Periodo costituzionale transitorio
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Nel diritto costituzionale italiano e nella storia della politica, con l'espressione periodo costituzionale transitorio si indica la fase storica compresa tra il 25 luglio 1943 e l'1 gennaio 1948, cioè il periodo compreso fra la caduta del fascismo e l'affermazione ed il completamento della forma repubblicana costituzionale. Questa fase, a sua volta, è ulteriormente suddivisa in sottofasi.
Indice |
[modifica] Soppressione dello Stato fascista
Di fronte all'evoluzione degli eventi bellici, che ormai prefiguravano una disfatta, ed alla conseguente perdita di consenso subita dal regime fascista, si creò all'interno del fascismo stesso una fronda. Il 25 luglio del 1943 fu quindi presentato da Grandi e approvato dal Gran consiglio del fascismo un ordine del giorno con il quale si chiedeva al Re Vittorio Emanuele III di assumere, "con l'effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell'aria", "quella suprema iniziativa di decisione" che lo Statuto gli riconosceva all'articolo 5. Il sovrano, come noto, accolse questo invito e, fatto arrestare Mussolini, nominò capo del Governo il generale Pietro Badoglio, il quale - annunciato che comunque la guerra sarebbe proseguita - procedette ad eliminare le sovrastrutture fasciste che si erano incrostate sull'ordinamento statutario (Tribunale speciale per la difesa dello Stato, Partito nazionale fascista ed enti collegati, Camera dei fasci e delle corporazioni), promettendo inoltre l'indizione di nuove elezioni entro quattro mesi dalla fine del conflitto, nonostante il mantenimento del divieto di istituzione di partiti politici.
[modifica] Delegittimazione del potere regio
In seguito all'armistizio di Cassibile, dell'8 settembre, (con conseguente dichiarazione di non belligeranza e denuncia dell'alleanza con la Germania nazista), il Re ed il Governo fuggirono da Roma (in cui erano massicciamente presenti forze tedesche) a Brindisi (già sotto il controllo degli angloamericani). Le forze armate furono lasciate allo sbando, e il Paese si trovò diviso in due: il Regno del sud, già liberato dagli alleati, formalmente sotto la sovranità sabauda, e la Repubblica Sociale Italiana, nelle regioni ancora occupate dai nazisti, formalmente guidata da Mussolini.
In punto di sovranità, il potere del monarca era venuto a mancare per la scissione del territorio nazionale in due enti statuali distinti, entrambi per motivi diversi sottratti alla regia potestas: se al Nord si trattava addirittura di una repubblica formalmente autocostituita, al Sud le condizioni dell'armistizio avevano privato il Re del potere statutario e della sovranità di fatto, per averle consegnate alle autorità alleate all'atto della resa. Di fronte a questa delegittimazione del potere regio, perciò, si affermarono come nuovi soggetti politici i partiti, ricostituitisi nonostante il formale mantenimento del divieto, e uniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): ne facevano parte il Partito comunista, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Democrazia del Lavoro, il Partito d'azione, la Democrazia cristiana e il Partito liberale, che formavano la cosiddetta esarchia).
Il CLN si affermò anche sulla scena internazionale, come soggetto complesso, plurimo, che si candidava all'egemonia politica nel Paese con il Congresso di Bari (28-29 gennaio 1944), in cui unanimemente i partiti chiesero l'abdicazione del Re nonché la composizione di un Governo con pieni poteri e con la partecipazione di tutti i sei partiti, per affrontare la guerra e «al fine di predisporre con garanzia di imparzialità e libertà la convocazione di una Assemblea costituente appena cessate le ostilità».
[modifica] Tregua istituzionale
Nel 1944 si ebbe quella lungamente attesa distensione nei rapporti tra l'Unione Sovietica ed il Governo Badoglio o, più realisticamente, l'intreccio di rapporti che legava la Russia agli Alleati, nell'ottica di Yalta, permise che fosse rivista la posizione ufficiale del Quirinale, sino ad allora di decisa chiusura a qualunque rapporto con i Russi e con i comunisti.
In seguito alle conseguenti forti pressioni di Togliatti, espresse nel congresso di Salerno del marzo 1944, si giunse ad un accordo tra il monarca ed il CLN, esplicitato in un proclama del Re ed in un ordine del giorno del CLN stesso: alla liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III avrebbe trasferito i suoi poteri, pur senza abdicare, al figlio Umberto, nominandolo luogotenente del Regno ed i partiti del CLN sarebbero entrati nei governi successivi; la questione istituzionale sarebbe stata affrontata al termine del conflitto.
[modifica] I governi del Comitato di liberazione
Il 4 giugno 1944, con l'ingresso delle truppe alleate, Roma fu liberata. Vittorio Emanuele III si ritirò a vita privata e nominò suo figlio Umberto II luogotenente, iniziando quindi in Egitto il suo esilio. Fu nominato un nuovo Governo, in cui entrarono tutti i partiti del Comitato di liberazione ed il cui Presidente del Consiglio fu Bonomi.
Il precedente accordo tra la Corona ed il CLN fu formalizzato nel decreto legislativo luogotenenziale 151/1944 (prima costituzione provvisoria), in cui si stabiliva che alla fine della guerra sarebbe stata convocata un'Assemblea costituente, per dare una Costituzione allo Stato e risolvere la questione istituzionale. I Ministri si sarebbero impegnati ad agire senza in nulla pregiudicare la risoluzione della questione istituzionale, mentre il Governo avrebbe esercitato, mediante decreti legislativi luogotenenziali, la potestà normativa primaria (sarebbe stato proprio uno di questi decreti, nel 1945, a riconoscere per la prima volta il diritto di voto alle donne).
[modifica] Normalizzazione nazionale verso l'Assemblea costituente
Dopo la liberazione di Roma, il nord Italia continuava ad essere controllato dai nazi-fascisti. In queste regioni le stesse funzioni che nel Regno del sud furono proprie del CLN vennero svolte dal Comitato di Liberazione Nazionale - Alta Italia (CLN-AI), che prendeva possesso delle zone man mano liberate e coordinava la lotta partigiana in quelle ancora occupate. Con la Liberazione (25 aprile 1945), l'intero territorio nazionale veniva ricondotto sotto l'autorità formale del Governo Bonomi e la sovranità formale della Corona di Savoia. Emersero anche i contrasti tra la linea più attendista del CLN e quella più riformista del CLN-AI (in cui trovavano rappresentanza le formazioni partigiane, piuttosto che i partiti), che portarono alla crisi del gabinetto Bonomi ed alla nomina a Presidente del Consiglio di Ferruccio Parri, comandante partigiano del Partito d'azione. Questo Governo, pur dilaniato da contrasti tra i partiti (vertenti soprattutto sulla questione elettorale), istituì un Ministero per la Costituente, con il compito di preparare i materiali giuridici e politici sui quali l'Assemblea avrebbe potuto lavorare, e convocò la Consulta Nazionale (organo consultivo, di nomina governativa, in cui si trovavano rappresentati tutti i partiti del CLN), già istituita da Bonomi ma mai resa operativa, attraverso la quale si intedeva dare una parvenza di legittimità rappresentativa alle istanze dei partiti del CLN.
[modifica] Democrazia costituente
Al termine del conflitto, raggiunto l'obiettivo comune del CLN, venne meno l'accordo unanime su cui si basavano i governi dell'esarchia. Il gabinetto Parri entrò in crisi con l'uscita del Partito liberale dall'accordo dei partiti (dal momento che non poteva misurarsi con una votazione l'effettivo peso politico di ciascuna forza, non poteva parlarsi di una caduta della maggioranza, sebbene l'autorevolezza del partito fosse tale da produrre effetti simili); gli sarebbe successo (10 dicembre 1945) il primo gabinetto de Gasperi.
Nel frattempo si fecero ancora più profonde le divisioni tra i partiti: mentre da un lato il Partito liberale avrebbe voluto sottolineare la continuità tra il nuovo Stato e lo Stato prefascista, contrastato in questo intento dai nuovi partiti di massa (soprattutto Partito comunista e Partito socialista d'unità proletaria, ma anche la Democrazia cristiana), d'altro lato le sinistre e i cattolici erano divisi sulle questioni elettorali, ed in particolare sull'opportunità del voto obbligatorio sanzionato, sulla contestualità delle elezioni per l'Assemblea costituente con quelle amministrative, sui poteri stessi dell'Assemblea costituente.
Un nuovo equilibrio fu registrato dalla seconda costituzione provvisoria, il decreto legislativo luogotenenziale 98/1946, in cui si stabiliva che la risoluzione della questione istituzionale sarebbe stata affidata ad un referendum, da svolgersi contestualmente all'elezione dell'Assemblea costituente. Quest'ultima, sarebbe stata composta da 555 deputati, eletti con il sistema proporzionale puro, ed il voto sarebbe stato obbligatorio, ma senza sanzioni per chi non si fosse recato alle urne. Circa i poteri e le funzioni dell'Assemblea costituente, questa, oltre ovviamente a redigere il testo costituzionale, avrebbe approvato la leggi elettorali ed autorizzato la ratifica dei trattati internazionali, mentre il Governo, che con essa avrebbe avuto un rapporto fiduciario, avrebbe potuto sottoporre alla sua attenzione tutti gli altri provvedimenti che avrebbe ritenuto opportuno.
La data delle elezioni fu fissata per il 2 giugno 1946. Si ebbe un'aspra campagna elettorale, durante la quale la tregua istituzionale fu rotta da Vittorio Emanuele III: il Re abdicò (9 maggio) in favore del figlio, che divenne quindi Umberto II Re d'Italia. A sorpresa, il governo accolse il nuovo sovrano sua sponte modificando la tradizionale formula che avrebbe usato negli atti, sopprimendo quella locuzione "per Grazia di Dio e per volontà della Nazione" che seguiva il titolo "Re d'Italia".
Il referendum istituzionale sancì la vittoria della repubblica (12.717.923 di voti, contro i 10.719.284 della monarchia), mentre i suffragi per l'Assemblea costituente delinearono una netta affermazione dei partiti di massa (Democrazia cristiana, Partito socialista d'unità proletaria e Partito comunista) e una forte contrazione dei partiti d'opinione.
Successivamente, come riflesso della divisione degli alleati in due blocchi contrapposti, si creò una contrapposizione anche nella politica nazionale tra sinistre e centrodestra, che sfociò nel quarto gabinetto de Gasperi (31 maggio 1947) con il quale, con l'uscita dei socialisti e dei comunisti, si pose fine all'unità nazionale: iniziava il così detto "centrismo", con il predominio politico della Democrazia cristiana e l'affermazione della così detta conventio ad excludendum, estesa prima a tutte le sinistre, e successivamente limitata ai soli comunisti.
[modifica] Governi dal 1943 al 1946
- Governo Badoglio I
- Dal 25 luglio 1943 al 17 aprile 1944
- Presidente del Consiglio dei Ministri: Pietro Badoglio
- Composizione del governo: Governo tecnico/militare
- Governo Bonomi II
- Dal 18 giugno 1944 al 10 dicembre 1944
- Presidente del Consiglio dei Ministri: Ivanoe Bonomi (PDL)
- Composizione del governo: DC, PCI, PSIUP, PLI, PdA, PDL
- Governo Bonomi III
- Dal 12 dicembre 1944 al 19 giugno 1945
- Presidente del Consiglio dei Ministri: Ivanoe Bonomi (PDL)
- Composizione del governo: DC, PCI, PLI, PDL
- Governo Parri
- Dal 20 giugno 1945 al 24 novembre 1945
- Presidente del Consiglio dei Ministri Ferruccio Parri (PdA)
- Composizione del governo: DC, PCI, PSIUP, PLI, PdA, PDL
- Governo De Gasperi I
- dal 10 dicembre 1945 al 1 luglio 1946
- Presidente del Consiglio dei Ministri: Alcide De Gasperi (DC)
- Composizione del governo: DC, PCI, PSIUP, PLI, PdA, PDL
Per i governi in carica nel periodo da luglio 1946 a maggio 1948 si veda Assemblea Costituente.