Contratto collettivo
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[modifica] Nozione
Il contratto collettivo di lavoro è il contratto con cui le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro (o un singolo datore) predeterminano congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (c.d. parte normativa) ed alcuni aspetti dei loro rapporti reciproci (c.d. parte obbligatoria).
Le finalità essenziali del contratto collettivo sono quindi:
- determinare il contenuto essenziale dei contratti individuali di lavoro in un certo settore (commercio, industria metalmeccanica, industria chimica, ecc.), sia sotto l’aspetto economico (retribuzione, trattamenti di anzianità) che sotto quello normativo (disciplina dell’orario, qualifiche e mansioni, stabilità del rapporto, ecc.).
- disciplinare i rapporti (c.d. relazioni industriali) tra i soggetti collettivi.
In Italia, la contrattazione collettiva si svolge a diversi livelli, da quello interconfederale (cui partecipa spesso anche lo Stato, in funzione di mediatore nelle trattative tra le confederazioni dei lavoratori e quelle dei datori) a quello di categoria, a quello locale ed aziendale. I contratti che hanno oggi maggiore rilevanza pratica sono i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), conclusi a livello di categoria.
[modifica] Efficacia del contratto collettivo e sua estensione.
[modifica] Il contratto collettivo "di diritto comune"
La funzione del CCNL di dettare dei minimi economici e normativi validi per tutti i lavoratori di un certo settore è garantita, in quasi tutti gli ordinamenti che prevedono l'istituto, da specifiche procedure volte ad estendere le norme collettive a tutti i soggetti (datori e prestatori) operanti in un dato settore.
Una disciplina di questo tipo non è mai stata introdotta nel sistema giuridico italiano, sebbene l'art. 39 della Costituzione repubblicana prevedesse che i sindacati, previo espletamento di una procedura di registrazione, potessero stipulare "rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti […] contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce". La norma costituzionale restò tuttavia priva di attuazione per la resistenza delle stesse organizzazioni sindacali, le quali temevano, nel clima politico del primo dopoguerra, che la procedura di registrazione prevista dall'art. 39 consentisse allo Stato un eccessivo controllo sulla loro attività.
Di conseguenza, l'unico CCNL che le parti collettive sono oggi in grado di concludere altro non è che un contratto atipico (art. 1322 c.c.) disciplinato dalle norme sui contratti in generale (art. 1321 c.c.). Le norme collettive trovano pertanto applicazione, quantomeno in linea di stretto diritto, nei confronti dei soli iscritti alle associazioni sindacali (dei lavoratori e datoriali) che hanno stipulato il contratto. In questo senso si parla spesso di contratto collettivo "di diritto comune". L'assenza di una disciplina specifica ha causato non pochi inconvenienti, della cui soluzione si è fatta storicamente carico in massima parte la giurisprudenza.
[modifica] I tentativi di estensione dell'ambito di efficacia.
Già a partire dagli anni Cinquanta, le corti italiane tentarono in vari modi di estendere l'ambito di applicabilità del contratto anche ai soggetti non iscritti, in modo da garantire a tutti i lavoratori (anche dipendenti da datori di lavoro non aderenti alle organizzazioni stipulanti) uno standard minimo di trattamento economico e normativo.
La giurisprudenza realizzò l'estensione dell'applicabilità seguendo varie strade:
- la principale operazione giurisprudenziale fece leva sull'art. 36 della Costituzione, norma che riconosce il diritto ad una retribuzione "sufficiente" ad assicurare "un'esistenza libera e dignitosa" a tutti i lavoratori e alle loro famiglie. I giudici affermarono l'immediata applicabilità del precetto costituzionale anche nei rapporti tra privati, e interpretarono il concetto di "retribuzione sufficiente" facendo riferimento ai minimi tariffari previsti dai CCNL, applicando di fatto tali disposizioni contrattuali anche ai rapporti di lavoro intercorrenti tra soggetti non iscritti alle organizzazioni sindacali. Tale orientamento giurisprudenziale, a tutt'oggi sostanzialmente immutato, precluse ai datori di lavoro non iscritti di retribuire i dipendenti in misura minore rispetto a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva.
- i giudici affermarono successivamente che il datore di lavoro iscritto ad un'associazione stipulante ha sempre l'obbligo di applicare il CCNL nei confronti di tutti i suoi dipendenti, quindi anche a quelli non iscritti al sindacato (Cassazione, 13.08.1997, n. 7566). Per di più, fu introdotta una presunzione relativa di adesione del datore di lavoro all'associazione stipulante, superabile solo eccependo la non iscrizione entro la prima udienza (Cassazione, 26.02.1992, n. 2410)
- la giurisprudenza ritenne infine che il contratto collettivo dovesse essere applicato nella sua interezza e a tutti i dipendenti ogni qual volta il datore vi avesse aderito, esplicitamente (ad es. rinviando alla disciplina del CCNL nella lettera di assunzione) o implicitamente (ad es. applicando istituti e norme significative del contratto collettivo).
Operazioni di estensione dell'efficacia del CCNL furono in più occasioni tentate anche dal legislatore. Il tentativo più rilevante fu intrapreso con la c.d. legge Vigorelli (legge 741/59), con la quale il Parlamento delegò il Governo a recepire in un atto avente forza di legge i contenuti dei contratti collettivi di diritto comune stipulati sino a quel momento, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti ad una stessa categoria. Contro la legge Vigorelli furono avanzati da più parti dubbi di legittimità costituzionale, che tuttavia la Corte costituzionale superò in base alla considerazione che la legge delega era «provvisoria, transitoria ed eccezionale». Minor fortuna ebbe la legge di proroga che il Parlamento approvò l'anno successivo, la quale, non potendosi più considerare "eccezionale", fu dichiarata dalla Corte costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 39 Cost.
Tra i tentativi legislativi di estendere l'ambito di efficacia dei CCNL di diritto comune va inoltre ricordato l'art. 36 dello Statuto dei lavoratori (l. 300/70), che impone all'appaltatore di opere pubbliche di applicare ai propri dipendenti condizioni non inferiori a quelle previste dalla contrattazione collettiva. Il medesimo obbligo è imposto dalla legge 389/89 all'imprenditore che voglia fruire della c.d. fiscalizzazione degli oneri sociali.
[modifica] Soggetti stipulanti, forma, durata e rinnovo
Il contratto collettivo di lavoro è usualmente concluso dalle associazioni sindacali di categoria che rappresentano i datori e i lavoratori operanti in un certo settore. A livello aziendale, il contratto può essere stipulato anche dal singolo datore di lavoro, che è legittimato a condurre le trattative con le organizzazioni sindacali aziendali ovvero con un gruppo, anche spontaneo e non sindacalizzato, di lavoratori.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che anche per il CCNL, come per la generalità dei contratti, vale il principio della libertà di forma (Cassazione, S.U., 22.03.1995, n. 3318). Di norma, i contratti collettivi sono tuttavia conclusi per iscritto per comprensibili ragioni di chiarezza.
La durata del contratto è fissata dalle parti stipulanti. Il contratto collettivo nazionale di categoria ha in genere una durata di quattro anni per la parte normativa e di due anni per quella attinente alla retribuzione. Alla scadenza del termine, conformemente ai principi generali, il CCNL cessa di produrre effetti e non è più vincolante. La Corte di Cassazione ha infatti recentemente chiarito che l'art. 2074 c.c. non si applica ai contratti collettivi di diritto comune (Cassazione, 17.01.2004, n. 668). Anche dopo la scadenza del contratto, in ogni caso, conservano la loro efficacia le clausole attinenti alla retribuzione, atteso il rilievo costituzionale della prestazione contrattualmente dovuta al lavoratore.
La procedura di rinnovo del contratto è avviata tre mesi prima della scadenza dello stesso, con la presentazione delle c.d. "piattaforme rivendicative". Negli ultimi tre mesi di vigenza del contratto e nel mese successivo le parti collettive hanno l'obbligo di non intraprendere iniziative di lotta sindacale. Se il contratto scade senza che le parti collettive trovino un accordo per il rinnovo, ai lavoratori è dovuta la c.d. indennità di vacanza contrattuale, cioè un importo addizionale che ha la funzione di preservare la retribuzione (quantomeno in parte) dagli effetti dell'inflazione.
[modifica] Identificazione del contratto collettivo applicabile.
Dopo l'abrogazione del sistema corporativo, si ritiene che non sia più applicabile l'art. 2070 c.c. , norma che permetteva di individuare il CCNL applicabile facendo riferimento alla "attività effettivamente esercitata dall'Imprenditore". Un orientamento giurisprudenziale consolidato considera in primo luogo, ai fini dell'individuazione del contratto applicabile, la concreta volontà delle parti, espressa esplicitamente nel contratto individuale ovvero desumibile dall'applicazione continuata e non contestata di un certo CCNL. Si fa invece riferimento alla categoria economica in cui opera l'azienda quando la retribuzione contrattuale risulti inadeguata, ai sensidell'art. 36 Cost., rispetto alla attività lavorativa prestata dal dipendente.
[modifica] Interpretazione del contratto collettivo
In quanto contratto di diritto comune, il CCNL deve essere interpretato secondo i criteri ermeneutici dettati dal codice civile agli artt. 1362 ss c.c. . L'interprete deve quindi ricercare la "comune volontà delle parti", riferendosi
- all'elemento letterale delle clausole
- al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del CCNL
- al contesto contrattuale, interpretando le clausole del contratto le une per mezzo delle altre
Va precisato che, secondo la giurisprudenza, i contratti collettivi corporativi ancora in vigore conservano la loro originaria natura normativa e devono quindi essere interpretati secondo le specifiche disposizioni sull'interpretazione della legge (art. 12 prel. c.c.)
[modifica] Rapporti tra CCNL e altre fonti
Il rapporto di lavoro è disciplinato da una molteplicità di fonti: legge, contratti collettivi e contratto individuale. Quando una fonte è gerarchicamente sovraordinata rispetto ad un'altra, la regola generale è nel senso che la fonte inferiore (il contratto individuale rispetto al CCNL, il CCNL rispetto alla legge) possa derogare a quella superiore solo in senso più favorevole ai lavoratori (cosiddetta derogabilità in melius) e mai in senso ad essi sfavorevole (inderogabilità in peius). Se tra le fonti non sussiste un rapporto di gerarchia (es. rapporto tra contratti collettivi, anche di diverso livello), il contrasto si risolve secondo il criterio della successione temporale, in quanto un contratto collettivo successivo può sicuramente derogare, anche in senso peggiorativo, rispetto alla disciplina collettiva previgente. La giurisprudenza ha più volte sottolineato che non esiste un diritto alla stabilità nel tempo di una disciplina prevista dal contratto collettivo, per cui il successivo CCNL può liberamente incidere anche su situazioni in via di consolidamento, con il solo limite dei diritti quesiti. Schematicamente, i rapporti tra le fonti del rapporto si regolano come segue:
- Rapporto tra CCNL e legge: il rapporto è gerarchico, per cui il CCNL può derogare solo in senso migliorativo per i prestatori. Vi sono tuttavia casi, espressamente previsti ex lege, in cui la stessa legge autorizza la contrattazione collettiva ad introdurre deroghe peggiorative rispetto alla disciplina legale (si segnala, tra le altre, la l. 223/91, che consente alla contrattazione collettiva, nei casi di gravi crisi aziendali, di superare il divieto di demansionamento previsto dall'art. 2103 c.c. come alternativa ai licenziamenti collettivi)
- Rapporto tra CCNL dello stesso livello: il rapporto è paritario, quindi il contratto successivo può modificare quello precedente anche in senso peggiorativo, con il solo limite dei diritti quesiti (cioè definitivamente acquisiti al patrimonio dei lavoratori). Di norma viene modificata solo la parte oggetto delle piattaforme rivendicative, lasciando per il resto inalterato il testo previgente.
- Rapporto tra CCNL e contratto individuale: il rapporto è gerarchico, per cui il contratto individuale può derogare a quello collettivo solo in senso migliorativo per il lavoratore.
[modifica] Altri tipi di contratto collettivo: contratto "corporativo" e contratti recepiti in decreto
Nel nostro ordinamento sono ancora oggi presenti, accanto ai contratti collettivi di diritto comune, altri due tipi di contratto collettivo.
Sono anzitutto ancora in vigore, sebbene con una limitata rilevanza pratica, i CCNL recepiti in decreto ai sensi della legge Vigorelli del 1959, di cui già si è detto in precedenza.
Vigono inoltre gli ancor più risalenti contratti collettivi "corporativi", conclusi durante il periodo fascista ed aventi efficacia erga omnes in quanto fonti del diritto ai sensi dall’art. 1, n. 3, del codice civile del 1942. Tali CCNL, mantenuti in vita dal d.lg. 23.11.1944, n. 369 nonostante l'abrogazione del sistema corporativo, non hanno più alcuna applicazione, in quanto sono stati superati dalla successiva contrattazione collettiva di diritto comune (che per la giurisprudenza ha integralmente sostituito la disciplina corporativa nonostante la diversità di fonte).
[modifica] Collegamenti esterni
L'archivio nazionale dei contratti collettivi del CNEL
http://www.cnel.it/archivio/contratti_lavoro/BDCL.asp
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