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Karkadann

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Il Karkadan(n) o Kartazon [1] è il rinoceronte indiano. Pur essendo, di base, un animale reale, la descrizione del karkadann si presenta, già in età classica, con caratteri fortemente mitizzati, divergendo da quella del rinoceronte (anche quando questo diventa conosciuto) e integrando i caratteri di un animale favoloso molto più noto, l'unicorno, con cui viene identificato o confuso da più autori medioevali cristiani e musulmani.

Indice

[modifica] Rinoceronti, elefanti e unicorni

La fonte occidentale più antica che cita per nome questa creatura mitizzata è «Sulla natura degli animali», un'opera di zoologia in diciassette volumi redatta da Claudio Eliano, scrittore in lingua greca degli inizi del III secolo.

Eliano lo descrive come un unicorno delle dimensioni pari a quelle di un cavallo, con le zampe di elefante, la coda caprina, e un unico corno nero centrale ritorto[2] sulla fronte. La creatura, veloce e bellicosa, vive nelle regioni aride e montuose dell'India[3]. Si tratta di luoghi, precisa Eliano, «inaccessibili agli uomini» e «popolati da innumerevoli creature selvagge che gli storici e i sapienti del luogo, tra cui i Brahmani, cercano di classificare»[...]«Il nome che danno a questo animale è kartazon»[4].

Un carattere centrale del mito dell'unicorno, soprattutto nel medioevo europeo, sono le virtù curative del suo corno frontale, ma il kartazon non presenta alcun carattere magico o sovrannaturale. Tuttavia, lo stesso Eliano attribuisce, invece, poteri taumaturgici al corno di un altra creatura dell'India, più realistica del kartazon (che appare quasi un mostro composito), ma descritta anch'essa simile all'unicorno e a questo assimilata: l'asino selvatico[5].

L'asino selvatico di Eliano è sostanzialmente la stessa creatura descritta da Ctesia nella sua Storia dell'India (in greco antico: Ἰνδικά)[6] di cui l'autore di Cnido non fornisce alcun nome locale, ma che per alcuni autori[7] rappresenta, certamente, il rinoceronte riconoscibile anche nel modo in cui l'animale viene descritto caricare i suoi avversari quando viene cacciato.

L'opera di Ctesia è andata in larga misura perduta, a parte alcuni frammenti e citazioni fra cui quelle dello stesso Eliano, che si era ispirato all'Ἰνδικά nella redazione del suo trattato zoologico; ma è nota soprattutto grazie ai riassunti di Fozio, un patriarca e erudito bizantino del IX secolo.

Ctesia (e Eliano dopo di lui) chiamano l'unicorno asino selvatico, ma è un animale favoloso per quanto i suoi caratteri teratologici non siano particolarmente sviluppati: si tratta di un quadrupede con il corpo più grande di quello di un cavallo e di colore bianco, tranne per la testa che è fulva e caratterizzata dalla presenza di un unico corno, lungo un cubito, protundente dalla fronte. Il corno è di colore bianco alla base, ma diviene rosso vermiglio in punta.

L'autore greco afferma di avere osservato personalmente il corno dell'animale poiché questo è particolarmente ricercato, in Persia, per le sue proprietà taumaturgiche: bere del vino o dell'acqua da una coppa lavorata a partire dal corno, guarisce, infatti, dall'epilessia, dalle convulsioni e neutralizza gli effetti di qualunque veleno venga ingerito con il liquido o sia stato ingerito precedentemente.

Quello di Ctesia (ripreso da Eliano) è il riferimento più antico nella letteratura classica alle virtù antivenefiche del corno[8] e pur non essendo esteso al kartazon ne verrà da questo invariabilmente assimilato.

La progressiva identificazione, infatti, in epoche successive, delle creature, più o meno favolose, provviste di un unico corno frontale, in un unico animale che raccoglie in sè tutti i caratteri fondamentali contribuirà in modo determinante a far confluire anche il kartazon in quell'unicorno - creatura ritenuta assieme reale e allegorica - che popola i bestiari tardo-medioevali; e al cui corno "magico"[9], ricercatissimo nelle corti europee e mediorientali dell'epoca, sono attribuiti quegli stessi strabilianti poteri curativi e antivenefici descritti da Ctesia.

Per comprendere come è avvenuta questa trasformazione si deve, innanzitutto, risalire alle narrazioni degli autori classici romani e greci. Il rinoceronte era un animale noto in epoca romana, descritto da Gaio Plinio Secondo e Marziale per quello che era, senza attributi fantastici, anche se veniva rimarcata la sua presunta aggressività. Ed è proprio da questa aggressività, ribadita nelle narrazioni da autori come Eliano, Tertulliano e Isidoro di Siviglia che iniziano a sovrapporre al rinoceronte i caratteri di un favoloso unicorno, che prende corpo l'immagine della lotta fra il rinoceronte e l'elefante, ritenuti nemici naturali; un tema che ottiene grande fortuna nella letteratura persiana medioevale.

[modifica] Il karkadann de Le mille e una notte

Il rinoceronte/unicorno della letteratura islamica lo incontriamo nel viaggio di Sindbad il marinaio contenuto ne Le mille e una notte del X secolo in cui viene descritta una creatura chiamata karkadann.

La descrizione dell'animale è simile a quella di Eliano, ma ne vengono evidenziate le enormi dimensioni[10] e la feroce lotta con l'elefante. Il karkadann è accerimo nemico dell'elefante che carica a vista e, spesso, incorna a morte, ma non riuscendo, successivamente, ad estrarre il corno dal corpo dell'elefante finisce per soccombere anche lui accecato dal grasso che cola dalla ferita a causa del calore del sole.

[modifica] Le virtù dell'alicorno

Successivamente, in epoca medioevale, tra il XI e il XIV secolo, la traduzione in latino di trattati importanti di zoologia araba e che contenevano anche la descrizione di molti animali mitizzati tra cui anche il rinoceronte indiano (karkadann o karkadan ovvero il kartazon descritto da Eliano che pure era stato utilizzato come fonte), contribuirono notevolmente alla fortuna del mito dell'unicorno tanto che tra il XIV e il XV secolo le proprietà miracolose del corno erano note e apprezzate sia nelle corti europee che in quelle mediorientali.

Un'opera importante per la diffusione del mito in epoca successiva è la traduzione latina di Nuzhatu-l-Qulûb (Delizia del cuore)[11] del geografo persiano Hamdullâh Mustaufî Qazwînî del XIII secolo che, negli elenchi ripresi dagli autori classici greci, riporta il kartazon col nome di karkadan aggiungendo nuovi particolari favolosi coerenti con la sovrapposizione con l'unicorno: la creatura vive fino a 700 anni ed ha un periodo di gestazione di oltre tre anni. Il suo corno possiede inestimabili proprietà medicamentose.

Una descrizione, invece, completamente priva di elementi fantastici è quella che troviamo in Rihla (Viaggio)[12], cronaca del viaggiatore marocchino del XIV secolo, Ibn Battuta.

Anche questo animale esotico, come molti altri reali o completamenti mitizzati, viene collocato, prima dagli autori classici e poi da quelli mediovali, in quell'Oriente favoloso chiamato India, le terre orientali lontane e sconosciute ritenute contigue al Giardino dell'Eden ove risiedono i popoli mostruosi e le bestie favolose. Si tratta dell'effettivo confine del mondo conosciuto dagli autori occidentali fino al XV secolo, la naturale collocazione geografica del mito.

[modifica] Note

  1. Da kurkizannu in lingua accadica o dal sanscrito kartajan col significato di signore del deserto.
  2. La forma del corno è affine non solo alla descrizione medievale classica dell'alicorno, il corno ritorto a spirale dell'unicorno, come notato da diversi autori, ma anche con quello di alcune antilopi tanto che Odell Shepard, in Lore of the Unicorn, si spinge a identificare il kartazon con l'antilope cervicapra.
  3. Area che già nell'antichità classica ha contorni geografici molto variabili includendo gran parte delle terre ad est della Persia.
  4. Sulla natura degli animali, opera citata, XVI.20
  5. Sulla natura degli animali, opera citata, IV.52.
  6. Fozio di Costantinopoli, codice n° 72 Epitome della storia dell'India, §45 in Biblioteca.
  7. Rudolf Wittkower, opera citata, pp. 86 e seguenti. Restelli attribuisce una posizione analoga a John Watson McCrindle in Ancient India as described in Classical Literature (1901).
  8. Pseudodoxia Epidemica, opera citata, III.23.182-186. E' interessante notare anche come Pseudodoxia Epidemica, una delle prime enciclopedie del XVIII secolo, riconosca come animale realmente esistente l'unicorno. Solo nel 1827, infatti, il famoso naturalista francese Georges Cuvier affermerà l'impossibilità dell'esistenza di un mammifero perissodattilo con un unico corno frontale facendo uscire definitivamente l'unicorno dai trattati zoologici.
  9. Gli alicorni che venivano acquistati, a caro prezzo, nelle corti europee in epoca medioevale e rinascimentale erano probabilmente denti di narvalo, corna di orice o falsi costruiti unendo e intagliando ossa di animali diversi. Oltre alle «corne di unicorni» facenti parte del tesoro papale di Papa Bonifacio VIII (vedi la voce unicorno per approfondire), si può ricordare anche l'alicorno - uno dei tre conservati nella Basilica di San Marco secondo lo storico veneziano Marin Sanudo il Giovane (1466-1533) - donato dall'ambasciatore della Repubblica di Venezia, nel 1531, a Solimano il Magnifico per migliorare i rapporti diplomatici piuttosto tesi tra Venezia e l'impero ottomano (Marco Restelli, opera citata, pp. 41-42).
  10. «questa bestia, chiamata karkadann, può portare un grande elefante sul suo corno e pascolare con esso nell'isola e sulle spiagge senza avvedersene». Le mille e una notte, opera citata, volume II pp. 19-20
  11. Si tratta di uno dei trattati arabi più tradotti in Europa. Tratta di molteplici argomenti: zoologia, geografia, astronomia, religione, etica.
  12. Rihla, opera citata, III.93-101.364

[modifica] Bibliografia

[modifica] Fonti primarie

[modifica] Fonti secondarie

  • Le mille e una notte a cura di F. Gabrieli, Einaudi, Torino 1948
  • Sir Thomas Browne, Pseudodoxia Epidemica lib. III §23, sesta edizione, 1672 pp. 182-186
  • Massimo Izzi, Il dizionario illustrato dei mostri, Gremese Editore 1989 pag. 193
  • Marco Restelli, Il ciclo dell'unicorno, Marsilio Editore, Venezia 1992
  • Odell Shepard, Lore of the Unicorn, Houghton Mifflin, Boston, 1930 §1
  • J. Stephenson, I viaggi di Sindibad[13] Sansoni, Firenze, 1943 pp. 26-27
  • Rudolf Wittkower, Allegoria e migrazione dei simboli, Giulio Einaudi Editore, Torino 1987

[modifica] Collegamenti esterni

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