Bernardo Provenzano
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Bernardo Provenzano (Corleone, 31 gennaio 1933) detto Binnu u tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici) e Zu Binu è ritenuto uno dei capi della mafia siciliana o Cosa nostra. Arrestato l'11 aprile 2006, Provenzano era ricercato sin dal 9 maggio 1963, con una latitanza record di oltre quarant'anni.
In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti in corso.
[modifica] Biografia
[modifica] Le origini e gli inizi
Appartenente inizialmente alla cosca mafiosa di Luciano Liggio insieme a Totò Riina commise i suoi primi omicidi negli anni sessanta nel corso della prima guerra di mafia palermitana contro i Navarra. Descritto come terribile killer sanguinario.
Liggio diceva di lui: «Spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina», una definizione che Provenzano smentirà con il passare degli anni.
[modifica] La latitanza
Il 18 settembre 1963 dopo essere stato denunciato per una strage ordinata da Luciano Liggio (capo corleonese) ai danni di Michele Navarra (ormai ex capo), Bernardo Provenzano fa perdere le sue tracce.
Quattro sicari fra i più temuti - Giuseppe Ruffino, Calogero Bagarella, Giovanni Provenzano e lo stesso Bernardo la mattina del 9 maggio avevano teso un agguato ed eliminato tre esponenti del clan Navarra: Francesco Streva, Biagio Pomilla, e Antonino Piraino. Lasciano mezzo morto a faccia in giù Francesco Paolo Streva. Si dice che in quell'occasione 'u tratturi' dimostrasse ferocia e sangue freddo, giustiziando le vittime dopo aver loro sparato alle gambe. Del boss resteranno per quarant'anni solo delle brevi registrazioni vocali (in seguito misteriosamente scomparse dal tribunale di Agrigento) e una foto segnaletica scattata il 18 settembre 1959: il volto di un uomo sbarbato, elegante, con i capelli lucidi di brillantina.
Il 10 dicembre del 1969 si sente ancora parlare di lui. Cinque uomini con la divisa da poliziotti entrano in una palazzina per eliminare Michele Cavataio detto "Il Cobra". Bernardo Provenzano, fra questi elimina tutti facendo fuoco all'impazzata con un moschetto automatico Beretta 38/A.
All'inizio degli anni '80 approda ai vertici di Cosa nostra avendo come strategia per lo sviluppo degli affari mafiosi quella dell'infiltrazione nelle istituzioni anziché lo scontro frontale con lo Stato italiano. Si oppose infatti a Riina per gli omicidi di Falcone e Borsellino, ma lasciò fare e attese la risposta dello Stato e l'eliminazione di Leoluca Bagarella prima di diventare il nuovo capo di Cosanostra e cambiare radicalmente il modo d'agire tipico della mafia corleonese.
Provenzano applicò la mediazione, che ha consentito alla Mafia di rimanere quasi invisibile per più di un decennio. Si considerava un ministro investito dall'alto, alla maniera dei vecchi padrini. In questo sta la differenza con Riina: "Vi benedica il Signore e vi protegga... Sappia che là dove ti posso essere utile, con il volere di Dio, sono a tua completa disposizione..." conclude ogni lettera, come un padre che si indirizza alla sua famiglia. "Ma cosa fanno?", scrive a Giovanni Brusca, chiedendo notizie dei figli di Totò Riina: "Chiedi da parte mia se potessero cercare di evitare cose sgradevoli. Fammi sapere se fanno di male e se è vero quello che sento di loro. Salva il salvabile, è una mia preghiera".
Si ritiene che Provenzano sia stato, fino al momento del suo arresto, a capo della "Commissione", organismo regionale di Cosa nostra avente competenza su tutto il territorio. Succeduto a Totò Riina nella gestione di Cosa Nostra, introdusse un sistema di 'welfare' redistributivo nell'amministrazione dei proventi delle cosche, organizzandole in mandamenti molto ampi e abolendo di fatto la necessità di una cupola. Da notare l'uso da parte di Provenzano di "pizzini" termine siciliano per brevi appunti o bigliettini di carta, utilizzati per comunicare gli ordini ai picciotti poiché ritenuti dal boss più sicuri delle comunicazioni con mezzi tecnologici.
La sua presenza è stata segnalata nell'ottobre del 2003 nella clinica francese la clinique Casamance a Aubagne (vicino Marsiglia), dove si era sottoposto ad un intervento chirurgico alla prostata, tramite l'ausilio del prestanome Gaspare Troia. Probabilmente è stato accompagnato dall' urologo italiano Attilio Manca, che è stato trovato morto piu tardi a Viterbo, per una overdose misteriosa.
[modifica] L'arresto
Il boss fu catturato in località Montagna dei Cavalli a Corleone nella mattinata dell'11 aprile 2006 in un casolare di campagna (risultato poi parzialmente abusivo [1]), dopo 43 anni di latitanza: due settimane prima del ritrovamento il suo avvocato Salvatore Traina aveva sostenuto che Provenzano era morto da anni.
A tradirlo sembra essere stato l'ultimo pizzino, scambiato con la moglie la mattina stessa dell'arresto: da quello gli investigatori sono risaliti all'abitazione nella quale il boss si rifugiava e trascorreva le sue giornate, leggendo un volume di medicina illustrata e mangiando i latticini che egli stesso produceva. Altra versione è quella de "La Stampa", che, citando fonti di polizia, racconta che sono stati seguiti i pacchi della biancheria partiti da casa della moglie.
L'operazione che ha portato all'arresto è stata condotta dalla Polizia di Palermo insieme al Servizio Centrale Operativo (SCO) e alla Direzione Centrale Anticrimine (DAC).
Successivamente all'arresto, nel corso delle perquisizione nel casolare, sono stati rinvenuti all'interno di un edificio adiacente al covo del latitante dei volantini propagandistici per le elezioni politiche del 2006 raffiguranti il Presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, candidato al Senato per l'UDC, e Nicolò Nicolosi, sindaco di Corleone, anche lui candidato alle politiche per il Patto per la Sicilia.
Il giorno successivo all'arresto Provenzano è stato trasferito dal carcere palermitano dell'Ucciardone e messo in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Vocabolo Sabbione a Terni, sorvegliato costantemente da un sistema di videocamere. Nello stesso carcere sembrerebbe essere detenuto il figlio di Totò Riina, Giovanni.
Successivamente, il Gip del tribunale di Termini Imerese, Roberto Arnaldi, ha emesso una ordinanza di convalida del fermo e di custodia cautelare per i favoreggiatori del boss Bernardo Provenzano, arrestati in quanto accusati di essere stati i postini del capomafia: Giuseppe Salvatore, Calogero e Giuseppe Lo Bue e Bernardo Riina. "Una volta individuato in Giuseppe Lo Bue l'ultimo anello della catena ideale che legava Provenzano ai suoi familiari - scrivono gli investigatori nella loro relazione - si avviavano le indagini per individuare gli ulteriori passaggi. Il 4 marzo veniva individuato il tramite successivo a Giuseppe Lo Bue che era il padre, Calogero Lo Bue". Da questo momento gli agenti dello Sco e della Squadra mobile seguono i movimenti dell'uomo che poi conduce i poliziotti a Bernardo Riina, l'unico ad arrivare direttamente fino al covo del latitante. Calogero Lo Bue ha confessato al Gip di Termini Imerese di essersi messo a disposizione per aiutare "per poco tempo Provenzano", sostenendo che "il boss avrebbe presto lasciato il covo".
Il Consiglio Comunale di Corleone ha stabilito che l'11 aprile - data dell'arresto di Provenzano - diverrà una ricorrenza da festeggiare ogni anno.
[modifica] Curiosità
[modifica] Lo scoop mondiale
Lo scoop mondiale (come lo ha definito Enzo Biagi sul settimanale Oggi del 26 aprile 2006), relativo all'arresto di Provenzano, è stato del giornalista Lirio Abbate dell'ANSA di Palermo. Il cronista ha assistito alle fasi del blitz e le ha descritte in diretta sul notiziario dell'agenzia. Enzo Biagi a questo proposito scrive: "Ho voluto sapere il nome del cronista che per primo ha dato la notizia della cattura: per la cronaca, lo scoop mondiale l'ha fatto un giornalista dell'Ansa di Palermo, Lirio Abbate, con il quale credo che noi della categoria dobbiamo complimentarci".
[modifica] La pista decisiva
Le prime indagini, che poi hanno portato alla cattura del super-latitante, sono partite dall'osservazione di un sacchetto della spesa che veniva lasciato davanti alla casa della famiglia di Provenzano. Il sacchetto veniva poi preso da un signore che lo riponeva nel bagagliaio nella propria automobile. Con l'automobile andava poi a riempire presso una fontana le taniche d'acqua contenute nel sacchetto. Mentre il signore stava riempendo le taniche, arrivava un altro uomo in macchina che incominciava a riempire anche lui le proprie taniche contenute in un sacchetto. In una frazione di secondo poi le due taniche venivano scambiate ed i due signori, come se nulla fosse accaduto, se ne andavano via in macchina... Il problema poi è stato seguire i passaggi che faceva questo sacchetto, che impiegava anche mesi per arrivare a destinazione.. Gli indizi portavano ad una magione, che poi si scopirà essere quella di Provenzano. Vicino a questa casa, abitata da un contadino abitudinario, ce n'era un'altra molto più piccola, che ha insospettito il pool diretto dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Per esempio sopra il tetto di questa casa c'era un antenna della televisone, che, un giorno, il contadino è andato ad aggiustare, pur non entrandoci mai. Quindi è stata appostata una microtelecamera in un cespuglio di fronte alla casa. L'apogeo è stato quando il contadino, un giorno, si è diretto verso la casetta con del cibo ed è uscito senza. In breve è stato scelto di intervenire drasticamente e ne è seguita la cattura.
[modifica] Pizzini
[modifica] Film
Il 30 marzo 2006 è uscito nelle sale cinematografiche un film su Provenzano, Il fantasma di Corleone, un documentario-fiction che verrà messo in onda anche dalla RAI, seppur censurando i riferimenti a Marcello dell'Utri e Silvio Berlusconi [3].
[modifica] Bibliografia
- Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa Nostra di Ernesto Oliva e Salvo Palazzolo, Rubbettino Editore
[modifica] Altri progetti
- Articolo su Wikinotizie: Provenzano arrestato dalla Polizia
[modifica] Collegamenti esterni
[modifica] Note
- ^ Pizzino citato nel libro: Bernardo Provenzano. Il ragioniere di Cosa Nostra di Ernesto Oliva e Salvo Palazzolo.
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