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Storia del cristianesimo tra II e III secolo

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Nel secondo e terzo secolo la primitiva rete di piccole comunità cristiane si trasformò in una vasta organizzazione, chiamata col termine greco ekklesia, cioè "riunione" o "assemblea". Questa organizzazione religiosa, la Chiesa, si diffuse in tutto l'impero, prima in oriente e poi in occidente. In mezzo ad altri culti monoteisti anche il cristianesimo si concentrò sulla salvezza dell'anima individuale dopo la morte, il problema più sentito fra continue guerre, saccheggi, soprusi e carestie.

Indice

[modifica] L'incontro-scontro con la romanità

Non da subito il cristianesimo si era distaccato dalle sue origini ebraiche, ma in seguito alla predicazione di Paolo, accettando nella sua setta anche altri cittadini imperiali di diverse tradizioni, mentre altri settori della chiesa cristiana, come la chiesa di Gerusalemme, per alcuni decenni rimase nell'ambito della tradzione giudaica. Nonostante si ispirasse ai valori della Bibbia ebraica, la nuova religione poneva la figura di Cristo e la sua predicazione come l'inizio di una nuova era messianica. Questa religione doveva essere aperta a tutti e non solo a un popolo eletto.

Durante il I e II secolo, presso le comunità cristiane formate da cittadini di tutte le nazionalità, il cristianesimo era quindi andato incontro alla cultura greco-romana. Fin da subito, la nuova religione iniziò ad esprimersi in termini più adeguati al cittadino romano medio abitante nella parte orientale dell'impero. Qui non si parlava latino. Vi sono testimonianze antiche sul fatto che il vangelo di Matteo sia stato scritto nella lingua della Siria, l'aramaico, (l'ipotesi non è certa), ma tutti gli altri in greco, come l'intero Nuovo Testamento. Si usavano termini come ekklesia (assemblea), episcopos (sovrintendente), logos (parola, discorso o verbo) e christos (messia, inviato del Signore). A differenza dell'ebraismo il cristianesimo non era nazionalista, ma universale. Ben presto la nuova religione conquistò l'adesione di pagani anche di classi medio-alte, cominciando ad avere un peso numerico e sociale rilevante. L'opposizione allo sfruttamento della persona umana e la speranza in una giustizia migliore erano diffuse, già da vari decenni, anche nella società greco-romana. Per esempio ne è testimonianza l'opera di Seneca. I cristiani non furono perseguitati costantemente. Ma furono loro concessi parecchi anni di tolleranza, con la possibilità di organizzarsi.

Il movimento, comunque, aveva minato le basi della società antica, rifiutando qualsiasi ruolo sociale all'interno del sistema imperiale, sovvertendo i valori tradizionali e ponendosi come unica religione possibile. Per i cittadini dell'impero romano, in via ufficiale, la supremazia terrena era vista come il risultato della concordia fra tutti gli dèi di tutti i popoli. Per questo motivo Cristo e i suoi seguaci, cristiani, ma "anarchici", erano stati perseguitati. Nel secondo secolo, però, l'impero raggiunse il suo culmine di conquiste e anche di cultura. Lo stato voleva essere una sorta di casa comune per tutti, sforzandosi anche di tollerare le diversità. La legge romana riconobbe infatti una parvenza di legalità al cristianesimo. Il culto degli antenati e la sepoltura dei defunti erano sacri, e ai cristiani fu concesso di pregare per i loro morti.

Certamente il governo non gradiva il formarsi di una grossa organizzazione contraria allo Stato e anche allo spirito tradizionale. Inizialmente l'accordo fra uno stato politeista e il cristianesimo era sembrato del tutto impossibile. Scrittori e filosofi pagani del I secolo avevano accusato i cristiani di crimini contro la società, di lesa maestà e anche di ateismo. Il cristianesimo, infatti, negava l'esistenza degli dèi tradizionali, e a volte li classificava come demoni malvagi. Questo per i politeisti significava essere contro gli dei, cioè contro la divinità, e quindi a-tei. I cristiani in più si opponevano al culto dell'imperatore, considerato indegno di adorazione (riservata all'unica vera divinità) o ancora una diretta espressione del male. Dunque il rapporto della "nuova" religione col mondo "normale" di allora era ambiguo. Nel II e III secolo alcuni "romani" la tolleravano, mentre fra altri era ancora diffusa l'opinione che i cristiani facessero strani rituali e complottassero in segreto contro l'imperatore.

Nel secondo secolo, quello della tolleranza, la polemica fra "pagani" e cristiani si mantenne su un livello di confronto di idee, generalmente pacifico. La risposta da parte del mondo cristiano alle opere denigratorie dei pagani fu affidata agli apologeti, che in greco significa più o meno "avvocati difensori". L'ambiente di "incontro-scontro" produsse un certo interscambio fra le diverse correnti di pensiero, portando avanti il sincretismo fra tutte le religioni e le filosofie esistenti. Nel III secolo però l'ideologia imperiale da "civile" divenne religiosa. La razionalità dello stoicismo caratteristica del "secolo d'oro" lasciò il posto a un ritorno della mistica di tipo platonico.

[modifica] Stato e Chiesa verso il monoteismo

Mentre il cristianesimo si diffondeva, la Chiesa, come istituzione, era ancora in fase di formazione. Per i primi secoli l'organizzazione fu composta da una rete di comunità uguali, che si tenevano in continuo contatto e scambiavano tra loro le opinioni in materia politica e soprattutto religiosa. Queste comunità tendevano a raggrupparsi intorno ai vescovi, i rappresentanti, più in vista. In un periodo di tolleranza, nelle varie parti dell'impero, non pochi vescovi e intellettuali, ad esempio Tertulliano (160-220 circa), si guadagnarono sufficiente libertà ed autorità per alzare la testa contro la violenza delle repressioni governative. Fra i cristiani, però, vi erano numerose correnti, o eresie, estremiste contrarie a qualsiasi compromesso con l'impero e ben presto la situazione degenerò. In un periodo in cui l'impero subiva per la prima volta le ritorsioni dei popoli di frontiera (irruzioni dei germanici marcomanni) Marco Aurelio (161-180), l'imperatore filosofo che anteponeva gli interessi dello Stato ai suoi personali, fece avviare una radicale repressione contro chi disturbava la pace sociale. I cristiani non erano accusati esplicitamente, ma in Gallia l'azione si trasformò in una vera e propria persecuzione.

Nel I secolo i seguaci del Cristo erano visti come una specie di gruppo anarchico, che sebbene non-violento veniva invece mistificato e utilizzato come capro espiatorio. Questa idea si andò attenuando fra II e III secolo. Ma proprio nel terzo secolo, quando ritornerà "di moda" la religione anche fra gli altri cittadini imperiali, lo scontro si riacutizzerà. Quando nuove guerre, irruzioni di goti, franchi, alamanni e carestie vessarono tutta la popolazione gli scritti cristiani tornarono ad essere fanatici e apocalittici, come quelli del primo secolo. La guerra esasperò le tensioni sociali. E alcuni governi si fecero portatori di una sanguinaria ideologia conservatrice. Ne seguirono delle violente repressioni (vedi più sotto). Le persecuzioni, però, accellerarono il movimento, già in corso, di unificazione fra la cultura pagana classica e quella cristiana ufficiale, isolando i movimenti alternativi, come quello gnostico.

La maggior parte degli imperatori del II e III secolo non furono anti-cristiani. Alcuni imperatori del terzo secolo, sebbene non cristiani, erano comunque monoteisti. Ad ogni modo la vita dei cristiani era sempre a rischio d'ansia. Infatti nei periodi di tolleranza, quando non era stata proclamata alcuna repressione ufficiale, se un cristiano veniva citato in giudizio con un'accusa specifica, di crimini contro la società, di lesa maestà o di ateismo, doveva presentarsi a rendere conto davanti allo Stato. La legge romana era molto tradizionalista e, nonostante la presenza di alcuni senatori e nel III secolo imperatori tendenzialmente monoteisti (Eliogabalo, Filippo l'arabo, Aureliano), le norme che prescrivevano il culto di Roma e della figura del sovrano non avrebbero potuto essere cambiate di punto in bianco. Gli atti di culto imperiale erano sempre stati considerati una specie di segno di sottomissione e di accettazione del governo. Una sorta di giuramento per ottenere la cittadinanza. Inoltre una discreta fetta della popolazione era ancora legata alla vecchia religione e a una mentalità non cristiana. In linea teorica i nuovi editti imperiali avrebbero dovuto adeguarsi alla tradizione romana e alla volontà popolare. La tradizione romana alle spalle dei governanti era molto solida: durante il periodo classico era stata la "volontà di potenza" degli uomini, codificata nelle istituzioni e nelle leggi, ad agire attivamente e a fare la storia. L'Uomo aveva deciso il suo corso. Poi piano piano tutto sembrò dipendere da un destino esterno, da una volontà superiore, da un Dio supremo.

Nelle profondità dell'anima, il monoteismo veniva sempre più accettato come una possibile, e magari, corretta visione generale del mondo. Anche il politeismo infatti tendeva a forme di "unificazione" e i diversi dèi venivano considerati ormai come delle "potenzialità" di una sfera divina complessiva. Gli imperatori monoteisti del III secolo, compreso Costantino prima della conversione, adoravano il dio Sole, che racchiudeva in sé un gran quantità di antichi "dei", come l'egiziano Horus, il greco Apollo e il persiano Mitra. Però, nonostante il monoteismo fosse molto diffuso, la società, la legge e la cultura erano così tradizionaliste che ne tenevano poco conto.

Inizialmente i cristiani erano stati contrari al governo terreno. Per le loro opinioni troppo mistiche e rivoluzionarie erano stati perseguitati. Ciò nonostante la fede in una realtà oltre-mondana che giudicava il cuore degli uomini si diffuse in tutto il mondo. Man mano che il cristianesimo si diffondeva fra le classi agiate che una volta erano politeiste, anche nei nuovi cristiani, vescovi, aristocratici e intellettuali del III secolo, l'opposizione a un possibile governo imperiale diminuiva sempre più.

[modifica] La "grande chiesa"

Nonostante le pretese dei futuri storici della Chiesa, il vescovo di Roma, nella prima metà del III secolo, godeva della stessa considerazione degli altri vescovi importanti, come ad esempio quello di Lione, di Alessandria o quello di Antiochia, in Siria. Il fenomeno cristiano si stava trasformando, lentamente, da una serie disomogenea di ekklesie - "riunioni" intese nel I secolo come "comunità di accoglienza" - in una organizzazione molto più vasta, organizzazione chiamata nel complesso la "grande ekklesia" o chiesa cattolica. "Cattolico" ed "ecumenico" sono due termini greci che si diffusero nel III secolo. Hanno un significato simile: mondiale, universale o globale. Le catacombe erano presumibilmente solo dei cimiteri sotterranei, dove venivano celebrate delle "messe" per i morti. Le normali riunioni dei fedeli venivano celebrate nelle case (domus) degli aristocratici convertiti. Il fenomeno di unificazione non fece svanire il senso di comunità e la "grande chiesa" che ne derivò continuò a considerarsi una "grande comunità".

Nel terzo secolo le singole comunità locali furono caratterizzate dalla tendenza alla gerarchizzazione. La comunità di fedeli era sempre più vasta e disposta ad accettare la guida degli "anziani", i presbiteri o preti, che intercedevano fra il popolo e Dio. I rappresentanti dei sacerdoti nelle varie comunità - i vescovi - curavano attentamente i rapporti degli uni con gli altri, discutevano di problemi dottrinali e si dedicavano anche all'economia dei terreni comuni. Dato che il cristianesimo si stava diffondendo in ogni ambito sociale, le proprietà dell'organizzazione crescevano grazie ai commerci, ai testamenti e alle donazioni, fra cui spiccavano quelli della popolazione femminile di classe elevata. Spesso le coppie di allora, angosciate dal futuro, non avevano figli. Spesso le donne rimanevano vedove. E i sacerdoti cristiani furono fra i pochi ad occuparsi di queste categorie di persone.

Mentre la comunità cristiana si sviluppava, durante il II secolo, il governo si era adoperato per evitare palesi calunnie e inutili requisitorie contro i cristiani, da parte di cittadini ricchi che agissero per motivi personali, magari aizzando le folle, ricorrendo alla tipica politica del "caprio espiatorio". Alla metà del III secolo la civiltà era completamente unificata. Nel 212 Caracalla, un imperatore di origine orientale, aveva esteso per legge la cittadinanza romana a tutte le popolazioni romanizzate, in Europa, come in Asia, come in Africa. E anche i cristiani ormai venivano considerati "cittadini romani". Non si nascondevano di certo nelle catacombe: i preti e i vescovi, all'aperto, potevano acquistare sempre più credito, grazie ai loro discorsi in difesa dell'Uomo. Quindi, nonostante le persecuzioni di massa indette da alcuni imperatori, per il resto la sentenza in un "normale" processo contro cittadini cristiani non era affatto scontata. Il fenomeno delle denunce private non si può certo paragonare per estensione né alle persecuzioni del III secolo (vedi sotto) né ai processi della futura inquisizione cattolica. Un processo era sempre possibile, ma si svolgeva con avvocati difensori e tutto quanto era necessario alla giustizia. La nuova religione aveva fatto breccia da tempo anche fra i potenti. Non era uno scontro fra ricchi e poveri. Singoli imperatori o singoli magistrati potevano perseguire i cristiani, ma c'erano anche conversioni in settori nevralgici dello Stato, quali la burocrazia imperiale e la magistratura stessa, che potevano sostenere sempre meglio l'espansione della comunità. Se da una parte cristianità e romanità erano in rotta di collisione, dall'altra si stavano compenetrando.

Inoltre il controllo militare della dinastia dei Severi (193-235), la successiva anarchia (235-284) e i contemporanei attacchi esterni fecero precipitare la situazione, favorendo l'espansione stessa di tutte le religioni e le filosofie "salvifiche", che forse oggi definiremmo fondamentaliste. Mentre i funzionari tradizionali erano sempre più attenti ai loro affari privati, il popolo cristiano trovava conforto e sicurezza nella presenza degli amministratori ecclesiastici. Le figure dei presbiteri (preti, padri, o anziani) e dei vescovi emersero a tal punto dal grigiore delle istituzioni che buona parte della cittadinanza, anche quella non credente, iniziò a trattare i vescovi per la loro reale importanza, al di là di quanto stabilito dalle leggi. Durante il periodo di "anarchia" (235-284) il ruolo della Chiesa divenne di fatto più importante di quello statale e ottenne dei riconoscimenti in campo giuridico, da parte di magistrati convertiti, prima che le fossero concessi i relativi diritti a livello "costituzionale" (cioè con gli editti dell'imperatore).

[modifica] Le grandi persecuzioni

La religione e la filosofia antica erano sull'orlo della sconfitta. Un po' dovunque si era diffusa la tendenza a criticare i metodi violenti delle istituzioni e il cristianesimo aveva raggiunto anche le classi privilegiate. Ma gli imperatori tradizionalisti, che miravano a ripristinare la "forza della vera romanità", reagirono con violenza al diffondersi della nuova mentalità.

Nel terzo e quarto secolo furono quattro i governi nettamente anti-cristiani: quelli di Massimino il Trace, Decio, Valeriano e Diocleziano. Già nel 202 Settimio Severo (193-211), pur tollerando la presenza dei credenti di fatto, aveva vietato espressamente nuove conversioni al giudaismo e al cristianesimo. In un clima di incertezza, ma di generale tolleranza, contro una crescita che sembrava inarrestabile soprattutto in Africa, la repressione si fece serrata e quotidiana. Severo, notoriamente preoccupato per le condizioni dell'esercito, forse voleva impedire che il cristianesimo si propagasse nella classe dirigente e col cristianesimo si diffondesse anche l'antimilitarismo.

A differenza di quelle del I secolo, le repressioni degli imperatori anti-cristiani di questo periodo divennero, dato l'elevato numero dei cristiani, persecuzioni di massa. Dopo le deboli repressioni di Marco Aurelio e di Settimio Severo, allo scoccare dell'anarchia militare, nel 235, l'imperatore-soldato Massimino promosse un sistema di persecuzione statale diretto, ripristinando praticamente la politica del caprio espiatorio, caratteristica del primo secolo, e sostituendosi all'azione delle denunce private del "periodo d'oro" (II secolo) intermedio.

Dopo la pesante persecuzione di Massimino il Trace, quella di Decio nel 249 fu la prima delle due persecuzioni estese nella pratica a tutta la popolazione. Essa fu caratterizzata dalla ricerca sistematica dei possibili "responsabili" della crisi di Roma. Ormai la razionalità del II secolo stava lasciando il posto al fondamentalismo anche nel governo. Se prima del "periodo d'oro" i governi erano stati violenti per motivi politici, dopo il II secolo lo diventarono anche per motivi religiosi. Nel 257-58 fu la volta di Valeriano, le cui azioni però erano mirate verso i dirigenti clericali. La seconda repressione con caratteristiche gigantesche e sistematiche sarà l'ultima e la più violenta, avviata nel 305 sotto Diocleziano. Allora i cristiani saranno abbastanza forti da trovare anche un difensore armato, il principe Costantino, erede illegittimo al trono dell'impero. E così nel IV secolo finalmente i cristiani passeranno dall'illegalità alla legalità.

Il terzo secolo era invece un'epoca di forte crisi e ambiguità. Il cristianesimo si muoveva al margine della legge, e a volte, come abbiamo visto, ne fu aspramente combattuto. Probabilmente era un'epoca di enorme disagio psichico: durante i vari decenni di tolleranza concessa per tutto il secolo, i fedeli aumentavano progressivamente e, poi, nei momenti di persecuzione, i martiri (in greco "testimoni") ispiravano e coinvolgevano emotivamente altri adepti. Anche la popolazione non credente era sempre stata stupita dal "coraggio" dei cristiani nell'affrontare la morte. Immolarsi fra tremende torture per raggiungere una situazione sconosciuta e presumibilmente non conscia, forse una non-esistenza, era visto come un segno, quantomeno, di una grande forza di volontà. E gli uomini hanno sempre ammirato la forza. D'altronde non si può negare che quella di morire per le proprie idee è una caratteristica degli eroi.

Nelle persecuzioni c'erano anche dei motivi economici: lo Stato era in crisi e cercava qualche fondo requisendo le proprietà della Chiesa. Questo fu probabilmente lo scopo principale della "persecuzione" di Valeriano (253-260), la penultima. L'organizzazione ecclesiastica possedeva già un discreto patrimonio, espresso in costruzioni e terreni agricoli, procurati coi lasciti testamentari e col commercio. Ma, in genere, lo scopo principale delle "persecuzioni" non era di recuperare un mero vantaggio economico. Il capitalismo, sebbene esistente di fatto, non aveva la benché minima considerazione nella mentalità di allora. L'industria era praticamente assente. La spinta ad investire non esisteva. Ai tempi di Valeriano l'impero raggiunse il massimo della crisi economica, e questo può giustificare i suoi atti, ma di solito la posta in palio era, per così dire, più alta. I difensori del vecchio Stato pensavano di arginare il diffondersi di una mentalità che i romani vedevano come "sbagliata". Le motivazioni della repressione erano ancorate a una visione del mondo "antica" che stava scomparendo, ma che si voleva ripristinare. Allora sembrava impossibile che una fede così chiusa potesse conquistare i cuori definitivamente. I romani, sebbene superstiziosi (o religiosi), erano sempre stati molto pratici, e non riuscivano a capire l'atteggiamento devozionale dei cristiani. Per i romani tradizionalisti, dopo la morte, c'era solo l'eterno riposo. Quella era la ricompensa per le difficoltà della vita: un otium eterno. Tendenzialmente razionali speravano di costringere i cristiani a cambiare idea, ad accettare la realtà terrena e smettere di sperare in un'inesistente paradiso celeste.

I cristiani però vedevano le cose in modo diverso. Col loro grande numero e la loro grande fede, si opponevano, solo tramite la parola e in modo non violento, all'ideologia della politica imperiale. Combattevano contro lo ius, il diritto, che anziché garantire la giustizia nel mondo ne provocava l'ingiustizia, combattevano, con idee innovative, la concezione romana del diritto e della giustizia. Formavano una vera e propria militia non armata.

[modifica] La milizia pacifista

Dappertutto, più che un'organizzazione “meccanica” e razionale, classica, si percepiva e si studiava l'unità fra il microcosmo umano e il macrocosmo divino. Il mondo e le azioni degli uomini venivano viste sempre più spesso come dipendenti da un'ordine di natura superiore. Un'ordine di natura superiore che diverrà sempre più potente.

Prima della "classicità razionale", cioè prima che gli intellettuali negassero l'esistenza degli dèi, gli uomini avevano creduto che gli dèi influenzassero direttamente le vicende umane. E tale influenza era direttamente proporzionale alla potenza del dio adorato e alla qualità della preghiera eseguita dai fedeli. Ora, dato che tante persone adoravano e pregavano un nuovo dio, ebraico o cristiano, che era sempre stato avversario di Roma, i tradizionalisti religiosi vedevano la crisi dello stato romano come direttamente voluta, e quindi causata, dai cristiani e dal loro potente dio sovrano. Se nel II secolo, razionalista, si erano accusati i cristiani di ateismo, ora si dava per scontata l'esistenza del nuovo dio e si ritenevano i suoi adoratori come i diretti responsabili delle disavventure dello Stato.

Un governo tradizionalista non poteva accettare una tale violenta opposizione spirituale. Durante le irruzioni dei goti nei Balcani, il senatore Decio (244-249) prese il potere alla guida dei suoi reggimenti legionari. Di origine aristocratica, il nuovo imperatore non tollerava la presenza di questa milizia "pacifista". In un periodo di "anarchia militare", l'imperatore aristocratico voleva che i cittadini tornassero a pensare alla vecchia maniera. Voleva che tornassero ad adorare i vecchi déi che avevano portato Roma al successo. Come detto, fece interrogare uno per uno tutti i cittadini, chiedendogli di dichiarare la loro estraneità al cristianesimo.

A quei tempi la vita era in gran parte pubblica. Il “privato” era un'aspetto dell'esistenza veramente marginale. La parola, cioè il fatto di pronunciare delle opinioni, era ritenuta molto importante: gli uomini venivano creduti, in genere, per quello che sostenevano, per le opinioni che esprimevano. Secoli prima, anche la repubblica romana (509-31 a.C.) aveva spesso cercato di reprimere per legge il diffondersi di nuove idee, che avrebbero minato la cultura tradizionale. Non esisteva però nessun sistema di controllo sistematico, soprattutto per quanto riguarda i privati cittadini. Anche se il diritto di associazione non era sempre concesso a tutti, lo stato repubblicano non era mai stato così potente da indurre i nobili a determinate scelte politiche come culturali, anzi si faceva latore proprio della loro libertà. Durante il primo impero (31 a.C.-235 d.C.) la circolazione di uomini, idee e merci era stata persino avvalorata dai governi, i quali aspiravano, in genere, ad una "aristocrazia della mente razionale", un po' come gli illuminsti e i positivisti del 1700-1800, contraria alla religiosità irrazionale dovuta alla paura della morte o all'ignoranza della scienza-umana-razionale. L'impero romano dei primi due secoli e mezzo non aveva mai boicottato così ostinatamente il diffondersi delle opinioni. Ma le guerre esterne e l'opposizione interna erano divenute insostenibili.

Fra i cristiani sorsero diatribe, di natura "psicologica", in merito al dovere di dichiararsi pubblicamente cristiani o meno, in merito alla responsabilità di tale scelta. Molti non volevano rinunciare pubblicamente alle proprie idee e fra quelli più fedeli, o invasati a seconda dei punti di vista, ci fu un gran numero di martiri. Al contrario di quello che si può pensare, l'avversione al cristianesimo non era supportata in massa da una popolazione pagana fanatica. Anzi, nelle quattro persecuzioni del III secolo, compresa l'ultima e più violenta del 303, pagani e cristiani insieme cercarono di indurre i futuri martiri a ragionare e mentire sulla loro fede, evitando il suicidio. Gli unici che possiamo giudicare come dei fanatici esecutori della volontà di sterminio dei governi erano proprio gli esecutori, ovvero i soldati, che per la natura del loro mestiere si prestano a tutti i compiti affidati loro dallo Stato che dovrebbero difendere. La dichiarazione pubblica era comunque l'unica prova che lo stato chiedeva. Ma, per molti, la prospettiva di salvezza ultraterrena, in un mondo pieno di dolore, era già diventata una fede incrollabile.

Alcuni imperatori, quindi, avevano scatenato la forza repressiva contro i cristiani. Altri, e non pochi, li avevano protetti o quantomeno avevano lasciato che il mondo facesse il suo corso, senza entrare esplicitamente negli affari della Chiesa. Contemporaneamente già Paolo (nel I secolo) e altri teologi (nel II e III secolo) avevano cercato di "romanizzare" il cristianesimo, provocando una fusione dello spirito razionale greco-romano con quello "irrazionale" medio-orientale. Ora i vescovi, esasperati dal clima di terrore o forse attirati dalla possibilità di normalizzazione, in numero sempre più alto propendevano per l'accettazione del "secolo", ossia il "mondo terreno", ossia il potere imperiale: si cominciava a discutere se fosse possibile l'integrazione fra il Messia (christos) giudeo-cristiano, la sua Assemblea (ekklesia) e l'impero che una volta veniva considerato "demoniaco". Il Regno di Dio, nella realtà dei fatti, non era arrivato e l'Impero non era stato cancellato dall'arrivo dell'apocalisse finale. I cristiani però erano così tanti e talmente diffusi in ogni settore, anche nell'esercito, che si rendeva sempre più evidente la possibile esistenza di un mondo, o un impero, cristiano. Forse dunque l'Impero doveva esistere e doveva essere quello imperiale il futuro del cristianesimo.

[modifica] Le diatribe teologiche e le eresie

A causa della sua stessa diffusione "universale", cioè fra gente comune, commercianti e intellettuali di differente origine e cultura, la religione di Cristo, appena nata e di natura poco codificata, era andata incontro inevitabilmente a varie interpretazioni. Le comunità religiose del secondo e terzo secolo furono impegnate nella risoluzione di dibattiti interni che portarono alle diatribe teologiche e alla guerra alle eresie. Le questioni fondamentali che si dibattevano nelle diverse comunità riguardavano la percezione della personalità di Gesù, il rapporto con lo Stato e i valori gerarchici già troppo diffusi nell'organizzazione ecclesiale.

Nelle varie città c'erano anche dei gruppi cristiani animati da un forte spirito "eversivo", gruppi che non volevano sottomettersi alle angherie dei potenti locali. La polizia imperiale, formata da reparti (cohortes) dell'esercito, non badava alle singole correnti di pensiero e condannò a morte decine di persone, fra le quali anche importanti vescovi. Lo Stato romano, attraverso una repressione pluridecennale, faciliterà i capi della nuova istituzione religiosa nell'escludere con maggiore fermezza le posizione estremiste, evitando e rimandando per anni lo scontro frontale e favorendo infine l'avvicinamento delle due istituzioni.

Nel III secolo la Chiesa non era ancora un'istituzione monolitica e le opinioni si potevano esprimere con relativa libertà. Alcuni teologi presagivano che ben presto la militia christi, da metaforica sarebbe divenuta reale. Altri, con cupa speranza ed estrema lungimiranza, vedevano nei saccheggiatori germanici dei possibili salvatori, che avrebbero distrutto l'impero e creato un nuovo stile di vita. Altri ancora inneggevano alle rivolte delle "nazioni" contadine, prefigurando la divisione amministrativa di Diocleziano (284-305) e la formazione dei moderni stati nazionali.

[modifica] Voci correlate

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