Discussione:Paleoveneti
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Ho apportato alcune modifiche significative. La più importante riguarda il ripristino del legame di continuità storica tra i paleoveneti e i veneti attuali; che una certa storiografia, chissà perché, tendeva a negare. Si ricorda a tutti che non solo i latini laziali preromani continuano nei romani e nei laziali, ma che anche i paleoveneti continuano nei veneti. Si eviti il falso ideologico e l'insulto di NN ai veneti.--Paolo sarpi II 07:10, 22 gen 2006 (CET)
[modifica] Parentele linguistiche e parentele genetiche
Una certa teoria linguistica sostiene convincentemente come via sia sovrapponibilità tra la mappatura linguistica e quella genetica. Vedasi in proposito i lavori di Cavalli Sforza, Alberto Piazza e altri. Quindi sostenere sfacciatamente con sicumera che non sarebbe possibile stabilire alcuna relazione tra i paleoveneti del Veneto e le antiche popolazioni di Bretagna è quantomeno arbitrario.--Paolo sarpi II 08:09, 22 gen 2006 (CET)
Chi ha fatto l'analisi delle parentele genetiche? e, possibilmente, dove?
- Carlo Morino (ditelo pure a zi' Carlo) Anno 2758 a.U.c.
(CMT)
Si tratta di una teoria linguistica che sostiene come le lingue naturali (i dialetti o i volgari), le cosidette lingue madri o padri, che si trasmettono naturalmente da genitori a figli, da bocca ad orecchio, corrispondono o riflettono in certa misura anche l'eredità genetica. I genitori che ti generano, che ti trasmettono la loro parte di geni, al contempo ti trasmettono anche la loro lingua naturale. Così la lingua assieme ai geni passano di generazione in generazione e taluni possono superare lunghissime traversate temporali di centinaia di generazioni e spostamenti geografici di miliaia di chilometri. Si trasmettono modalità o repertori fonetici e semantici, lessico famigliare, toponimi e tanto altro. Le eccezioni sono molte ma la percentuale di corrispondenza é alta e maggiore delle eccezioni. Così si possono tracciare con buona approssimazione mappe genetico-linguistico-etnico-storico-geografiche, i riscontri di corrispondenza tra la mappa linguistica e la mappa genetica sono elevati. Tenendo conto dell'ausilio di varie discipline.
C'è un libro inerente, di "Luigi Luca Cavalli Sforza-Paolo Menazzo-Alberto Piazza" dal titolo-Storia e geografia dei geni umani- ed. Adelphi.
Per esempio nel vicentino dove son nato e vivo c'è una parola veneta (che non esiste nel latino né in italiano) per indicare l'acqua sorgiva mojna e mojo per bagnato che si trova, quasi pari pari, in antiche lingue mesopotamiche: in accadico acqua si dice mû in ugaritico mj in ebraico majim in aramaico majja (bisogna ricordarsi che 2/3000 anni a.C. non c'erano gli acquedotti né i rubinetti e l'acqua si traeva alla sorgente o al pozzo). Ma nella mia lingua ve ne sono molte altre e forse anche nella tua. Queste parole antiche le ho trovate in un libro di Giovanni Semerano dal titolo "L'infinito:un equivoco millenario" edito da B. Mondadori - Euri 11,50; ti consiglio di leggerlo resterai incantato.--Paolo sarpi II 18:14, 22 gen 2006 (CET)
- Non facciamo teorie personali. Non basta una parola a giustificare l'origine. In Swahili si dice maji, ma questo non basta a giustificare che i Veneti in realtà vengono dal Kenya. -- Ilario (0-0) - msg 01:51, 23 gen 2006 (CET)
Caro Ilario non hai idea di quanto piacere mi abbia fatto, sentire, che anche nella lingua africana Swahili c’è la parola maji per indicare l’acqua (forse acqua sorgiva). Per me è una parola magica, me la sento in bocca, come se la sentivano i S.Sapiens quando con le prime vocali, le prime consonanti, le prime sillabe, nominavano gli universali come l’acqua, la terra, la luce, il buio. il cielo, le piante e gli animali. Mi piace pensare che questa parola minima, questa radice africana si sia diffusa nel medioriente con le antiche migrazioni paleolitiche e sia arrivata sino ai nostri giorni senza perdersi per strada od essere sostituita con altre e stia quà, oggi, nella mia bocca e nella bocca della mia gente che proviene da quelle parti. Me la mastico come una succosa caramella. Gran parte delle parole che ognuno di noi pronuncia nella sua giornata, se le fa girare più a lungo in bocca, perdono ogni significato...proprio perché di quelle parole non ne conosciamo le profondità, la storia e l’origine.--Paolo sarpi II 18:59, 23 gen 2006 (CET)
-
- Una cosa sono le suggestioni, per quanto affascinanti, un'altra i fatti accertati e documentabili. Torno a ripetere che sostenere che gli attuali abitanti della regione Veneto sarebbero in gran parte discendenti degli antichi Venetici (testuale: Gli Heneti, Veneti o Paleoveneti o Venetici sono i progenitori di una buona parte degli attuali veneti), come ancora la voce si ostina ad assicurare, mi sembra un'affermazione alquanto ardita e certamente non dimostrabile solo per via linguistica. A mio parere va rimossa in quanto solo uno studio genetico potrebbe suggerire (senza dimostrare in via definitiva) una tesi del genere. --Piero Montesacro 20:25, 23 gen 2006 (CET)
Dimostrami il contario!--Paolo sarpi II 20:41, 23 gen 2006 (CET)
[modifica] Dimostrazione
Se si afferma una cosa bisogna dimostrare che è vera.
Se non si dimostra che è vera, l'affermazione non ha senso
Ergo...
btw, il mio cognome esiste, identico, anche in giapponese. Ma da qui ad affermare che nel mio codice genetico ci sia del DNA nipponico.....
- Carlo Morino (ditelo pure a zi' Carlo) Anno 2758 a.U.c. (CMT)
p. s. google morino+ .jp
Il sole non ha bisogno di dimostrare che esiste. Forse tu, si! Io, non sono perché penso di essere ma perché sono!--Paolo sarpi II 21:32, 23 gen 2006 (CET)
[modifica] Continuità tra Paleoveneti e Veneti - tra l'evidenza e la negazione
La voce della pagina Paleoveneti così inizia:
Gli Heneti, Veneti o Paleoveneti o Venetici sono stati un antico popolo dell’Italia settentrionale.....
Questa proposizione quindi indirettamente afferma (sottende), che tale popolo non esiste piú, in altre parole che si sarebbe estinto senza lasciare discendenti e che quindi i veneti attuali non sono i discendenti dei Paleoveneti.
Se è vero, come è vero, che, ogni affermazione, di per sé non evidente, per essere valida si deve dimostrare, allora l’affermazione sopra riportata è falsa o non vera perché finora indimostrata (e indimostrabile ?).
Nessuno ha prodotto alcunché a sostegno della veridicità di tale proposizione, oltretutto nessuno ha mai indicato il momento temporale della soluzione di continuità, in cui scomparvero i Paleoveneti e comparvero i Veneti. (Ciò nonostante su Wikipedia l’errore ancora non è stato corretto...perché?)
D’altro canto, l’affermazione che tale popolo antico è il progenitore dei veneti odierni o che i veneti di oggi sono i discendenti dei veneti di ieri o Paleoveneti è di per sè evidente e non ha bisogno di ulteriori dimostrazioni.
L’evidenza più oggettiva almeno per i Veneti è data dalla intima coscienza di sé e per gli altri si forniscono i seguenti elementi:
1)La continuità del nome etnico storico del popolo veneto che sarebbe cambiato se fosse cambiato il popolo; documentato fin dalla protostoria (nella letteratura classica), inoltre la voce stessa Paleoveneti o venetici implica il legame di continuità con i Veneti.
A meno ché non si cambi anche il nome, per estirpare del tutto l’anima veneta, come se ne sono cambiati altri (da quelli dei cognomi a quelli dei paesi, delle strade e delle piazze), ma finora nessuno ha avuto l’ardire feroce di giungere a tanto, non gli intellettuali veneti – storici e studiosi dell’antichità veneta- organici, un tempo al potere romano e oggi a quello italiano (come si conviene a tutti i ceti egemoni dei popoli condizionati da poteri foresti), da Tito Livio a Prosdocimi a Giulia Fogolari, né tantomeno ieri il potere imperiale di Roma né oggi quello statuale italiano. Che non han potuto che limitarsi ad alterare il racconto storico e a celarne le radici identitarie venetiche e venete (senza peraltro riuscire a non farle trasparire del tutto) sotto una coltre di retorica tutta protesa a esaltare la romanità e l'italianità e a negare/rinnegare la veneticità.
2)La continuità culturale (vedasi gli approfondimenti storici, antropologici, etnologici e archeologici, ecc.), leggende e miti riguardanti la sua storia e il suo insediamento in questa terra divenuta la sua Patria da millenni; vedasi le cronache antiche in epoca, pre e post Cristo, che trattano dei veneti e non accennano ad alcun evento catastrofico tale da aver cancellato i Paleoveneti e quindi interrotto la continuità etnostorica.
a)le invasioni barbariche (dai vari racconti leggendari e scritti) non sono stati eventi catastrofici radicali, infatti le minoranze di invasori etnicamente diversi insediatesi in area veneta, nei secoli finali dell’impero romano d’occidente e integratisi con le popolazioni autoctone venete dell’entroterra come ceti egemoni, sono state nei secoli successivi, per opera dei veneti delle lagune e con il sostegno delle popolazioni venete dell’entroterra, assorbite(anche se non integralmente) nella nazione veneta ricostituitasi nell’unità della Repubblica Serenissima Veneta con ordinamenti/patti federali e con capitale Venezia.
b)Il copricapo tipico del Doxe o Doge la mantella (zendal) della Dogaressa sono identici a quelli in dosso ai sacerdoti e alle sacerdotesse raffigurati in una situla Paleoveneta trovata a Vace (terra storica veneta oggi Slovenia) e data al V secolo a.C. (ritrovamento archelogico del xx secolo).
c)L’anello dello sposalizio con il mare che il Doge veneto offriva all'acqua della laguna, era identico agli anelli paleoveneti ritrovati dagli archeologi presso i protostorici templi accanto alle fonti sacre dei veneti antichi. Il rito stesso dello sposalizio del mare è di antichissima origine pagana e paleoveneta, costume religioso che la chiesa cattolica romana non è mai riuscita ad estirpare.
d)Il dono dell’oca raffigurato in taluni reperti archeologici e mantenuto nelle oselle offerte dal Doge ai patrizi.
e)La continuità della figura leonina nelle antiche monete paleovenete e nei simboli della Serenissima Repubblica Veneta.
f)La continuità della sacralità femminile nei culti dall‘epoca matriarcale sino ai giorni nostri, la gran considerazione che sempre ha goduto la donna veneta nella società veneta. Usanze matriarcali nelle questioni patrimoniali sino a pochi secoli or sono in quel di Venezia dove non vì è stata alcuna influenza barbarico-patriarcale come nell’entroterra dovuta ai ceti egemoni invasori. Le feste, i riti, i miti, le leggende.
g)La continuità millenaria del livello sociale-economico-civile sempre ai massimi livelli fin dalle epoche remote, interrotto soltanto dalle fasi delle varie invasioni antiche e moderne e dalle guerre altrui.
3)La società paleoveneta aveva una struttura sociale classista ma il tenore dei rapporti era improntato a una ugualianza di fatto della dignità umana che si è conserva anche in epoca romana (come ci ricordano Polibio e Cassiodoro), spirito veneto che prontamente ha accolto la pacifica ed egualitaria parola cristiana, e poi è continuata nella Repubblica Veneta in modo cosí evidente e ben documentato, com’è evidente la continuità nell’indole laboriosa e pacifica dei Paleoveneti e dei Veneti.
4)Il fatto che in 3.000 anni di storia non vi siano mai state sanguinose guerre sociali, tra le classi venete, come invece è accaduto piú volte a Roma. Il fatto che le guerre in veneto siano state portate soltanto dai non veneti: a)da Cleonimo il pirata greco che secondo la leggenda, dopo essere penetrato con le sue navi, lungo il Medoaco (fiume la Brenta) fin su quel di Padoa, fu prontamene cacciato dalla gioventu patavina in armi; b)dai romani con il loro espansionismo militare e con le loro lotte intestine per il dominio del seggio imperiale; c)dalle invasioni barbariche succedutesi nei secoli; d)dalle agressioni delle potenze europee variamente coalizzate; e)dall’impero ottomano; f)dall’opposizione armata che il patriziato di terraferma, non di origine veneta e discendente dagli invasori barbarici, fece alle riconquista dell’egemonia sulla loro terra storica da parte dei veneti delle lagune, quando Venezia divenne forte; g)dall’invasione dei francesi, poi degli austriaci, poi dai savoiardi; e poi le mostruose guerre europee del novecento.
h)La storica neutralità militare veneta fin dai tempi delle guerre tra Roma e Cartagine sino alla barbara invasione Napoleonica e seguenti. I Paleoveneti come i Veneti di oggi erano e sono gente dedita al lavoro, cioè a guadagnarsi il pane con il sacro sudore della fronte, piú che alla guerra di rapina e coloniale.
i)La continuità della struttura socio-urbana distribuita sul territorio fin dai tempi antichi.
l)Il senso di responsabilità ambientale e sociale dei ceti dirigenti, delle classi venete egemoni, sia politiche che economiche, sino all’arrivo di Napoleone. Quel senso di responsabilità sociale, di onestà, di esemplarità che oggi tanto si invoca per le imprese e il ceto politico.
5)La mancanza di altre ipotesi possibili e sensate, sulla origine dei veneti attuali intesi come popolo (così definito nella storia e in epoca odierna anche dallo statuto o costituzione della Regione Veneto e successivamente confermato dal Parlamento italiano) e non tanto e solo come meri abitanti o residenti o cittadini dello stato italiano situati nella regione veneta.
6)Dall’assenza di argomentazioni contrarie.
Tralascio di considerare gli aspetti genetici e linguistici (in ciò che viene normalmente indicato come mero substrato).
Tralascio anche le nuove scoperte archeologiche in corso di studio: strati paleoveneti sotto l' Aquileia d'epoca romana; centuriazioni del territorio veneto precedenti all'epoca romana; e tanto altro ancora.
Tutto ciò costituisce il fondamento principale della complessa realtà etnica e storica delle voci regionali Veneto e Friuli-Venezia Giulia; dove oltre ai veneti etnici e storici si sono aggiunti altri, che assieme costituiscono gli attuali cittadini veneto-italiani della Regione Veneto, suddivisione amministrativa dello stato italiano.
La bibliografia specialistica, riguardo a quanto da me sinteticamente riportato è vastissima, basta la voglia di documentarsi.
--Paolo sarpi II 20:27, 25 gen 2006 (CET)
[modifica] Risposte
1)Il nome "Veneti" la cui continuità ti sembra così importante , che io sappia è attestato in Omero (in greco e riferito a popolazioni stanziate sulla costa settentrionale della Turchia) e dalle fonti latine. Che sicurezza abbiamo che chiamassero se stessi con questo nome nella loro lingua?
Un forte motivo di discontinuità tra "paleoveneti" e Veneti attuali rimane nella lingua: l'attuale lingua veneta deriva dal latino, quella "paleoveneta" aveva diversa derivazione rispetto al latino (per quelli che non sono d'accordo con Semeraro, appartiene ad una diversa famiglia di lingue indoeuropee) e non se ne sa molto: scritta in alfabeto derivato dall'etrusco, se ne conoscono forse dalle iscrizioni (prevalentemente funerarie o votive) qualche decina di vocaboli, oltre a qualche centinaio di nomi propri.
2) Che io sappia le leggende riguardanti l'insediamento dei Veneti nel Veneto sono un mito di fondazione di origine greca (il troiano Antenore, ecc.), quale ne hanno praticamente tutte le località del Mediterraneo, Roma compresa, narrato per giunta dagli storici in lingua latina ...
Nessun evento catastrofico avrebbe "cancellato" improvvisamente la civiltà paleoveneta: semplicemente questa si modificò lentamente, come accade a tutte le culture, al contatto con altre civiltà, da quella etrusca, al resto del mondo italico, a sua volta influenzato dai Greci e di cui fa parte la stessa Roma alle sue origini. Già in precedenza la civiltà paleoveneta aveva legami con Hallstatt, con Golasecca e più genericamente con le culture diffuse sull'opposta sponda dell'Adriatico. Tutti questi elementi si mescolano fra loro e nuovamente in seguito si mescolano con altri per creare quella che conosciamo come civiltà romana.
Un buon indizio è dato dal principale prodotto, in campo storico-artistico, della civiltà paleoveneta, ossia le situle (letteralmente "secchi"), ovvero contenitori metallici: queste vengono prodotte in sempre minor numero fino a quasi sparire intorno al IV secolo AC: semplicemente "passate di moda". Parallelamente, a giudicare dalle raffigurazioni, tendono a sparire i costumi tradizionali e la stessa lingua.
a)Le invasioni barbariche non sono state in nessun luogo "eventi catastrofici radicali" e i guerrieri barbari, già ampiamente romanizzati e cristianizzati, sono stati ovunque assorbiti dal punto di vista etnico dalle popolazioni locali.
b)Avessi detto che sono simili a "tutte" le raffigurazioni di sacerdoti e sacerdotesse presenti su manufatti paleoveneti si potrebbe cominciare a discuterne, ammesso comunque che:
- le raffigurazioni dell'arte paleoveneta fossero in genere improntate al realismo in misura sufficiente da riconoscere i particolari dell'abbigliamento in modo talmente chiaro da stabilire delle concrete somiglianze - il corno dogale, non assomigliasse al "berretto frigio" presente in moltissime raffigurazioni (da Mitra ai Daci): dobbiamo allora ipotizzare un'origine orientale o rumena della Serenissima?
c) Secondo la leggenda lo sposalizio del mare fu una facoltà concessa a Venezia dai papa Alessandro III, in ringraziamento dell'opera di mediazione svolta dal doge Ziani tra il papa stesso e Federico Barbarossa. Da cosa sarebbe attestato un simile rito nell'ambito della civiltà paleoveneta, che da quel che so io non dovrebbe aver avuto un rapporto con il mare paragonabile a quello che ebbe più tardi Venezia?
d) di questo non so nulla: puoi indicarmi in che cosa consiste il "dono dell'oca" e/o (meglio) quali sono questi reperti?
e)Se per questo la figura leonina si trova come simbolo di forza e regalità praticamente in tutte le civiltà antiche. Quanto al Leone della Serenissima è il simbolo dell'evangelista San Marco, scelto insieme agli altri tre simboli degli evangelisti, nell'iconografia dei primi cristiani, sulla base di un passo di Ezechiele e delle creature poste nell'Apocalisse presso il trono di Dio. Se poi vuoi suggerire che la scelta del santo protettore di Venezia derivi dal desiderio di mantenere un simbolo paleoveneto (ammesso che sia stato davvero il leone un simbolo così importante per i paleoveneti)....
f) Costumi sociali di particolare rispetto per la donna non sono necessariamente collegati ad una società matriarcale protostorica.
g) questo si potrebbe dire per buona parte delle civiltà europee.
3-4)Non mi risulta affatto che la Serenissima sia stata una potenza pacifica. Quindi, ammesso che i paleoveneti lo siano stati (peraltro si allearono con Roma contro i loro vicini Celti: quale neutralità veneta?), dove sta la continuità? Quanto alle "guerre sociali tra le classi", quelle di Roma sono conosciute dagli storici che le hanno raccontate, mentre i paleoveneti non hanno lasciato una storia scritta e dunque non ne sappiamo nulla: cosa che ovviamente è diversa dal dire che "non ce ne sono state".
i)La "continuità della struttura socio-urbana distribuita sul territorio" vale praticamente per l'intera Italia e per buona parte delle civiltà (pensa ai tell anatolici con la sovrapposizione degli insediamenti per millenni che ha formato vere e proprie colline artificiali) e ovviamente non vuol dire nulla.
l)Di nuovo: non mi pare che la storia della Serenissima sia stata significativamente diversa da quella delle altre potenze italiane contemporanee.
5) È che l'ipotesi più sensata a te sembra non piacere particolarmente: i Veneti attuali sono, come buona parte delle attuali popolazioni europee, frutto della mescolanza etnica e culturale derivata da influssi reciproci, contatti e movimenti delle popolazioni, sviluppando, nell'ambito della più vasta cultura europea occidentale (derivata a sua volta dalla fusione di civiltà romana e cristianesimo), una serie di caratteristiche locali che permettono loro di rivendicare, come tutte le atre culture regionali europee, la propria specifica identità e la propria lingua, secondo il proprio sentire. Non c'è proprio nessun bisogno di rifarsi ai paleoveneti per dare dignità a questa aspirazione.
6)Ah si?
Aggiungo: che Aquileia fosse un'insediamento paleoveneto prima di essere una città romana non ha nulla di sorprendente: questo accade praticamente in tutte le città fondate dai Romani e proprio la fondazione di città (parliamo delle parti occidentali dell'impero, in generale poco urbanizzate prima della conquista romana) è per l'appunto un veicolo di romanizzazione.
--MM (msg) 00:38, 28 gen 2006 (CET)
[modifica] Atteggiamento degli storici e degli studiosi veneti nei confronti della storia e dell’identità veneta.
Un caso attuale e tipico :
Loredana Capuis
(archeologa e storica all’università di Padova e docente di civiltà italica preromana, e membro dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici)
che nel suo libro divulgativo intitolato “I Veneti” e sottotitolato “società e cultura di un popolo dell’Italia preromana”, nella pagina introduttiva , dopo qualche paragrafo per dare un inquadramento storico geografico generale della penisola italica, arrivando al veneto cosí scrive:
X regio divenne l’ampio territorio dell’Italia nordorientale e, con nome piú completo codificato a partire dall’età di Diocleziano, X regio Venetia et Histria. Seppur comprendente anche minoranze etniche etrusche, retiche, carniche, istriane, è certo che il nucleo preponderante era costituito da quei Veneti che, già al volgere del II millennio a.C. per tutti il I, qui svilupparono la loro civiltà cui corrispose tra l’altro, a partire dal VI secolo a.C., una specifica tradizione scrittoria, eco di una precisa unità linguistica.
“Paleoveneta” è stata convenzionalmente definita questa civiltà e, “Paleoveneti” gli artefici, per non creare equivoci con i Veneti attuali, ma sembra piuttosto giusto recuperare la storicità del nome. Le fonti classiche offrono infatti indicazioni precise e compatte per Veneti: un veneto tra l’altro. Tito Livio nativo di Padova, narrando le vicende di Antenore, dei Troiani e degli Eneti che con lui giungono nelle terre adriatiche – in intimun maris Hadriatici sinum – dice espressamente che qui il nuovo popolo ricevette il nome di Veneti – gens universa Veneti appellati - . Restituiamo dunque al “popolo” ed alle sue manifestazioni culturali la denominazione storica. .............
E nella pagina finale del suo libro cosí termina:
E piace concludere con le parole di Giulia Fogolari: “Ostiala Gallenia, donna veneta andata sposa a un romano [...] sta lí ritta sul carro, riccamente abbigliata da signora paleoveneta per il viaggio ultraterreno, a dirci, con piena dignità, sulla soglia dell’era volgare, che la civiltà paleoveneta è tramontata di fronte alla superiore realtà di Roma.
Leggendo queste righe
è lampante come il materiale storico ed etnico trattato, sia confezionato in una cornice ideologica, tipica di tutte le opere analoghe, ancorché meno divulgative e piú specialistiche prodotte dai tecnici delle università statali italiane a partire dalla fondazione del Regno d’Italia. Infatti nei testi antichi come per esempio negli scritti del veneto Tito Livio e di altri, non si fa mai alcun accenno alla scomparsa o alla discontinuità dei Paleoveneti-Veneti in epoca romana pre e post Cristo.
È evidente come non sia indicata in alcun modo la fine di questo popolo, infatti si parla di civiltà paleoveneta che avrebbe lasciato il posto alla superiore civiltà romana, ma non si dice affatto che i veneti si sono estinti per essere sostituiti con i romani. Si racconta della veneta Ostiala Gallenia andata in sposa a un romano, ma non si sa se questo romano fosse un veneto oppure altro, poiché la romanità era per le genti italiche di quel tempo una condizione generale di cittadinanza che non si può confondere con l’etnia, anche se il legame di cittadinanza romana era inquadrato nelle gens. Si parla di questa donna (patrizia paleoveneta) ma non si dice alcunché degli uomini paleoveneti, non si dice se essi siano tutti morti o se siano finiti in schiavitú dispersi nell’impero, né se tutt’a un tratto, per una strana mutazione genetica improvvisa e generalizzata, siano divenuti tutti omosessuali e si siano trasformati in eunuchi vogliosi di offrire la loro corolla al pistillo romano, come in gioventú fece il Caio Giulio Cesare con Nicomede IV Re di Betinia, al quale ardeva d’offrire la sua rosea morbida corolla romana e che i suoi legionari amorevolmente e scherzosamente chiamavano Bithynica Regina. Non ci dice nemmeno se questa signora veneta “Ostiala Gallenia”, fosse l’ultima dei Veneti antichi. Non ci dice alcunché di tutto il resto. Non ci dice alcunché della maggioranza del popolo paleoveneto limitandosi a trattare del suo minoritario ceto patrizio. Confonde l’etnie romana e veneta con la cittadinanza romana, eleva la civiltà romana annientando quella veneta, cosí con un semplice schiocco di penna per pura ideologia di casta, di stato e di conveniente opportunismo. Ma noi sappiamo da dove arriva la grandezza e la ineguagliata civiltà del Veneto di oggi, delle sue città a misura d’uomo, della sua gloriosa capitale e regina dei mari Venezia, della felicissima Repubblica Serenissima e dello Spirito Veneto che ci anima e ci sostiene ancora oggi e nella dispora e nell’oppressione.....
Il libro "I Veneti" di Loredana Capuis è l'edizione Longanesi del 1993.--Paolo sarpi II 11:34, 27 gen 2006 (CET)
- Tu non hai chiara la distinzione tra "cultura" ed "etnia" e mi pare che le volgarità gratuite di cui ti è piaciuto costellare il tuo discorso possano dare la misura della profondità del tuo pensiero e di quanto poco hai compreso la natura della civiltà romana (o anche di quella veneta, se è per questo). --MM (msg) 21:38, 27 gen 2006 (CET)
[modifica] Veneto, colonia romana?
Nell’articolo cosí sta scritto :
I Paleoveneti ebbero con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell'aiuto della città laziale per allontanare la minaccia costituita dall'invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di stabilirsi pacificamente nell'odierno Veneto, e in definitiva di colonizzarlo costruendo strade, ponti e villaggi.
Anche l’Italia avrebbe colonizzato la Libia, la Somalia, L’Etiopia, l’Eritrea, costruendo ponti e strade e accampamenti militari, facendosi strada con i lanciafiamme a tutto spiano. Ma gli etiopi, i libici, i somali sono sempre gli stessi non sono diventati né italiani né romani.
Anche gli americani sono presenti in Veneto e in Italia con accampamenti militari e hanno costruito vie aeree e vie d’acqua per le loro macchine da guerra volanti e navali. Allo stesso modo si può dire che l’Italia e il Veneto sarebbero colonie americane? Comunque sia non si confonda però il termine colonizzazione con civilizzazione in quanto caso mai sarebbero stati i romani a civilizzarsi al contatto con i veneti e altri e non viceversa come si vorrebbe dare ad intendere.
Cosí scriveva dei romani, a suo tempo, Tacito (per citarne uno soltanto dei tanti): «Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace»,
Si ricorda che l’alfabeto venetico [che non corrisponde alla lingua venetica orale ma soltanto alla lingua franca e multinazionale usata dai veneti (paleoveneti) a quell’epoca, assieme a tanti altri popoli, come poi fu il suo derivato latino, com'è stato poi l’italiano e oggi l’inglese] è antecedente a quelli (simili e da esso derivati) etrusco e laziale poi evolutosi in quello chiamanto latino. Antecedente perlomeno stando alle datazioni archeologiche, non in ordine ai ritrovamenti bensì alla datazione storica dei reperti stessi 8tralasciando di considerare l'afabeti retico e ligure). Anche se la vulgata comune (ovviamente!) vorrebbe l’alfabeto etrusco alla base di quelli venetico e latino. Le migrazioni indoeuropee (non meglio o altrimenti definite), dall’Europa centro-orientale e dal medioriente si sono articolate piú per via terra che per via mare (leggende a parte) e l’ingresso ovvio nella penisola italica era a nord-est in terra veneta. In età del bronzo e nella prima età del ferro l’area europea piú evoluta e industrializzata e civile era l’area carpatico-danubiana quando ancora i popoli pastorali del Lazio erano dediti all’abigeato, alle rapine e al ratto delle donne altrui.
I veneti(ch'erano minimo bilingue)avevano già da secoli, se non da millenni, case, strade e ponti. Quelli che si dicono costruiti dai romani, in realtà erano stati costruiti da altri (dai veneti in veneto e su loro progetto), perché i romani sapevano a malapena maneggiare la spada ed erano massimamente esperti nell’arte dell’inganno e del ricatto, da ricordare i figli dei capi dei vari popoli, sequestrati per obbligare i loro genitori a sottostare ai loro comandi.
La chiamano la nobile arte della guerra.--Paolo sarpi II 21:32, 6 feb 2006 (CET)
[modifica] Veneto inserito nella civiltà romana
- La colonizzazione italiana in Libia è durata cinquant'anni, comprendendo anche la fase post-coloniale, quella romana in veneto, dopo circa un secolo e mezzo di progressiva "acculturazione", poco meno di mezzo millennio, escludendo la continuazione dell'impero bizantino. Le basi americane sono poste al di fuori del territorio statunitense, gli accampamenti militari romani in Veneto erano in territorio governato da Roma. Non sono affatto situazioni paragonabili.
- Non si confonde affatto colonizzazione e assorbimento culturale: non si tratta di aver portato la civiltà tra i barbari (come si fece anche da parte degli Europei in America e Australia), ma di aver assorbito un identità culturale che permane come sostrato e influenza, ma non sopravvive più autonomamente in nessuna forma riconoscibile.
- L'alfabeto in cui sono scritte le iscrizioni che possediamo in lingua venetica è un derivato dall'alfabeto etrusco, a sua volta derivato da quello greco in uso nella colonia greca di Cuma, dal quale deriva anche l'alfabeto latino utilizzato dai Romani. Non mi risultano reperti con iscrizioni venetiche datati in epoca precedente al VI secolo.
- Nell'età del bronzo l'area europea più evoluta sarà senz'altro stata l'area carpatico-danubiana, ma nel II secolo AC, epoca a cui risalgono i primi contatti tra Veneti e Romani, tra loro alleati, (ossia almeno cinquecento anni dopo), le capacità costruttive e ingegneristiche dei Romani erano all'avanguardia in tutto l'ambito mediterraneo e i ponti da loro costruiti erano ponti in muratura con piloni e arcate, che spesso sopravvivono ancor oggi, che dubito assai i Veneti avessero in epoca protostorica.
--MM (msg) 17:42, 9 feb 2006 (CET)
- Aggiungiamo che non è possibile usare gli stereotipi di oggi all'età antica. Tante volte i Romani non erano conquistatori o colonizzatori, a volte erano chiamati proprio per dirimere situazioni controverse (ad esempio in Sicilia) e ancora di più non distruggevano le civiltà esistenti. Se la civiltà venetica fosse stata veramente forte e progredita avrebbe avuto sui Romani lo stesso effetto che esercitò la Grecia ellenistica. - Ilario (0-0) - msg 17:55, 9 feb 2006 (CET)
Caro Ilario, tra gli innumerevoli casi, a parte il genocidio dei Veneti antichi nell’attuale Bretagna, ti ricordo la distruzione di Gerusalemme (nel 70 d.C.) e la dispersione degli Ebrei per il mondo (e la loro continua tragedia), sempre ad opera dei romani, che certamente nessuno aveva invitato a dirimere controversie. Non aggiungo altro! --Paolo sarpi II 21:26, 10 feb 2006 (CET)
Rispondo a MM
È un fatto che i paleoveneti siano gli antenati dei veneti (etnici o naturalizzati e di cultura) e mi sembra che le tue argomentazioni non dimostrino per nulla il contrario, continuano a girare soltanto intorno per alzare polvere e impedire di verderci chiaro.
Per quanto concerne lo sviluppo della tecnologia costruttiva (vedasi strade, ponti e palazzi), questa è semplicemente un prodotto dei tempi, con il concorso di tanti, ieri come oggi. Il fatto che gli Stati Uniti siano all’avanguardia in certe tecnologie di portata mondiale e influenzino la vita e la cultura del mondo intero non significa minimamente che il mondo intero sia divenuto americano o meglio statunitense. Inoltre ogni epoca ha le sue mode o i suoi stili predominanti che nulla tolgono alle altre specificità. La tecnologia e la moda non fanno la cittadinanza e queste non fanno la nazionalità, né l’etnia, né la cultura nel suo complesso. I veneti-paleoveneti erano divenuti cittadini romani e hanno vissuto come tanti altri l’epoca storica denominata romana, e non per questo hanno smesso di essere veneti o sono scomparsi.
È un fatto che la datazione dei primi reperti con iscrizioni venetiche sia “controversa” e che comunque l’ipotesi di datazione piú recente è contemporanea a quella del piú antico reperto etrusco, intorno al VI sec. a.C.. L’ipotesi di derivazione della lingua scritta dal greco riproduce la vulgata che tutto deve venire prima dal greco, poi dall’etrusco, infine dal latino, ma non è minimamente dimostrata; è sempre il solito racconto viziato dalla non conoscenza dello sviluppo storico-geografico delle lingue, prima delle scoperte archeologiche mesopotamiche (ma non solo) e condizionato dalla teorizzazione ideologica che tutto deve per forza venire da Roma e dintorni e più in là dal greco (lingua, cultura, civiltà), il resto ha cessato di esistere.
Per quanto concerne le lingue, continui a confondere la lingua scritta con le lingue orali e mai ti riesce di dimostrare come le lingue orali d’un tempo possano essere scomparse e si siano trasformate in una delle tante varianti del latino volgare (che altro non vuol dire che continuazione del sostrato a fianco del latino propriamente detto), credendo forse che la mancanza di testimonianze dirette delle lingue parlate un tempo e la non sufficente considerazione della testimonianza viva delle specificità-diversità attuali bastino a negare la continuità storica delle lingue dei popoli, che gli studiosi di fama mondiale mai osano di negare apertamente (sfacciatamente) limitandosi tutt’al’piú a ridurle a sostrati. Ed è comunque sufficente l'esistenza del "sostrato" a dimostrare la persistenza e la continuità storica delle lingue antiche, anche se tu e altri continuate a chiamarle varianti popolari del latino volgare piuttosto che con il loro nome e cognome proprio.
Per me potete chiamare le cose come vi pare, io chiamo la mia lingua “lingua veneta” e basta la sua sostanza linguistica a dimostrare la sua unicità, specificità e diversità nonché le sue naturali affinità con le altre in ambito universale-mesopotamico-anatolico, indoeuropeo, italico, latino e continentale. Ripeto l’affinità non è derivazione ma implica antiche radici comuni, corrispondenza e reciproche influenze, tutto quà.
Questa insistenza nel negare la varietà veneta della lingua umana e porla arbitrariamente come derivata dal latino non è un fatto scientifico ma ideologico o tutt’al piú fideistico,(basterebbe dire "affine" e si chiuderebbe la polemica). E si sa che la fede non si discute. Però anche la fede è un fatto! In ambito genetico le variazioni geniche tra l’uomo e la scimmia sono pochissime e ancor meno quelle tra i vari popoli, ciò nonostante l’uomo è diverso dalla scimmia e gli uomini sono diversi tra di loro. Ogni uomo parla la sua lingua e taluni anche piú lingue.
Un tempo taluni si credevano che tal’altri uomini fossero senz’anima o mezzi uomini ed anche per loro questa credenza era un fatto. Io non sono una credenza né una cassapanca, sono un uomo intero e dotato di anima e mi ritengo fattualmente veneto di nome, di cultura, di civiltà, di lingua, di nazionalità anche se di sangue misto e di cittadinanza italiana come un tempo i miei antenati hanno avuto anche quella romana. Non ho alcun bisogno di sentirmi latino, romano o altro, mi basta e avanza come la creazione-evoluzione mi ha fatto, Veneto! Per essere cittadino italiano non ho bisogno di negare me stesso come veneto e se qualcuno mi pone di fronte alla scelta tra l’essere veneto e l’essere italiano io non ho dubbi su cosa preferirei, sarebbe come scegliere tra l'essere e il non essere.
Anche la sensazione è un fatto, come quella degli Ebrei che dopo la distruzione di Gerusalemme, crimine romano, furono dispersi sulla terra e quella che tu chiami “sensazione” gli tenne uniti per quasi duemila anni e consentì loro, raminghi per il mondo, di sopportare immani tragedie e dopo 19 secoli di ritornare nella loro terra d’origine che difendono non solo con le unghie e con i denti.
Per me essere veneto è come per un ebreo essere ebreo: una sensazione, uno spirito, una religione, una cultura, un amore, la vita.--Paolo sarpi II 22:58, 10 feb 2006 (CET)
Per la tua risposta a Ilario: i Romani come direi tutte le potenze antiche e direi persino moderne, si sono macchiati di azioni orribili e di massacri. Nessuno lo nega. Se si voglia affrontare un giudizio storico serio, tuttavia, si dovrebbe essere capaci di esaminare tutti gli aspetti di una civiltà: purtroppo non mi sembra che tu abbia alcun interesse ad affrontare un discorso di questa complessità.
- Tu affermi che la cultura paleoveneta, le cui tracce oggettivamente riscontrabili spariscono dal I secolo d.C, continui nella cultura attuale, senza alcuna prova al di fuori dei tuoi personali sentimenti e sensazioni (che nonostante, mi rendo conto, la tua difficoltà ad ammetterlo, non costituiscono una prova) e questa continuità non è in nessun modo un fatto. L'eventuale continuità etnica ove fosse scientificamente provata, cosa che non è ancora, non c'entrerebbe comunque un bel nulla (i geni non sono portatori di "cultura" o modi di pensare: prova a leggere l'articolo razza e in particolare la sua sezione intitolata "L'evoluzione del concetto di razza umana").
- Dai dati archeologici risulta che il Veneto in epoca romana è pienamente inserito nella cultura romana come qualsiasi altra regione italiana e come molte delle province conquistate dai Romani. Così come noi siamo parte insieme agli Stati Uniti di una comune "cultura occidentale" (nonostante la significativa differenza che amministrativamente non facciamo nemmeno parte di un "impero americano" e che, per esempio, le nostre iscrizioni funerarie continuiamo a scriverle in italiano e non in inglese americano: se questi confronti storici tra situazioni passate e attuali debbono servire a comprendere meglio le cose andrebbero quanto meno fatti correttamente). La cultura dei paleoveneti si è fusa nella cultura romana e non ha lasciato alcuna traccia oggettivamente riscontrabile, ma come tutte le altre culture italiche ha contribuito ad influenzare l'evoluzione della cultura romana. Questo, a differenza delle tue opinioni, è un fatto riscontrabile nei dati archeologici.
- Le iscrizioni venetiche come già detto non sono le più antiche testimonianze scritte di una lingua italica. Che l'alfabeto in cui sono scritte derivi da quello etrusco e non viceversa è provato dagli adattamenti che sono stati resi necessari per adottarlo. Una diversa derivazione (o l'avrebbero proprio inventato loro?) dovrebbe al contrario essere provata da qualche dato concreto.
- Quanto alle lingue (anche se io stavo parlando di alfabeti, ma non importa) il venetico a mia conoscenza è una lingua indoeuropea affine al latino, ma diversa da esso. La teoria di Semerano che derivi come molte altre da una non meglio identificata lingua semitica non mi pare affatto un fatto comprovato, ma una teoria rifiutata dalla quasi totalità degli studiosi e mi limito a rimettermi al loro parere, avendo riscontrato che il metodo utilizzato da Semerano per provare le sue affermazioni per quello che posso cogliere è tutt'altro che un metodo scientifico.
- Al contrario di te non ci tengo affatto a dimostrare qualcosa: semplicemente continuo a osservare che la tua affermazione che il dialetto o lingua veneta attuali derivino direttamente dall'antica lingua venetica invece che dal latino volgare (la lingua parlata: perché mai la confonderei con la lingua scritta?) è un'affermazione non basata su alcuna prova, tranne il tuo personale sentimento di appartenenza, e che pertanto, fino a che la ricostruzione tradizionale non sia confutata da qualcosa di più convincente e oggettivamente riscontrabile, contesto che possa essere considerata un fatto.
- A differenza dei Veneti, gli Ebrei oggi parlano la stessa lingua e praticano la medesima religione dei loro antecedenti storici: una serie enorme di dati permette di ricostruire l'evoluzione di questa cultura nei millenni della sua storia e nei vari luoghi: quello che fa la differenza sono i dati oggettivamente riscontrabili che provano questa continuità e non come essi stessi si sentono, che ha certo influenza sull'attualità, ma non ha valore di prova conclusiva per una ricostruzione storica.
Fideistica e ideologica non è affatto la mia posizione: la questione da chi discendano gli attuali abitanti del Veneto dal punto di vista personale mi lascia del tutto indifferente e non mi sento per nulla offesa del fatto che tu ti senta Veneto (qualunque cosa tu intenda con questo) piuttosto/oltre che Italiano. Mi sfugge perché la questione dovrebbe riguardare anche un presunto sentirsi latino o romano, visto che il latino non è più parlato da parecchio tempo e che l'impero romano è finito oltre un millennio e mezzo fa, almeno nella "penisola italica", ma non ho proprio nulla in contrario che tu non ti senta tale.
Mi sembra che invece a te interessi affermare che i Romani antichi erano brutti e cattivi. Ti serve perché così dimostri (mi sfugge il legame, ma non importa) che i Paleoveneti invece erano buoni e non si sono fatti assorbire dai Romani, ma continuano tuttora? Hai tutto il diritto di avere la tua opinione sui Romani e di sentirti discendente dei Veneti protostorici e persino di ricostruirti una tua storia del mondo personale in funzione delle tue convinzioni, ma ovviamente non è possibile discutere delle tue sensazioni su un piano razionale, l'unico che mi interessi, e pertanto mi sembra diventi inutile risponderti ulteriormente.
--MM (msg) 13:04, 11 feb 2006 (CET)
Gentilissima MM
Non trovo del tutto inutile il discutere con te, è un buon esercizio che mi aiuta a ragionare e mi fa capire quanto difficile sia e quanto facile sarebbe, andare d’accordo e quanto le parole abbiano i loro limiti e spesso siano strumenti nella lotta vitale che tutti gli esseri viventi, uomo compreso, adoperano o per non essere sopraffatti o per sopraffare.
La tua iniziale ammissione che gli uomini sono uomini e non Dei, romani compresi, non può che essere condivisa e ad ognuno restano i suoi antenati naturali o d’elezione (esaltazioni e fanatismi a parte).
Non mi pare che gli archeolo-gi(ghi) non abbiano mai scoperto resti e testimonianze della realtà paleoveneta e quindi sarebbe un tantino inesatto dire che è scomparsa, poiché qualcosa è pur comparso o ricomparso mi pare.
Se secondo te, per me sarebbe attualmente difficile dimostrare come intendi tu la continuità etnica, cioè il susseguirsi delle generazioni a partire dai paleoveneti (studi genetici e antropologici a parte) nemmeno tu puoi dimostrare il contrario, pertanto (stando alla logica del tuo argomentare) entrambe le ipotesi potrebbero essere vere fino a prova contraria.
Per quanto riguarda i geni, che secondo te non sarebbero un fatto culturale mi pare un’affermazione azzardata poiché i geni come fatto, come elemento del reale e anche soltanto per questo sono un fatto culturale. La cultura non prescinde dal reale, da tutto ciò che esiste. La cultura non è soltanto un cappello (una sovrastruttura Gramsciana) che si può non indossare o cambiare a piacimento.
Personalmente non mi spaventano le parole, mi spaventano di piú gli uomini che le adoperano. Termini come razza e genetica, politicamente scorretti, non mi creano alcun problema. Qualche giorno fa, le associazioni dei “sordi” si sono ribellate ai molto nobili e umani del politicamente corretto che volevano chiamarli “preverbali” anziché con il normale “sordi”.
Su i tuoi giudizi su G.Semerano ho la chiara sensazione che tu non abbia mai letto per intero (correggimi se sbaglio) qualche suo lavoro e parli soltanto per partito preso, sull’onda di simpatie o antipatie ideologiche e di inconfessa-ti(bili) interessi di casta (?).
Per quanto concerne le connessioni (che a te sfuggirebbero!) sul rapporto tra i concetti o le parole: “romano-latino-italiano”, beh ! tutta la retorica dell’Italia Unita dal “risorgimento” (stando ai fatti piú un mortamento) in poi è costruita su questo trinomio, libri di storia scolastica (università compresa) e la stessa Wikipedia italiana (vedasi per esempio le suddivisoni periodiche della storia umana-culturale-statale nella penisola italica), per non parlare di Cinecittà e della sua produzione cinematografica con i colossal romani e per finire con le ideologie delle “6 erre e 1 effe” : Roma-Rinascimento-Risorgimento-Regno-Fascismo-Resistenza-Repubblica.
Fatti e non parole!
da queste parti (in Wikipedia), si sente ribadire, ad ogni pie sospinto e a gran voce che devono parlare i fatti e non altro (?). Beh, in linguistica quali sono i fatti, nudi e crudi? Mi pare ovvio che siano semplicemente, da un lato le lingue vive parlate e scritte, dall’altro i documenti/reperti con testi e iscrizioni delle lingue del passato e infine l’uomo come animale o creatura o essere dotato della facoltà del linguaggio. Questi sono i fatti, puri e semplici.
Tutto il resto sono studi filogici, interpretazioni, ipotesi ricostruttive, teorie che tentano, cercano di raccontare la vicenda complessa e articolata della lingua umana in tutte le sue esplicazioni, nello spazio, nel tempo e sociali. In questo ambito interpretativo-ricostruttivo giocano ruoli fondamentali oltre alla seria metodologia scientifica anche l’ignoranza o mancanza di documentazione e di testimonianze, i pregiudizi, le presunzioni, le ideologie politiche, le prerogative di casta, i dictac-ricatti politico-istituzionali, ecc..
Come si fa allora a discernere il grano dal loglio, il sensato e il ragionevole, dall’arbitrario? Specialmente quando si tratta di puri fatti di parola, relativi a nominazioni e definizioni, poiché la sostanza nominata e definita (la lingua umana del passato e attuale) non muta minimamente a seconda del nome o della parola adoperata per nominarla o definirla. Come i concetti astratti di indoeuropeo, diasistema latino, nostratico italico-latino e via di questo passo, soltanto parole.
Qual’è la differenza tra un uomo libero e uno schiavo? È solo la diversità di forza, se lo schiavo fosse forte almeno quanto il suo padrone finirebbe la sua schiavitù. Catilina e Spartaco ribellatisi al disumano imperio romano sono stati uccisi, secoli dopo l’impero romano si è disfatto sotto i colpi della nemesi storica. Cosí capiterà al sistema italiano che non rispetta i diritti umani e leggi naturali dei popoli e alle teorie linguistiche che non la raccontano giusta.
--Paolo sarpi II 10:22, 12 feb 2006 (CET)
- Il continuo ricorso ad iperboli da parte dell'utente modestamente battezzatosi Paolo Sarpi II (il quale - guarda un po' - scriveva in italiano e non certo in venetico) dà la misura esatta della natura antistorica dei suoi ragionamenti.
- Prendiamo per esempio il suo continuo riferirsi ai Romani (antichi) come a dei rozzi barbari nazisti contrapposti alla sua idea - tutta da dimostrare - di un popolo Veneto continuo nella genetica sino ai giorni nostri nella bontà assoluta. Una specie di francescani ante litteram (ed anche post litteram) dei quali egli si elegge portavoce, paragonandoli agli Ebrei.
- Chi mi precede in questa discussione ha già spiegato perché sia improprio paragonare i Veneti agli Ebrei. Aggiungo che la diaspora Ebraica non può essere neanche lontanamente paragonata a quella dovuta all'emigrazione Veneta a cavallo trai secoli XIX e XX e che, peraltro, ha riguardato anche altre regioni d'Italia, e quelle del Sud in maniera anche più ragguardevole, nel loro complesso. Quando poi il novello Sarpi giunge a tentare di istaurare un parallello tra "oppressione" dei Veneti" ed Olocausto Ebraico si giunge all'insulto e al semplice non senso, che non merita certo d'essere spiegato, ma solo stigmatizzato e che certo farebbe gridare vendetta qualsiasi ebreo.
- Ma torniamo ai barbari Romani: Sarpi, implicitamente e certo involontariamente, dà dei beoti ai suoi pretesi antenati (chissà che - Dio non voglia! - non abbia anche lui del sangue romano nelle vene, o peggio, del sangue terrone! Avrà fatto delle mappature del suo DNA confrontandolo con reperti Venetici?) che furono spontaneamente alleati dei Romani e che, a differenza di quasi tutti gli altri popoli Italici, si fusero con i Romani senza colpo ferire e senza che il minimo scontro militare fosse necessario a vincere resistenze (evidentemente assanti o irrilevanti) a tale fusione.
- Perché lo fa? Semplicemente, credo, perché egli pare proiettare ex-post il suo evidente detestare i romani attuali (ed il suo attribuir loro tutti i mali del Veneto attuale, e del mondo) indietro nei millenni, cercando di darsene una ragione nobile e storica, laddove tali convoluzioni non hanno - ovviamente - il benché minimo fondamento storico, ma solo - eventualmente - un fondamento direi psicologico.
- Peraltro Sarpi sembra avere un minore astio verso i Francesi che diedero il colpo di grazia alla Repubblica Veneta e verso i Piemontesi, che realizzarono (in modo invero imbarazzante) l'annessione del Veneto al Regno d'Italia. Chissà perché. Eppure l'emigrazione veneta, comincia proprio a seguito dell'occupazione del Veneto da parte delle truppe comandate da generali piemontesi, mica romani, e sotto un re di Savoia francofono, mica romanaccio.
- Vogliamo parlare del Risorgimento? Quando gli si ricorda che Daniele Manin agitava il tricolore, Sarpi il secondo glissa. Chissà che penserà dell'istriano-veneto Nicolò Tommaseo, che fu accanito studioso e sostenitore della lingua italiana, oltre che dell'unità nazionale.
- A Sarpi II pare sfuggire che se occorre (come occorre, anche secondo me) rileggere la storia del Risorgimento, il metodo peggiore (e quello più controproducente, anche per le sue tesi) è proprio quello che lui adotta. Prima di tutto perchè antistorico, visto che, per esempio, non contestualizza assolutamente i metodi utilizzati dai Romani antichi nel loro tempo, e poi perché è improntato a contrapporre il suo nazionalismo a quello di chi ha scritto la versione della Storia del Risorgimento tuttora prevalente in Italia. Che è, beninteso, una versione che spesso coincide con una invereconda quanto assurda serie di esagerazioni ed iperboli non meno ridicole di quelle del Sarpi novello.
- Ma come è mai possibile sperare di ricostruire una Storia più accurata e condivisibile del Risorgimento opponendo falsicazioni a falsificazioni e nazionalismo veneto a nazionalismo italiano?
- Non è possibile, e malgrado l'intervento di tante persone in risposta alle sue iperboli (molte delle quali persone sono venete - anche - almeno quanto lui), il buon Sarpi II insiste e persiste, senza sembrare comprendere che il suo metodo è utilissimo solo a screditare anche quel che di vero e condivisibile egli va affermando.
- C'è da dire, a difesa di Sarpi II come utente (e per questo non ne richiedo l'iscrizione tra i problematici), che egli non ha sinora dato vita ad una edit-war e che sembra voler privilegiare la discussione all'imposizione. Questo è un bene ed un'occasione per tutti, ma soprattutto per lui, che potrebbe quanto meno iniziare a sospettare di non essere esente dai mali che si ostina a voler proiettare altrove. --Piero Montesacro 11:33, 12 feb 2006 (CET)
La risposta di Paolo Sarpi non contiene altro che una riaffermazione di cose a cui ho già risposto e mi sembra inutile ripetermi ulteriormente. Tanto risposte alle mie obiezioni non ne ho ottenute e dubito che ne otterrei insistendo.
Aggiungo solo qualche nota, sebbene la cosa cominci decisamente a sembrarmi una commedia dell'assurdo:
- Che una civiltà sia "scomparsa" non ha nulla a che fare con i resti materiali che ci ha lasciato (peraltro se non ce li avessi lasciati, non ne sapremmo nulla e non staremmo qui a parlarne).
- Affermare che differenze o somiglianze genetiche abbiano a che fare con differenze o somiglianze culturali (che dipendono piuttosto dall'ambiente in cui uno si forma e sta in questo la concretezza della cosa) è esattamente quanto era affermato dalle teorie razziste che oggi non sono più riconosciute come valide (ho già suggerito la lettura di Razza). E aggiungo che non so proprio che farci se chi la pensa così non si rende conto di quanto questo modo di ragionare lo apparenti ai teorici della razza che hanno alimentato la barbarie nazista e si senta offeso dall'accostamento.
- Nella serie proposta che arriva da Roma all'attuale Repubblica per alcuni dei "passaggi" mi sembra francamente ridicolo ipotizzare una continuità (il più eclatante sarebbe quello tra Fascismo e Resistenza).
--MM (msg) 13:04, 12 feb 2006 (CET)
[modifica] A proposito della storia delle 6 R e di 1 F
Non sono il solo a pensarla in un certo modo.
http://www.rinocammilleri.it/beyondengine/frontend/exec.php?id_content_element=153
Rino Camilleri - Fregati dalla scuola
Paolo Sarpi II 10:57, 18 feb 2006 (CET)
[modifica] Nicolò Tommaseo
Inserimento di biografia del Tommaseo, firmato Paolo Sarpi II 14:57, 26 feb 2006 (CET), spostato in Discussione:Nicolò Tommaseo (qui che c'entrerebbe? --MM (msg) 17:54, 26 feb 2006 (CET)
Nel'ultimo governo della Repubblica Veneta di Venezia, Nicolò Tommaseo si oppose, alla fusione del Veneto con il Regno del Piemonte e, venendosi a trovare in minoranza, si dimise dal Governo.
Nominato Senatore nel 1860, al parlamento Italiano, rifiuta la nomina(come fecero tra gli altri anche Carlo Cattaneo e Alberto Mario) per non riconoscere la monarchia.--Paolo Sarpi II 23:25, 2 mar 2006 (CET)
Va bene. Era repubblicano e quindi contrario ai Savoia. Ma cosa c'entra il grande studioso della lingua Italiana con i Paleoveneti rimane un enorme mistero.
-- Carlo Morino (ditelo pure a zi' Carlo) Anno 2758 a.U.c. (CMT)
Probabilmente ti è sfuggita parte della discussione tra P. Montesacro e Paolo Sarpi II, laddove questa tangeva varie questioni aggrovigliate e interconnesse, relative alla indole e alla cultura veneta che si continua dalle sue radici paleovenete, attraversa il periodo romano, il medioevo e i felici secoli della Repubblica Serenissima per poi scontrarsi con la tristissima realtà della barbara invasione napoleonica e precipita nella tragedia unitaria, tragicomicamente chiamata "risorgimento", che il popolo veneto in maggioranza e una parte del suo ceto dirigente, come appunto Nicolò Tommaseo, non hanno gradito. I veneti, per lo più, sono sempre stati Repubblicani dai remoti secoli avanti Cristo, al periodo romano sino ai giorni nostri. Il Regno d'Italia con le sue inutili e sanguinose guerre d'indipendenza (?)e di conquista, sino all'immane tragedia della I guerra mondiale, combattuta principalmente nel Veneto, ha portato all'inferno i veneti. La retorica patriottarda che falsifica la storia non può certo cancellare i milioni di morti e di emigranti e gli enormi patimenti subiti dalle genti venete a causa dell'Italia e della sua infausta idea unitaria così malamente realizzata e oggi come ieri contestata.--Paolo Sarpi II 19:13, 3 mar 2006 (CET)
Sì, ma io che c'entro? :-D Io ero intervenuto in opposizione ai tuoi arditi paralleli tra Paleoveneti ed Ebrei, mica per dire che Nicolò Tommaseo c'entrasse con essi. Al contrario. Insisto: confondi l'antichità con l'attualità. Sono cose anche collegabili, ma diverse. Per questo bene ha fatto chi ha spostato le notizie su Tommaseo nell'ambito che QUI è senz'altro più adeguato: lavoce relativa. Tutto qua. --Piero Montesacro 23:42, 3 mar 2006 (CET)
[modifica] Unità e continuità veneta dalla preistoria ai giorni nostri.
Ho tra le mani il primo volume della piú compendiosa opera mai prima fatta, sulla storia della Cultura Veneta. L’opera si articola in 9 volumi (circa 900 pagine e del peso di 2,4 kg cadauno, costo circa euri 700). Edita dalla casa editoriale Neri Pozza di Vicenza negli anni 70. Promossa e patrocinata dalla Banca.....e realizzata nel corso di vari anni con il contributo dei piú prestigiosi e rinomati esperti, accademici e uomini di cultura dell’epoca. Il primo volume tratta della storia culturale del veneto dalla preistoria alla romanità. Vi sono citati tutti i riferimenti degli autori antichi e tutti i ritrovamenti archeologici con tutte le analisi e le interpretazioni possibili.
Nelle pagine iniziali si affronta il tema-tesi della unità e della continuità culturale, linguistica, civile, etnica e territoriale veneta che fin dall’antichità remota, tra alterne vicende e a vari intervalli dopo essersi formata nei secoli del primo millennio avanti Cristo, si è poi sempre conservata e manifestata, dalla X Regio, alla Repubblica Veneta sino alla Regione Veneto e alla Venezia Giulia. Nella conclusione dello svolgimento del tema, dopo aver esaminato i vari aspetti pro e contro la tesi, tutti gli autori sono concordi nel ritenere che questa unità e questa continuità, culturale, spirituale, civile, linguistica, etnica, territoriale sia esistita ed esista tutt’ora, a prescindere dalle varie influenze piú o meno rilevanti della euganeicità, celticità-reticità-etruschicità, della romanità, degli apporti barbarici e dell’italianità. Tale elemento veneto è presente ad ogni livello culturale, in sostrati, strati e superstrati di spessore variabile ma significativo al punto da renderlo prevalente su tutti gli altri che concorrono a determinare la complessità e l’articolazione della millenaria cultura veneta.
Cara MM come puoi leggere in queste righe, la tesi da me sostenuta e da te accanitamente contestata trova conferma e sostegno in voci piú prestigiose e degne della mia. Se vuoi ti posso prestare il volume per documentarti. Ti pregherei anche di reintegrare quelle parti da te rimosse relative alla presenza dell’elemento veneto-antico o paleoveneto o venetico nella lingua e nella storia veneta in generale. Questo è il mio ultimo intervento perché il Veneto Nich1915 ha chiesto formalmente la mia censura o messa al bando, in Wikipedia Italia non sia ama troppo la verità perché sarebbe NPVO o NPOV (non ricordo bene).--Paolo Sarpi II 19:36, 14 mar 2006 (CET)
Mi riesce difficile pronunciare un giudizio su un'opera di cui non viene riferito né il titolo, né i nomi degli autori, nè quanto viene detto e da te interpretato nel senso che dici (permettimi di dubitare del tuo giudizio, che in altre occasioni si è visto tende ad essere poco oggettivo su questi argomenti). Posso solo far notare che la "corposità" di un'opera non indica di per sé autorevolezza, che si tratta di un testo di una trentina di anni fa, che le banche non sono istituzioni culturali e le loro edizioni non sono sempre caratterizzate da rigore scientifico. Non mi pare insomma che quanto scritto più sopra provi un bel niente. --MM (msg) 09:27, 18 mar 2006 (CET)
[modifica] Ultime notizie archeologiche
I dischi bronzei del Monte Calvario (Auronzo) [1]
Parrebbe, stando alle ultime iscrizioni in venetiko, che la lingua venetika (quella delle iscrizioni), sia stata adoperata anche nel secondo secolo d.C..
Nella pagina del sito citato: vedere i paragrafi centrali del testo, dove appare un'interessante riflessione.
Vedasi anche:[2]