De Luna d'Aragona
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I de Luna d'Aragona sono un'antichissima casata dell'alta nobiltà spagnola, una delle otto grandi casate del Regno d'Aragona, imparentatasi ripetutamente con i medesimi sovrani.
Ad essa appartenne l'antipapa Benedetto XIII, Pedro Martinez de Luna, passato alla storia come "el papa Luna".
«La familia Luna, una de las ocho principales familias aragonesas»
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(Garcia Carafa, Enciclopedia Heraldica y Genealogica Española .)
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Indice |
[modifica] Le origini
I de Luna hanno origine da Ordono I di Spagna (810A.D. - 866A.D.), re delle Asturie. Si divisero in tre rami principali: Martinez de Luna, Lopez de Luna e Ximenes del Luna.
Al primo appartenenro molti personaggi di primo piano della storia spagnola, tra cui don Alvaro_de_Luna Alvaro Martinez de Luna[1], gran connestabile del Regno, e l'antipapa Benedetto XIIIa.
Dagli Ximenes de Luna invece discese il ramo italiano, che venuto in Sicilia al seguito dei re aragonesi ebbe la contea di Caltabellotta, una delle principali dell'isola e molti feudi in Calabria e si rese protagonista del tristemente noto "Caso di Sciacca", una sanguinosa faida contro la potente famiglia feudataria dei Perollo.
[modifica] I rami di Spagna
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Pedro Martinez de Luna (1394 - 1409) nacque a Illueca, in Aragona e divenne un antipapa con il nome di Benedetto XIII.
Alla morte dell'Antipapa Clemente VII, il 28 settembre 1394, venne eletto dai cardinali francesi. Alla morte di Papa Urbano VI, nel 1389 i cardinali italiani avevano scelto Papa Bonifacio IX; l'elezione di Benedetto quindi, proseguì lo Scisma d'Occidente. La maggior parte della Chiesa si rifiutò di riconoscerlo, e nel 1397, la Chiesa francese, che lo aveva appoggiato, ritirò la fedeltà a entrambi i Papi, e nel 1398 Benedetto venne imprigionato nel suo palazzo di Avignone. Il Concilio di Costanza pose fine a questo stato di cose e Benedetto trovò rifugio a Penyiscola, una cittadina costiera sul confine settentrionale del Regno di Valencia. Benedetto abdicò nel 1417, ma venne riconosciuto da Scozia, Castiglia, Navarra ed Aragona fino alla sua morte, avvenuta nel 1423.
Benedetto XIII si distinse anche per la sua legislazione antigiudaica, che venne, però, cancellata da Martino V, su richiesta di una delegazione inviatagli dal celebre sinodo ebraico di Forlì, del 1418.
Non va confuso con Papa Benedetto XIII, che regnò nel XVIII secolo.
Il castello di Penyiscola dove Benedetto visse fino alla sua morte venne restaurato, migliorato e dotato di nuove mura nel 1960, quando venne usato per girare parte del film El Cid, di Anthony Mann. La città ed il castello di Penyiscola vennero scelte per "recitare" il ruolo di Valencia.
[modifica] Il ramo siciliano
La famiglia de Luna fu portata in Sicilia da un Artale di Luna, consanguineo di re Martino d'Aragona nel 1386. Artale si innamorò di una damigella di nome Margherita Peralta, parente dello stesso re, promessa ad un Giovanni Perollo, e la prese in moglie.
Il figlio Antonio de Luna conte di Caltabellotta raccolse una vastissima eredità, insieme all'odio dei Perollo. In breve tempo le due famiglie vennero ad aperte e sanguinose contese, dando luogo al primo "Caso di Sciacca, nel 1450, sotto il regime di re Alfonso, e per questo furono prima esiliati e poi graziati. Antonio de Luna fu consigliere e camerlengo del regno, come ricorda lo storico Villabianca. Fu il secondo e ultimo conte di Reggio Calabria
Tra i molti altri personaggi degni di menzione si ricordano:
- Gianvincenzo de Luna conte di Sclafani, straticoto a Messina 1514, presidente e viceré del regno dal 1516 al 1517
- Sigismondo de Luna conte di Caltabellotta, che riacceso l'odio dei Perollo venne assassinato. Il delitto diede luogo ad una seconda più sanguinosa faida, detta il famoso "Caso di Sciacca del 1529.
- Pietro de Luna conte di Caltabellotta e di Sclafani, primo duca di Bivona per concessione di Carlo V imperatore nel 1554, fu straticoto di Messina e vicario generale del regno per difenderlo dalle invasioni turchesche nel 1573. Con suo figlio Giovanni de Luna si estinse questo ramo
[modifica] Il "primo Caso di Sciacca"
La lite scoppiò furibonda tra Pietro Perollo, figlio di Giovanni, barone di Pandolfina, e Antonio di Luna, figlio di Artale. Quest'ultimo, con cavilli legali, ottenne la restituzione del feudo di San Bartolomeo, ma il Perollo non poteva sopportare un simile affronto: insieme con i propri fratelli tese un agguato ad Antonio de Luna, e lo trafisse a pugnalate.
Ma il rivale, dalla pelle dura, sopravvisse con lo spasmodico desiderio di vendicarsi. Guarito, con una schiera di armati piombò su Sciacca, dove risiedeva il Perollo. Purtroppo non lo trovò. Dovette accontentarsi di scannare una trentina di congiunti e familiari di lui. Fu questo il cosiddetto "primo caso di Sciacca".
La vendetta era solo rimandata.
[modifica] Il "secondo Caso di Sciacca"
Ben sessantaquattro anni dopo, venne l'occasione per realizzare la vendetta del cosiddetto "secondo caso Sciaccia". La pretesa fu assai futile, ma sufficiente per innescare il "secondo caso di Sciacca". Siamo nel 1529. Una squadra di galere barbaresche, al comando del corsaro Sinan Bassà, detto "il giudeo", si presenta dinanzi a Sciacca innalzando il segnale " prigionero di riguardo a bordo, da riscattare" .
Era il barone di Solunto. Sigismondo Luna, come si era soliti fare a quei tempi, nella sua veste comitale, offrì una grossa somma d'oro che, però, fu rifiutata da Sinan, forse indispettito dall'eccessiva alterigia con la quale il conte di Caltabellotta lo aveva trattato. Si intromise, allora, Giacomo Perollo, portolano di Sciacca, il quale, con diplomazia, chiese a Sinan il permesso di visitarlo a bordo della sua galera corsara.
Ottenutolo di buon grado, si fece precedere da ricchi doni e da rinfreschi. Il corsaro, che doveva essere sensibile alla cortesia, forse per fare dispetto al Luna e per sfoggiare, a sua volta, grandiosità, liberò senza riscatto il barone, insieme con altri dieci schiavi; e per di più, promise al Perollo che non avrebbe compiuto altre incursioni sul litorale saccense. Di qui, l'enorme successo popolare del Perollo e frizzi ferocemente salaci per il Luna.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso, che si veniva riempendo di veleno da quasi un secolo. Con un vero e proprio esercito, fornito anche di artiglieria, al quale era aggregato una specie di "legione straniera" costituita da mercenari albanesi di Piana, di Contessa, di Palazzo Adriano e di Mezzoiuso, Sigismondo Luna attaccò Sciacca ove il Perollo si barricò nel vecchio castello normanno.
Dopo essersi sfogato ad ammazzare amici e congiunti del suo rivale, il conte di Caltabellotta, nonostante l'arrivo delle truppe regie inviate dal Vicerè Ettore Pignatelli, grande amico di Giacomo Perollo, attaccò la rocca intorno alla quale pose un vero e proprio assedio, con trincee, fossati, camminamenti e otto bombarde che, insieme all'artiglieria più leggera, battevano in breccia l 'obiettivo.
L'assediato, che si era difeso strenuamente, resosi conto di non potere più a lungo resistere, uscì da un passaggio segreto e si rifugiò nella casa di un suo fedele, Luca Parisi. Aveva tentato di venire a patti con il Luna, il quale aveva posto come condizione preliminare che Giacomo Perollo gli chiedesse perdono in ginocchio, dopo avergli baciato i piedi. Condizione, ovviamente, inaccettabile per il Perollo!
Sotto l'ultima pressione, le porte del castello saltarono in pezzi; le orde di Sigismondo Luna si riversarono all 'interno uccidendo tutti i difensori. "Soltanto fu notabile", scrisse Villabianca, "il riguardo con cui furono trattate le donne, senza veruno oltraggio condotte al monastero". In modo particolare, la baronessa Perollo (donna Brigida Bianco di Mazara): non appena entrò da conquistatore nella sala grande del castello, ove la dama si trovava con i figlioletti, il conte di Caltabellotta non solo ricordò le regole della cavalleria, ma come scrive Isidoro La Lumia, lo storico del secolo scorso - sentì spetrarsi e intenerirsi ", quasi pentito del massacro che aveva provocato; offerto, infatti, il braccio alla baronessa, la scortò personalmente al monastero delle Giummare.
Un Antonello da Palermo tradì il Perollo, rivelandone il nascondiglio. Questi, appena scoperto, fu subito ucciso, pare da un Giovanni Lipari di Trapani e da un Calogero Calandrini. Il de Luna - novello Achille - incrudelì sul cadavere, trascinandolo a coda di cavallo per le vie di Sciacca. Fu, questo, il secondo episodio del "caso di Sciacca , che sarà argomento preferito dei cantastorie siciliani sino all'inizio del nostro secolo.
Ma anche nella Sicilia del Cinquecento, un fatto così enorme non poteva passare inosservato. Il governo viceregio dovette pur intervenire. Dichiarato fellone e reo di lesa maestà Sigismondo de Luna, il suo castello fu assalito dalle truppe regie che impiccarono e decapitarono i suoi seguaci senza parsimonia. Egli, però, riuscì a fuggire a Roma. Come marito di Aloisia Salviati Medici, egli era, infatti, parente di papa Clemente VII.
Ma poiché il perdono del re di Spagna tardava a venire, angosciato,
«"corse a finir la vita nelle acque del Tevere"»
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[modifica] Il ramo calabrese
Blasco Ximenes de Luna (? - 1324) , figlio di Lope Ferrench de Luna, custode delle terre di Siracusa per la Curia nel 1283, si trasferì in Calabria, dove nel 1314 venne investito della signoria feudale di Grotteria, con Siderno, Martone, San Giovanni, Mammola e terre annesse e di metà del feudo di Ragusia (attuale Gioiosa Jonica).
Questo ramo si estinse con donna Francesca de Luna d'Aragona, sposa nel 1689 di don Fabrizio Amato di Grotteria e a sua volta la famiglia Amato si estinse in quella dei marchesi Lupis con donna Rosa Amato e Falletti, andata sposa al marchese don Fortunato Lupis e Palermo di Santa Margherita (n. 1705 +1773), che ebbe il privilegio di unire la propria arma araldica, per diritto ereditario, con quella della Casata de Luna, originaria di Spagna ed antica feudataria di Grotteria.
[modifica] I Sanchez de Luna
Un altro ramo di estinse nella famiglia di origine spagnola dei Sanchez, con donna Catalina (Caterina) de Luna d'Aragona, sposa di don Alonso III Sanchez, Patrizio Napoletano.
Nel 1574 Caterina de Luna completava l'acquisto della «Villa di Santo Arpino» e a lei si deve la nomina del marito a «Marchese di Grottola» e sempre a lei si deve l'aver gettato le basi per la seconda nomina nobiliare della famiglia: il ducato sulla «villa di Santo Arpino». .
[modifica] Stemma
Diviso, nel 1° d'argento, con una mezza luna riversata di due file a scacchi d'argento e di nero; nel 2° scaccheggiato del primo e del secondo di quattro file. Corona e manto di duca.
Alias, nel 1° di rosso, con una mezza luna riversata di due file a scacchi d'oro e di nero; nel 2° scaccheggiato d'oro e di nero di quattro file. Corona e manto di duca.
[modifica] Note
[modifica] Bibliografia
- Viviana Mulè, Gli ebrei di Caltabellotta e la famiglia de Luna, Roma, 2005.
- Gutierrez Coronel, La Historia Genealogica de la Casa de Mendoza
- Garcia Carafa, Enciclopedia Heraldica y Genealogica Española
- Francesco Pitaro, Gagliato, radiografia di un paese di Calabria Frama Sud. 1989.
- Francesco Pitaro, La Grangia di Gagliato Daniele Editore. 1992.
- AA. VV., Guida della Sicilia e delle isole minori Ugo La Rosa editore.
- Rosario Termotto, Sclafani Bagni: profilo storico e attività artistica 2003.
- Felgueiras Gayo Carvalhos de Basto, Nobiliário das Famílias de Portugal, 2ª Edição, Braga, 1989, pag. 492
- D. Luiz de Lancastre e Távora, Dicionário das Famílias Portuguesas, Quetzal Editores, 2ª Edição, Lisboa, pag 232
- Mario Pelicano Castagna, Storia dei feudi e dei titoli nobiliari in Calabria, vol. III, ad vocem "Grotteria", Catanzaro, 1990
- Pellicano Castagna M., Araldica moderna della Locride sta in Storia e cultura della Locride, a cura di G. Calogero, Messina 1964
- Pellicano Castagna M., Le ultime intestazioni feudali in Calabria Chiaravalle C., 1978
- Pellicano Castagna M., Processi di cavalieri gerosolimitani calabresi, Chiaravalle C., 1978
- Domenico Lupis Crisafi, Cronaca di Grotteria, Gerace Marina, 1887, ristampa, 1982
- Fotunato Lupis Crisafi, Da Reggio a Metaponto, Gerace Marina, 1905
- Adimari B, Memorie Historiche di venti famiglie nobili, così Napoletane come forastiere ..., Napoli, 1691
- Candida Gonzaga B., Memorie delle famiglie nobili delle famiglie meridionali
- Calogero G. (a cura di) Storia e cultura della Locride, Messina, 1964
- Lobstein (von) F., Il settecento calabrese e altri scritti 3 voll., Fausto Fiorentino, Napoli, 1973
- Mazzella S., Descrizione del regno di Napoli, Bologna, ristampa Fomi,
- Naymo V., Il castello di Gioiosa in Calabria Ulteriore, Gioiosa J.,1996
- Naymo V., La platea di S. Maria “la Cattolica” di Grotteria, Sta in Incontri Meridionali 1/2, 1995
- Naymo V., Uno stato feudale nella Calabria del Cinquecento. La Platea di Giovan Battista Carafa marchese di Castelveter e conte di Grotteria (1534), Gioiosa Jonica, 2004
- Oppedisano A., Cronistoria della diocesi di Gerace
- Scorza M. A., Enciclopedia araldica italiana
- Trasselli C., Lo stato di Gerace e Terranova nel Cinquecento , 1976
[modifica] Collegamenti esterni
- Genealogia dei Sanchez de Luna, ramo dei De Luna d'Aragona
- Feudo di S.Arpino
- Il Castello di Grottole
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