Cristallizzatore
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Un cristallizzatore è un'apparecchiatura in grado di ottenere cristalli mediante un processo unitario (detto cristallizzazione) nel corso del quale un composto disciolto in un solvente precipita in modo controllato, risultando alla fine separabile dal solvente stesso.
La cristallizzazione, che di fatto è un caso particolare di precipitazione si distingue da questa in quanto si ottiene per variazione delle condizioni di solubilità e non per reazione chimica o, quanto meno, non esclusivamente come conseguenza della reazione chimica.
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[modifica] Storia
La cristallizzazione è uno dei processi unitari più antichi. L'uomo preistorico presumibilmente usava il cloruro di sodio lasciato negli anfratti degli scogli marini dalle onde e dall'evaporazione solare: di fatto, sfruttava un processo di cristallizzazione evaporativa ancora oggi usato nelle saline.
In seguito si sono affermati altri processi di cristallizzazione: si pensi ad esempio all'industria del saccarosio (il cristallo prodotto in maggiore quantità al mondo, seguito dal sale), o alla preparazione di pigmenti in polvere, già in epoche remote, a volte ottenuti per cristallizzazione da soluzioni.
In epoca moderna, lo sviluppo dell'industria chimica ha portato all'evoluzione del processo di cristallizzazione, applicato ormai a numerosi prodotti di uso comune. Sono ottenuti per cristallizzazione, con processi vari, prodotti di larghissimo uso quali il sale da cucina, lo zucchero, il solfato di sodio e molti altri.
Di pari passo con la realizzazione di nuovi processi è progredita la tecnologia dei cristallizzatori. Da semplici serbatoi nei quali, per raffreddamento o per evaporazione o per variazione di pH si otteneva il cristallo, si è giunti a macchine continue che garantiscono grande uniformità nelle caratteristiche dei prodotti. I primi cristallizzatori moderni sono stati probabilmente i modelli calandria, ancor oggi usato nell'industria dello zucchero e Oslo, che prende il nome dalla capitale Norvegese, essendo stato sviluppato per la produzione, in climi non adatti alle saline solari, di sale alimentare, di largo impiego in Norvegia nell'industria dello stoccafisso. L'Oslo è stato probabilmente il primo cristallizzatore industriale concepito espressamente per il controllo della granulometria del prodotto.
[modifica] Dinamica della cristallizzazione
Come illustrato nella parte fisica, il cristallo si forma seguendo una struttura ben definita, e determinata da forze che agiscono a livello molecolare. Ne consegue che il cristallo, nel processo di formazione, deve passare attraverso una certa concentrazione critica di soluto prima di cambiare stato. La formazione del solido, che è impossibile al di sotto della solubilità alle condizioni di temperatura e pressione esistenti, può allora avvenire ad una concentrazione maggiore di quella teorica di solubilità. La differenza tra il valore reale di inizio cristallizzazione e il valore teorico di solubilità è detta sovrasaturazione, ed è un fattore fondamentale nella dinamica di crescita del cristallo.
Una volta che si è formato il primo cristallino, detto "nucleo", questo agisce come punto di aggregazione delle molecole instabili (a causa della sovrasaturazione) di solvente che entrano in contatto con lui (o gli passano vicino), e quindi il cristallo si ingrandisce per strati successivi, un po' come una cipolla (vedi figura: ogni colore mostra la stessa massa di soluto, che realizza spessori decrescenti a causa dell'aumento di superfice del cristallo). La quantità di soluto sovrasaturo che il nucleo riesce a catturare nell'unità di tempo, detta growth rate ed espressa in kg/(m2*h), è un valore specifico del processo, in quanto dipende da numerose caratteristiche fisiche, quali la tensione superficiale della soluzione, pressione, temperatura, velocità relativa del cristallo nella soluzione, eccetera.
Si comprende quindi che i fattori importanti da considerare sono:
- valore della sovrasaturazione, in quanto indice della quantità di prodotto disponibile all'accrescimento del cristallo;
- quantità di superficie di cristallo presente nell'unità di massa fluida, in quanto indice della capacità di fissare nuove molecole sulla superficie dello stesso;
- tempo di stazionamento, in quanto indice della probabilità che una molecola di soluto entri in contatto con la superficie del cristallo;
- regime idraulico, in quanto indice della probabilità che la molecola di soluto venga fissata al cristallo (maggiore in regime laminare, minore in regime turbolento, ma la relazione è inversa relativamente alla probabilità di contatto).
Mentre il primo valore dipende più dalle caratteristiche fisiche della soluzione, ed è quindi difficile da gestire, gli altri fanno la differenza tra un buon cristallizzatore ed uno cattivo.
[modifica] Classificazione dei processi di cristallizzazione
Poiché i fattori che influenzano la solubilità sono soprattutto concentrazione e temperatura, si possono distinguere due famiglie di cristallizzatori:
- i cristallizzatori raffreddanti
- i cristallizzatori evaporativi
essendo però chiaro che la distinzione non è così netta, in quanto esistono degli ibridi, nei quali il raffreddamento avviene per evaporazione, e quindi con contemporanea concentrazione della soluzione.
[modifica] Cristallizzatori per raffreddamento
[modifica] Applicazione
La grande maggioranza dei composti chimici, uniti in soluzione alla grande maggioranza dei solventi hanno caratteristiche di solubilità cosiddetta diretta, ossia il valore di solubilità cresce al crescere della temperatura.
È quindi evidente che, se le condizioni lo consentono, raffreddando la soluzione ho formazione di cristallo, col vantaggio aggiuntivo di ottenere una concentrazione residua inferiore. Ovviamente il concetto di raffreddamento è relativo: negli acciai si ottengono cristalli di austenite a temperature ben oltre i 1000 °C. Questo tipo di processo è impiegato, ad esempio, nella cristallizzazione del sale di Glauber. Si osservi nella figura, che mostra in ascisse le temperature, e in ordinate il valore di solubilità in percentuale in peso, come la solubilità del solfato diminuisca rapidamente al di sotto dei 32.5 °C. Se ho ad esempio una soluzione satura a 30 °C, e la raffreddo a 0 °C (cosa possibile grazie all'abbassamento crioscopico), ottengo la precipitazione della quantità di solfato che compete alla riduzione della solubilità dal 29 % al 4.5 % circa (in realtà un po' di più, poiché il solfato, precipitando in forma decaidrata, sottrae acqua, cioè solvente, alla massa, aumentando così la propria concentrazione).
I limiti di impiego dei cristallizzatori per raffreddamento stanno nei seguenti aspetti:
- a bassa temperatura, molti composti precipitano in forma idrata: ciò è accettabile nel caso del sale di Glauber, ma in altri casi può essere indesiderato, ad esempio perché l'acqua di cristallizzazione necessaria alla forma stabile è più di quella disponibile nella soluzione, causando la formazione di un blocco unico (caso ad esempio del cloruro di calcio);
- poiché la cristallizzazione avviene per raffreddamento, si ha la massima sovrasaturazione nei punti più freddi. Questi, nella maggioranza dei casi, sono i tubi dello scambiatore di calore che quindi diventano sensibili al deposito di cristalli, con conseguente riduzione o cessazione dello scambio termico;
- al diminuire della temperatura, in genere aumenta la viscosità delle soluzioni. Una viscosità alta, oltre a dare problemi di pompaggio, può disturbare il processo di cristallizzazione a causa del regime laminare che genera.
- e, soprattutto, non è applicabile ai composti che hanno caratteristica di solubilità inversa, per i quali cioè la solubilità decresce al crescere della temperatura (si veda in figura l'andamento oltre la temperatura di transizione di 32,5 °C).
[modifica] Costruzione
I più semplici cristallizzatori per raffreddamento sono dei serbatoi, agitati, in cui si ottiene un abbassamento della temperatura per scambio termico con un fluido intermedio freddo che circola nella camicia. Macchine così semplici sono impiegate nei processi discontinui, ad esempio nell'industria farmaceutica, ma sono soggette a frequente sporcamento delle superfici di scambio, e quindi a pulizie frequenti.
Una variante è costituita da serbatoi agitati, nei quali sono immersi tubi flessibili in materiale antiaderente (solitamente PTFE), all'interno dei quali circola una soluzione fredda. La circolazione del fluido causa lo sbattimento dei tubi ed il distacco dei cristalli che ad essi avessero aderito. Adatti a piccole installazioni, sono soggetti a frequenti rotture dei tubi.
Cristallizzatori di maggiore capacità sono in genere del tipo a circolazione forzata. In essi un organo di pompaggio (una pompa oppure un agitatore ad elica assiale consente di mantenere la torbida di cristalli in sospensione omogenea anche attraverso le eventuali superfici di scambio; variando la portata della pompa di fatto controllo il volume di contatto dei cristalli con la soluzione sovrasatura, e riesco ad ottenere velocità sulle superfici di scambio abbastanza alte da contrastare lo sporcamento.. Molti di questi cristallizzatori sono raffreddati per espansione: se ho un liquido alla temperatura T0 e lo inserisco in un ambiente ad una pressione P1 tale che la temperatura T1di saturazione del liquido a pressione P1 sia inferiore a T0, ecco che il liquido cederà calore per quanto compete alla differenza di temperatura, portandosi a temperatura T1 ed evaporando una quantità di solvente il cui calore latente sia uguale alla differenza entalpica tra le condizioni a T0 e T1. In parole povere, ho raffreddato la soluzione per evaporazione, ottenendo così anche una certa concentrazione della soluzione.
Un modello un po' particolare è il cosiddetto cristallizzatore Swenson-Walker, costituito da un serbatoio semicilindrico ad asse orizzontale, all'interno del quale ruota una coclea cava, o un pacco di dischi cavi, immersi per metà, in cui circola un fluido intermedio freddo. i cristalli si depositano sul fondo o aderiscono alla coclea; un raschiatore posto sopra il livello liquido stacca i cristalli aderenti che ricadono nel liquido.
Qualunque sia la forma del cristallizzatore, per tenere conto dei parametri sopra indicati, è importante controllare il tempo di ritenzione e la quantità di cristalli, in modo da ottenere le migliori condizioni di superficie specifica del cristallo, e quindi l'accrescimento più rapido. Ciò si ottiene realizzando una zona di separazione dei cristalli dalla massa liquida, solitamente per sedimentazione naturale. In genere i cristalli vengono riciclati nella massa liquida, mentre la soluzione chiarificata (ed esausta) viene estratta. Un caso tipico di applicazione è il cristallizzatore tipo DTB (Draft Tube and Baffle), ideato da Richard C. Bennett alla fine degli anni '50. (si narra anzi che il nome derivi da quello dell'inventore, detto Dick Bennett, ma nessuno ha mai trovato la ragione della T). Nel DTB (vedi figura) la circolazione è assicurata da un elica a flusso assiale (in giallo) intubata che spinge verso l'alto, mentre all'esterno del cristallizzatore vero e proprio vi è una corona circolare in cui la soluzione esausta risale a bassa velocità, consentendo la sedimentazione dei cristalli, che vengono risucchiati dal flusso discendente. Si ottiene così un controllo quasi perfetto di tutti i parametri della cristallizzazione.
[modifica] Cristallizzatori evaporativi
L'altra possibilità è di sfruttare, a temperatura più o meno costante, la precipitazione dei cristalli all'aumentare della concentrazione del soluto al di sopra del limite di solubilità. Per fare ciò devo rimuovere parte del solvente, e questo viene fatto per evaporazione.
La grande maggioranza dei cristallizzatori industriali funziona per via evaporativa. Ne sono esempio i cristallizzatori di cloruro di sodio e di saccarosio, che da soli costituiscono la metà della produzione annua di cristalli nel mondo. Il modello più utilizzato è certamente quello a circolazione forzata (vedi evaporatore).
Le considerazioni sul controllo dei parametri valgono anche per la cristallizzazione evaporativa.