, numerosi rappresentanti delle genti delle tre principali valli valsesiane, riuniti nella "Ecclesia Sancti Bartholomaei" di Scopa (VC), giurarono sui Vangeli di scendere in armi contro i dolciniani fino al loro totale sterminio.

La setta eretica detta degli apostolici guidata da Dolcino arriverà a contare, al massimo della sua espansione, tra i 5.000 ed i 10.000 aderenti anche se questi numeri vengono considerati esagerazioni di alcuni autori, per fare un confronto la città di Novara, le cui truppe combatterono i dolciniani contava al tempo circa 5000 abitanti, e l'alta Valsesia contava al tempo meno di 500 abitanti.

Fu proprio l'Inquisizione ad esagere grandemente le dimensioni dei dolciniani per giustificare il loro fallimento e far giungere rinforzi da altre regioni. Si era nel pontificato della cosiddetta cattività avignonese e Papa Clemente V - che con Filippo il Bello si occuperà obtorto collo dell'eliminazione dell'Ordine del Tempio e dell'incameramento delle ricche tenute templari - ordinò nel 1306 una vera e propria crociata conto gli "apostolici".

Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati. Dolcino ed il suo seguito, con donne e bambini, si difenderà tuttavia strenuamente dando filo da torcere alle truppe pontificie capitanate direttamente dal vescovo di Vercelli Raniero.

Nella settimana Santa (23 marzo) del 1307 le truppe di Raniero riuscirono a penetrare nel fortilizio fatto costruire da Dolcino sul Monte Rubello, vicino a Biella (dove ancora resistevano disperatamente gli ultimi superstiti del gruppo ormai falcidiato). Lo spettacolo che si presentò era drammatico: gli assediati, per sopravvivere avevano dovuto cibarsi dei resti dei loro compagni deceduti.

Tutti vennero immediatamente passati per le armi eccetto Dolcino, Longino e Margherita. Quello che si svolge successivamente viene definito dagli storici un processo-farsa: Longino e Margherita furono giudicati in brevissimo tempo e bruciati vivi. Dolcino venne obbligato ad assistere allo spettacolo. "Darà - come dice un cronista anonimo del tempo - continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero".

Solo a luglio si procederà all'esecuzione anche del capo degli eretici.

[modifica] Scempio del suo corpo

A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino fu sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo - che assistette alla scena - scrisse che "mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito". Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo.

[modifica] Dolcino nell'interpretazione postuma

[modifica] Nelle parole di Dante

Dante Alighieri ricorda nell'Inferno l'episodio della resa di Dolcino, al canto XXVIII, versi 55-60. Siamo tra gli scismatici e seminatori di discordie e parla a Dante nientemeno che Maometto:

Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S’egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Sì di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch’altrimenti acquistar non saria a lieve.

[modifica] Il mito di Dolcino

Il mito di Dolcino ha resistito con il passare dei secoli.

Nel 1907 per il seicentesimo anniversario della morte, alla presenza una folla di diecimila persone riunitesi sui luoghi dell'ultima battaglia, un obelisco alto dodici metri fu eretto in memoria dei dolciniani. Nel 1927, in inizio dell'era fascista, l'obelisco fu abbattuto a cannonate[2].

Sarebbero dovuti passare quasi cinquant'anni perché, nel 1974, un monumento più piccolo fosse posto nello stesso punto. Da allora ogni anno, nella seconda domenica di settembre, viene organizzato un convegno dolciniano.

Nel 1980 il personaggio di Dolcino fu inserito da Umberto Eco nella trama del suo celebre romanzo Il nome della rosa.

Il settecentesimo anniversario della morte di fra Dolcino ha compreso, tra la fine del 2005 e l'inizio del 2007, molte manifestazioni in suo ricordo.

[modifica] Note

  1. Approfondimento sul sito del Centro studi Dolciniani
  2. L'episodio è ricordato anche nelle note introduttive del poema La fenice libertaria di Luigi Tribaudino.

[modifica] Collegamenti esterni

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