Lex Canuleia
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La Legge Canuleia (in latino Lex Canuleia de Conubio Patrum et Plebis) è una legge proposta dal tribuno Gaio Canuleio nel 445 a.C. con la quale venne abolito il divieto di nozze tra patrizi e plebei, risalente alle tradizioni dell'epoca arcaica di Roma e codificato dalle Leggi delle XII tavole da pochi anni (450 a.C.) entrate in vigore.
[modifica] Situazione
Essendo consoli Marco Genucio Augurino e Gaio Curzio Filone un altro filone di acceso dibattito politico scoppiò a Roma fra l'ordine Patrizio e l'Ordine Plebeo.
Da anni veniva ripresentata quasi con testardaggine la Lex Terentilia che voleva mettere un limite al potere dei consoli. E solo l'anno precedente l'azione di Publio Scapzio convinse la plebe e le tribù a rivendicare al popolo romano la proprietà di un territorio che Ardeati e Arcini si contendevano. Il fatto aggiunse antagonismo fra la plebe e il patriziato che, attraverso i consoli, voleva gestire la situazione in modo differente. Da anni la plebe cercava di erodere il potere del patriziato e come ci narra Tito Livio,
(LA)
« ...et mentio primo [...] ut altero ex plebem consulem liceret fieri, eo processit deinde ut rogationem novem tribuni promulgarent ut populo potestas esset, seu de plebe seu de patribus vellet, consules faciendi.»
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(IT)
«...l'idea [...] che fosse possibile che uno dei due consoli fosse di origine plebea si fece strada tal punto che ben nove tribuni avanzarono la porposta di concedere al popolo l'elezione dei consoli, a loro scelta, fra patrizi e plebei. »
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
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La plebe cominciava in maniera decisa e determinata la sua secolare scalata alle massime istituzioni romane. L'agone politico surriscaldato dell'Urbe non aveva certo bisogno di essere ulterioriormente attizzato quando il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò la sua legge.
[modifica] Reazione
L'effetto fu dirompente. Il patriziato romano, del tutto ovviamente, si oppose. In pericolo era la gestione del potere. Ma naturalmente le motivazioni addotte furono del tutto diverse:
(LA)
« Nam anni principio et de conubio patrum et plebis C.Canuleius tribunus plebis rogationem promulgavit qua contaminari sanguinem suum patres confundique iura gentium rebantur.»
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(IT)
«Infatti all'inizio dell'anno il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò una legge sul matrimonio tra patrizi e plebei in seguito alla quale i patrizi ebbero a temere che il loro sangue fosse contaminato e ne fossero sconvolti i diritti detenuti dalle famiglie del patriziato. »
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
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Si notino i dettagli:
- "all'inizio dell'anno"; Canuleio appena eletti i consoli presentò la legge per avere più tempo di farla discutere. Se non fosse stata approvata perima dell'elezione di successivi consoli, la legge doveva essere ripresentata.
- Il "sangue dei patrizi contaminato. Torneremo sull'argomento.
- Sconvolti i diritti delle famiglie del patriziato. Ecco il punto! Non si può qui descrivere la complessità delle relazioni che intercorrevano fra le famiglie patrizie, le leggi, le regole religiose e parareligiose che ne autorizzavano quasi per "diritto divino" la gestione del potere a sua volta frazionato fra le varie gens ma che in caso di attentato alla "tradizione" vedeva i patrizi compatti a loro difesa.
Ma l'ingresso dei plebei avrebbe certo scardinato un ben costruito e gestito status quo.
Il metodo migliore per non discutere e quindi non approvare la legge era la guerra. Se un nemico si avvicinava alla città la plebe veniva chiamata alle armi e, sottoposta alla legge marziale, non poteva votare. La storia della Lex Terentilia, per esempio, è costellata di interventi di Equi, Volsci e Sabini opportunamente sollevatisi ogni volta che la legge veniva proposta.
(LA)
« Laeti ergo audiere patres Ardeatium populum [...]descisse et Veiented depopulatus externa agri romani.»
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(IT)
«Fu dunque con animo lieto che i patrizi accolsero la notizia secondo cui gli Ardeati si erano ribellati [...] e i Veienti si erano dati a scorrerie.»
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
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Questa metodologia di resistenza del potere non era nuova e non ha mai cessato di funzionare.
Canuleio, ovviamente resistette e convocò l'assemblea popolare. I consoli, espressionme del patriziato, si battevano contro la legge. Le ragioni che adducevano, come in ogni battaglia politica, erano molteplici; ma una ci sembra piùdegna di menzione:
(LA)
« Quam enim aliam vim conubia promiscua habere nisi ut ferarum propre ritu volgentur concubitus plebis patrumque»
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(IT)
«Quale altro scopo, infatti, avevano i matrimoni misti se non la diffusione di accoppiamenti fra plebe e patrizi, quasi a somiglianza delle bestie selvagge? »
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
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[modifica] Canuleio
Non resta che rimandare alle prime pagine del Libro IV di Ab Urbe condita libri di Tito Livio per vedere tutte le scuse addotte dai patrizi, e la veemenza verbale delle argomentazioni portate alla loro resistenza. Tante particolari sfaccettature della situazione vengono citate da Canuleio nel suo discorso, una in particolare è rivelatrice:
(LA)
«Altera conubium petimus, quod finitimis externisque dari solet; nos quidem civitatem, quae plus quam conubium est, hostibus etiam victis dedimus.»
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(IT)
«chiediamo matrimoni misti che vengono concessi ai popoli confinanti e agli stranieri e del resto noi abbiamo concesso la cittadinanza, che sicuramente è più significativa del diritto di connubio, anche a dei nemici sconfitti. »
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(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 1., Newton Compton, Roma, trad.: G.D. Mazzocato)
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Una gens come i Claudii, proveniente dalla nemica Sabina, era stata accoilta a Roma, aveva ricevuto terre in dotazione, era stata annoverata come patrizia. Canuleio si domandava retoricamente de uno straniero poteva diventare patrizio e aquindi console, un cives romanus non poteva diventarlo solo perché plebeo?
La Repubblica romana, infatti, era maestra nel legare con vincoli matrimoniali (e quindi economici) le varie famiglie delle classi superiori dei popoli vicini che in tempi più o meno lontani erano stati necessariamente nemici. La rete di alleanze matrimoniali iniziate in tempo tanto remoti, permise a Roma la sopravvivenza durante le guerre Sannitiche e soprattutto durante l'invasione di Annibale e la Seconda guerra punica. Paradossale comunque - anche se politicamente ed economicamente comprensibile - che la maggior parte dei cittadini romani fosse vista da parte dei consoli, che li guidavano in pace e soprattutto in guerra, come una massa di "belve selvagge".
La diatriba si riempì di motivazioni di vario genere anche religiose; ai plebei era precluso il consolato anche perché ad essi non possedevano il "diritto di auspicio" e quindi non potevano guidare l'esercito.
Alla fine i patrizi, meno testardi di Canuleio, concessro la presentazione della legge, convinti che i tribuni, gratificati, non avrebbero presentato la parallela legge per il consolato ai plebei e questi avrebbero accettato la leva militare contro i nemici esterni. Il parziale successo infiammò ancor più gli animi. I tribuni, visto il successo di Canuleio, accentuarono la pressione. Per il consolato ai patrizi si giunse al compromesso. Sarebbero stati eletti di Tribuni consolari, una figura politica simile al consolato come potere ma senza il nome e il titolo.
La legge Canuileia fu sottoposta votazione e, come ci ricorda Cicerone
(LA)
« ....inhumanissima lege sanxerunt, quae postea plebiscito Canuleio abrogata est. »
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(IT)
«(I decemviri)... stabilirono una legge disumana che fu abrogata dalla legge Canuleia »
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(Marco Tullio Cicerone, de Republica, II, 63)
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