Dispotismo illuminato
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"Tout pour le peuple, rien par le peuple", trad. "Tutto per il popolo, niente dal popolo", Voltaire
Con l'eccezione dell'Inghilterra e dell'Olanda, la forma politica dominante nell'Europa del Settecento era la Monarchia assoluta. Dopo,il 1760 molti governi europei intrapresero una serie di riforme politiche e sociali. Questa volontà dei sovrani assoluti, che sembrava seguire le indicazioni degli illuministi, diede origine al cosiddetto Dispotismo Illuminato. Il termine dispotismo illuminato si riferisce al governo assolutista di un monarca illuminato (o despota illuminato). Questo è un riferimento all'Illuminismo, un periodo storico del XVIII e inizio del XIX secolo. Il principale propositore di questo sistema in età illuminista fu Voltaire.
I despoti illuminati erano monarchi che si distinguevano dai precedenti nel modo in cui governavano. I monarchi illuminati governavano in base ai principi dell'Illuminismo. Questo significa che i monarchi governavano con lo scopo di badare allo sviluppo di tutti i loro sudditi, non solo per compiacere la nobiltà.
Anche se i loro regni erano basati sulle idee dell'Illuminismo, il loro pensiero circa i poteri reali era simile a quello dei loro predecessori. I despoti illuminati credevano di avere ottenuto per nascita il diritto di governare.
[modifica] Presupposti
Fino alle soglie del Settecento il fondamento ideale dell'assolutismo era stato il diritto divino dei re, ossia il presupposto che Dio investisse i sovrani del loro potere. Molti usi e istituti ereditati dal medioevo erano sopravvissuti al processo d'accentramento monarchico del potere. Nobiltà e clero conservavano parte dei privilegi tradizionali, le città continuavano a godere di particolari autonomie, le classi sociali erano ancora distinte secondo i vecchi criteri. Anche se sottoposti al controllo dei funzionari regi, questi residui poteri particolaristici ostacolavano l'esercizio dell'autorità sovrana e minacciavano l'unità e la compattezza degli stati.
All'inizio del '700 tali sopravvivenze medievali intralciavano l'attività dei principi e ostacolavano lo sviluppo economico, infatti la nobiltà e il clero erano esenti dalle imposte, che gravavano invece sulle classi più attive della società, sottraendo capitali agli investimenti produttivi. Gran parte della terra era nelle mani dei ceti privilegiati che non la sfruttavano secondo i più produttivi criteri capitalistici, inoltre la libertà dì scambio, essenziale allo sviluppo della società borghese, era disturbata o impedita da dogane e pedaggi, relitti anacronistici del feudalesimo.
[modifica] Origini
La critica illuministica e le prime formulazioni scientifiche dell'economia indicarono chiaramente le linee essenziali di un programma di riforma. I filosofi e l'opinione pubblica più avveduta non credevano più al "diritto divino dei re", ma accettavano un programma di riforma della società e dello stato affidato ad un principe guidato dagli ideali filosofici dell'epoca e capace di operare il trapasso dal dispotismo arbitrario del sovrano, al dispotismo legale, fondato sulle norme della morale e vincolato al compito di provvedere alla "felicità dei popoli".
Tale dispotismo, illuminato dagli ideali razionalistici sembrava corrispondere alle necessità oggettive di molti paesi e coincideva con il proposito dei sovrani di continuare con maggior coerenza ed efficacia l'azione di accentramento del potere, fino allora condotta con troppe concessioni alle condizioni di fatto. Fra le grandi potenze rimasero estranee al movimento riformatore l'Inghilterra, che aveva una costituzione con Guglielmo III d'Inghilterra (1689 – 1702), il quale aveva dovuto accettare una Dichiarazione dei diritti, dettata dal Parlamento, che poneva precisi limiti all'esercizio della sua autorità, pertanto il nuovo regime era una monarchia costituzionale, controllata dalla borghesia e dalla nobiltà; e la Francia, il cui indugio preparò la rivoluzione.
Le innovazioni si esplicarono principalmente nel campo giuridico, nell'amministrazione e nella struttura politica ed abolendo privilegi e disuguaglianze nel sistema fiscale, che divenne più equo e più efficiente. I rapporti fra Chiesa e Stato, secondo le tesi del giurisdizionalismo (tendenza dello Stato ad allargare la propria sfera d'azione limitando quella della Chiesa) furono profondamente modificati a favore del potere politico. La potenza economico-politica della Chiesa nei singoli regni fu avversata, i sovrani, con opportune iniziative statali cercarono di ostacolare l'influenza dei religiosi sull'insegnamento, inoltre intervennero in campo patrimoniale abolendo privilegi ed immunità, inoltre stabilirono che la pubblicazione degli atti pontifici e l'insediamento dei vescovi fossero subordinati alla loro approvazione. Gli ordini religiosi furono ostacolati o soppressi, i gesuiti furono cacciati dal Portogallo e da altri Paesi europei a causa della potenza raggiunta dalla Compagnia di Gesù nella politica, nell'educazione delle classi superiori, nel campo degli affari. In Portogallo, Paese fervidamente cattolico, la situazione era aggravata da una soverchia potenza dei clero, che possedeva circa due terzi della proprietà immobiliare e controllava le università, mentre l'Inquisizione esercitava un'autorità quasi illimitata e la Corona doveva spendere gran parte delle sue entrate per il mantenimento di un numero spropositato di sacerdoti.
In questa situazione il Marchese di Pombal, che reggeva il governo del Paese intorno alla metà del '700, trasse pretesto da un attentato contro la vita del re Giuseppe I per accusare i gesuiti di sobillazione. Nel gennaio del 1759 egli fece imprigionare tutti i gesuiti residenti nel Paese e nelle colonie e li fece trasportare a Civitavecchia, nello Stato Pontificio, procedendo immediatamente al sequestro dei collegi e dei beni della Compagnia. Con modalità diverse, l'esempio portoghese fu seguito negli anni successivi dalla Francia, dalla Spagna e dai Borboni di Napoli e di Parma, mentre forti pressioni erano esercitate sul papato perché procedesse a sciogliere la Compagnia. Tale risultato fu raggiunto nel 1773, quando Papa Clemente XIV ne decretò la soppressione. L'ordine continuò peraltro a vivere clandestinamente sin quando fu restaurato, nel 1814, in conseguenza di un radicale mutamento del clima culturale e politico europeo.
Comunque, le riforme del XVIII secolo furono promosse soprattutto per ragioni di stato e non in omaggio agli ideali illuministici, dei quali i principi si servirono prevalentemente per dare una giustificazione alla loro tradizionale politica assolutistica.
[modifica] Despoti illuminati
- Federico II di Prussia (1740-1786)
- Maria Teresa d'Austria (1740-1780) - Nota: il suo status come despota illuminata è dibattuto
- Carlo III di Spagna (1759-1788) (Carlo VII di Napoli; 1734-1759)
- Caterina II di Russia, "Caterina la Grande" (1762-1796)
- Giuseppe II, Sacro Romano Imperatore (1765-1790)
- Gustavo III di Svezia (1771-1792)
- Leopoldo II, Sacro Romano Imperatore (1790-1792)
- Napoleone I di Francia (1804-1814/1815)
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