Ovis canadensis
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Bighorn Stato di conservazione: Basso rischio |
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Ovis canadensis |
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Classificazione scientifica | ||||||||||||||||||||||||
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Nomenclatura binomiale | ||||||||||||||||||||||||
Ovis canadensis Shaw, 1804 |
Il bighorn è la pecora selvatica d'America ed è molto affine all'argali dell'Asia: ha quasi la stessa mole di quest'ultimo e molte volte è stato scambiato per esso. Ancora oggi il bighorn popola le giogaie più selvagge e più inaccessibili delle regioni montuose dell'America settentrionale, e specialmente una parte delle Montagne Rocciose. Le vette coniche salgono verticalmente a qualche centinaio di metri aldisopra delle pianure, ova hanno la base, e solo in alcuni punti queste sono accessibili all'uomo. L'acqua produce terribili fenomeni ed ogni scroscio di pioggia ne rende impossibile la salita. In alcuni punti si trovano poche piante, sotto la cui protezione cresce un'erba saporita; in altri si trovano profonde cavità, e qua e là saline dove si ammucchia il sale sciolto dalla pioggia. Le pecore selvatiche hanno, quindi, in montagne siffatte, tutto quel che giova ai loro bisogni: le cavità e le spelonche offrono loro sicure dimore, l'erba saporita dà un pascolo confacente e, infine, le saline provvedono all'appagamento di un bisogno comune a tutti i ruminanti.
Si capisce che, dopo che hanno imparato a conoscere gli uomini, preferiscono le parti più selvagge di quel deserto; tuttavia, si possono vedere abbastanza frequentemente quando si percorra sul battello qualcuno degli affluenti del padre dei fiumi.
I maschi adulti del bighorn dell'America settentrionale giungono alla lunghezza di metri 1,80, di cui 13 centimetri spettano alla coda; l'altezza alle spalle è di un metro, con metri 1,10 di circonferenza dietro le spalle. La femmina misura, in lunghezza, metri 1,15 e un metro d'altezza; pesa 125 chilogrammi, mentre il maschio ne pesa 175: solo le corna pesano da 20 a 22 chilogrammi. La corporatura è compressa, robusta, muscolosa, assai simile a quella dello stambecco e lo ricorda specialmente nella testa, grande, perfettamente diritta di profilo, con l'occhio grande, le orecchie piccole e brevi, il collo grosso, il dorso largo, il petto aperto e robusto, la coda esile, le cosce molto robuste, le zampe forti e tozze e gli zoccoli brevi.
Il maschio ha magnifiche corna, la cui lunghezza, misurata dall'esterno lungo la curva, è di 65 centimetri, mentre nell'interno, sempre lungo la curva, misura 44 centimetri; la circonferenza, alla base, è di circa 40 centimetri, mentre quella nel mezzo è di 34 centimetri; la distanza fra le punte delle due corna è di circa 54 centimetri. Alla base le corna si toccano; poi, piegando alquanto in avanti e in fuori, si volgono all'indietro, s'incurvano in un arco pressoché circolare, abbassandosi e tornando in avanti, con la punta di nuovo rivolta all'insù. Sembrano compresse e presentano molte rughe trasversali. Il paragone tra le corna del bighorn e quelle dell'argali dà i seguenti risultati: nel primo le corna non sono mai lateralmente compresse e piane, ma rimangono larghe di diametro trasversale e portano rughe assottigliate, mentre quelle dell'argali sono fortemente compresse sui lati ed hanno un aspetto alquanto piatto. Nel bighorn le insenature, o come si chiamano, i "cerchi ansenali", si presentano distinte e lasciano riconoscere soltanto solchi trasversali stretti, sovente interrotti e poco visibili, mentre i rigonfiamenti stanno vicinissimi nelle corna dell'argali e si estendono assai più lontane, sino a circa quattro quinti della loro lunghezza totale. Inoltre, le corna del bighorn sono ordinariamente ancora più robuste dell'ornamento della testa del suo affine. Quelle della femmina, ben s'intende, sono molto più deboli e simili a quelle della capra. S'incurvano in un semplice arco all'insù, all'indietro e all'infuori e sono acute e affilate.
Il pelo non è diverso da quello dello stambecco europeo. Non ha assolutamente alcuna somiglianza con la lana: è duro, sebbene molle al tatto, leggermente ondulato e tutt'al più un poco più lungo di 5 centimetri. Il colore è d'un bruno-bigio sudicio, come nello stambecco, mentre la striscia dorsale è alquanto più scura. Sono bianchi il ventre, la parte interna e posteriore delle zampe, quella posteriore delle cosce, una striscia dalla coda al dorso, che può essere paragonata allo specchio di molte specie di cervi, il mento ed una macchia sopra il fondo bruno-bigio della regione della gola; la parte anteriore delle zampe è più scura che non il dorso: è di un bruno-bigio-nericcio; la testa è bigio-chiara, l'orecchio, al di fuori, simile alla testa, bianco all'interno; la striscia caudale è più chiara di quella dorsale. Durante l'autunno e nell'inverno al bigio si mischia molto bruno, ma rimangono sempre di un bianco puro la parte posteriore del corpo e il margine delle cosce.
Le prime notizie intorno al bighorn si ebbero da due missionari che erano andati a convertire i selvaggi della California nel 1697. Trovammo, lasciò scritto Padre Piccolo, in quel paese, due specie di animali che non conoscevamo e che abbiamo chiamato "pecore", perché hanno con queste qualche somiglianza. L'una è grossa come un vitello d'un anno o due; ma la sua testa somiglia a quella del cervo, e le sue corna, che sono lunghissime, ricordano quelle del montone. La coda ed il pelame sono punteggiati e più brevi che nel cervo; gli zoccoli, al contrario, sono grandi tondeggianti e fessi come nel bue. Di questo animale ho mangiato la carne, che è molto saporita e tenerissima. L'altra specie di pecore, di cui alcune sono nere ed altre bianche, si distingue poco da quella nostrana ed è alquanto più grossa; ha molta più lana e migliore tanto che si può facilmente filare e tessere. Allo stato attuale, il bighorn si trova discretamente numeroso, nella stessa California, nei luoghi che maggiormente gli convengono. Le pecore e gli agnelli sogliono formare greggi distinte, mentre i montoni, ad eccezione del tempo degli amori, si associano per conto loro, o vivono solitari. Nel mese di dicembre si avvicinano alle pecore ed allora, secondo l'uso generale, avvengono accanite battaglie tra i più forti per la conquista della bella. Passato quel tempo, vivono in serena pace gli uni con gli altri, come fanno le pecore domestiche, cui somigliano molto nell'indole.
Le femmine partoriscono in giugno o in luglio; per la prima volta un solo agnello, più tardi due, che, dopo pochi giorni, possono seguire la madre ovunque; del resto, da essa stessa vengono condotti anche fra le più inaccessibili alture.
Nel loro modo di vivere, questi animali non si distinguono dai loro affini o dagli stambecchi. Come questi, sono insuperabili maestri nell'arte di arrampicarsi, come pure nel crearsi sentieri intorno alle loro vette coniche, e, spesso, in punti dove la vetta scende a picco per centinaia di metri: certe sporgenze che hanno appena 30 centimetri di larghezza rappresentano per essi dei sentieri su cui si muovono con sorprendente maestria e sicurezza, senza minimamente provare cosa sia la vertigine. Vi corrono galoppando, con grande stupore dell'uomo che, da sotto, li guarda con il naso all'insù senza poter fare uso del fucile e che non riesce a concepire come un animale con quattro zampe riesca a galoppare su un così stretto sentiero con sotto l'abisso. Appena la bestia s'accorge di qualche cosa d'insolito, fugge verso le sue alture dirupate e si ferma sul margine esterno delle sporgenze per esplorare con l'occhio il suo impero.
Nel pericolo, uno sbuffante suono nasale dà il segnale della fuga, e, appena risuona, tutta la banda irrompe in precipitosa fuga. Se il luogo è tranquillo, queste pecore selvatiche scendono volentieri al basso, sicché vengono spesso nei punti erbosi delle gole e sulla sponda dei fiumi per pascolarvi. Le caverne delle montagne, le cui pareti sono ricoperte di salnitro e di altri sali, ricevono giornalmente la loro visita e, quindi, in quei luoghi cadono più facilmente in balia dell'uomo.
Nelle località non molto frequentate da costui, queste pecore non sono tanto ritrose, sicché la caccia diventa oltremodo più facile; ma quando hanno imparato a conoscere l'uomo lo temono al pari del loro più mortale nemico, il lupo, e diventano partanto guardinghe e paurose. Naturalmente anche la caccia diviene in tal modo più difficile e molte volte riuscire ad uccidere il bighorn diventa un'impresa ardua e disagevole.
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