Marmo di Carrara
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«...lo Carrarese che di sotto alberga, ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca per sua dimora...»
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(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno XX)
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Il marmo di Carrara (per i Romani marmor lunensis, "marmo lunense") è un tipo di marmo, estratto dalle cave delle Alpi Apuane in territorio di Carrara, universalmente noto come uno dei marmi più pregiati.
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[modifica] Storia
Le cave di marmo erano probabilmente già utilizzate durante l'età del rame dai primitivi abitanti della zona per produrre utensili vari e oggetti decorativi e commemorativi da interrare nei sarcofagi con i defunti.
Con i Romani si sviluppò l'attività estrattiva vera e propria, e a partire dall'epoca di Giulio Cesare rifornisce di blocchi di marmo bianco le maggiori costruzioni pubbliche di Roma e numerose dimore patrizie. L'esportazione avviene tramite dal porto di Luni.
Dal V secolo all'anno 1000 l'attività estrattiva subisce un periodo di stasi a seguito delle invasioni barbariche. In seguito con la maggiore diffusione del Cristianesimo il marmo viene richiesto in grandi quantità per l'edificazione di edifici religiosi e per il loro arredo interno. La fervente attività delle cave si deve soprattutto ai maestri comacini, tra cui Giovanni Pisano e Nicola Pisano, che lo utilizzano per le loro opere nell'Italia centrale. In seguito fu il marmo utilizzato da Michelangelo per le sue sculture e veniva a scegliere personalmente i blocchi nelle quali realizzare le proprie opere.
[modifica] Le cave
Le cave sono luoghi dove da molti secoli avviene l'escavazione e la lavorazione del marmo e possono essere di due tipi: chiuse e a cielo aperto. Per il modo con il quale viene prelevato il marmo, la profondità di prospettiva delle pareti bianche, gli ampi spazi, la precisione simmetrica dei gradoni, i piani di lavorazione sembrano gradinate di anfiteatri. L'estrazione del marmo in cava è stato un continuo divenire di documenti vivi e drammatici attraverso i secoli, dai primitivi cunei di legno, al sistema della tagliata dei romani, al rivoluzionario filo elicoidale, all'attuale filo diamantato, tanto veloce quanto pericoloso, tra gli anfratti delle cave e i candidi e scoscesi ravaneti sono conservati gli eroismi, le fatiche, i sacrifici dei cavatori che con tenacia e capacità continuano ancora oggi a demolire queste montagne tagliandole, frantumandole e smontandole pezzo a pezzo, in piccoli blocchi per poi inviarli nel mondo come tanti messaggi di bellezza e di pace.
[modifica] Escavazione e lavorazione del marmo
L'escavazione del marmo nelle Alpi Apuane risale ad epoche assai remote (I sec.a.c.) e ha subito nel secolo scorso profonde trasformazioni. Anticamente l'escavazione avveniva con metodi ed utensili molto semplici, e con gran dispendio di tempo e lavoro per ottenere risultati modesti. Il lavoro essenzialmente manuale, era svolto da una manodopera costituita in gran parte da condannati a lavori di fatica, schiavi e cristiani .I primi cavatori sfruttavano le fratture naturali della roccia nelle quali inserivano dei cunei di legno di fico che poi bagnavano con acqua, la naturale dilatazione provocava il distacco del masso. Per ottenere blocchi di dimensioni stabilite, i Romani ricorsero alla tecnica della "formella, si praticava nel masso prescelto, lungo la linea di taglio, una scanalatura profonda 15-20 cm. nella quale s’inserivano poi dei cunei di ferro che, percossi ripetutamente e a tempo, determinavano il distacco di blocchi di 2 m. di spessore. Tali tecniche estrattive e quelle di lavorazione, come la segatura manuale, rimasero pressoché inalterate anche dopo la scoperta della polvere da sparo, il cui impiego si rivelò più dannoso che utile.
La vera e grande rivoluzione nella tecnica estrattiva avvenne alla fine del 800 con le invenzioni del filo elicoidale e della puleggia penetrante. Il filo di acciaio è un cavo di 4-6 mm. di diametro, ottenuto dalla torsione ad elica di tre fili . Le scanalature così determinate hanno la funzione di trasportare e distribuire, lungo il taglio eseguito dal cavo, l'acqua e la sabbia silicea che servono all'azione abrasiva.Il filo elicoidale, disposto in circuito su speciali pulegge di rinvio fissate ad appositi paletti detti potò , è lungo in genere alcune centinaia di metri e si muove ad una velocità di 5-6 m/sec, mentre incide il marmo ad un ritmo di 20 cm l'ora. La puleggia penetrante è un disco d'acciaio caratterizzato sulla circonferenza, da una scanalatura e da piccoli denti diamantati. Mediante questi due geniali accorgimenti tecnici la puleggia, scorrendo su un apposito strumento a cremagliera chiamatamacchinetta che ne consente il regolare e continuo abbassamento, assolve contemporaneamente a due funzioni: mentre penetra nel marmo trascina nella scanalatura il filo elicoidale che provoca il taglio del blocco.
Prima di cominciare a tagliare a monte e iniziare sul piazzale qualsiasi lavoro, bisognava liberare la montagna da quella parte di roccia resa inservibile dall'alterazione superficiale. Per questo lavoro di agilità e perizia interveniva il Tecchiaiolo il quale aveva il compito di esaminare da vicino il marmo, liberandolo delle parti pericolanti: per fare questo doveva calarsi, appeso ad una fune, davanti al fronte di cava. Il taglio al monte consisteva nell’isolare dal corpo marmoreo che costituisce il giacimento, una gigantesca porzione di roccia, detta bancata, di forma e dimensioni definite in funzione dei blocchi che si vogliono ottenere. Separata la bancata dalla massa rocciosa, i cavatori procedevano al suo ribaltamento sul piazzale di cava. Questa impressionante operazione presentava notevoli difficoltà e la sua esecuzione comportava seri rischi. Sul piazzale, intanto, si preparava il cosiddetto "letto" costituito da un cumulo di fini detriti di marmo misti alla fanghiglia prodotta da lavorazioni precedenti , per ammortizzare la caduta della bancata e limitarne le rotture. Una volta sul piazzale, la bancata veniva lavata per essere esaminata dai cavatori più esperti che ne individuano le impurità e segnavano i punti dove effettuare eventuali tagli. L’operazione successiva era il ridimensionamento in blocchi di dimensioni commerciali con la tagliatrice a filo diamantato. Un’operazione delicatissima: ogni errore, infatti, rischiava di diminuire la resa dell’intera bancata e produrre blocchi di valore inferiore a quello che la qualità del marmo faceva sperare. Poi entravano in scena i riquadratori, che a suon di subbia e martello, cercavano di dare una forma quadrata al blocco. Era un lavoro difficile, pesante, e quei cavatori dovevano essere forti, pazienti e capaci.
[modifica] Il trasporto nel tempo
Una volta riquadrati, i blocchi dovevano scendere a valle fra colate di detriti i ravaneti. E il lavoro, dall'antichità fino ai nostri giorni è sempre stato tutt'altro che semplice...il primo rudimentale metodo di trasporto, si chiamava "abbrivio", consisteva nel fare rotolare giù il masso senza nessun controllo, su un "letto" di detriti, procedimento tanto pericoloso che fu vietato in seguito per legge. Per un periodo abbastanza lungo la" Lizzatura" prima delle costruzioni di strade d’arroccamento e della messa in strada delle "trattrici" o "ciabattone" e degli insuperabili "DEUZ" camion di fabbricazione tedesca, rimase l'unico metodo di trasporto consentito, sì pericoloso, faticoso con una sua logica contingente ma piena di fascino, fatto di segni convenzionali e urla gutturali, un lavoro metodico nel quale ognuno non poteva permettersi un minimo sbaglio. Alla lizzatura partecipavano dodici uomini: era un lavoro di squadra molto rischioso. Davanti a tutti c'era il capo lizza, che aveva il compito di controllare che la discesa procedesse per il meglio, un compito delicato, ed era affidato all'operaio più esperto. Era lui che disponeva i "parati" sul terreno davanti alla lizza, e dava il segnale ai mollatori di allentare o stringere i cavi al momento giusto. I "parati", erano robuste assi di legno di ciliegio insaponate dal più giovane della compagnia, che era aggiunte anteriormente, mano mano che il carico scendeva, consentendogli di scivolare senza incontrare ostacoli. Un'altra figura molto importante nella "lizza" era "'l’uomo del piro", chiamato anche "il mollatore", che aveva il compito di mollare lentamente le corde, in modo che il carico scendesse lentamente, senza prendere velocità. La lizzatura era una delle fasi più rischiose dell’intero ciclo produttivo, se il carico si liberava dalle corde e, prendeva velocità, chi vi era intorno veniva travolto,e questo, purtroppo, succedeva molto spesso. Il lavoro della lizzatura, finiva nel momento in cui il carico arrivava al "poggio", che era il luogo dove i blocchi di marmo venivano liberati dalle corde, e caricati sui carri trainati dai buoi che avevano il compito di trasportare il marmo ai laboratori, segherie o al vicino porto di Carrara.
La Ferrovia del marmo la gloriosa Marmifera per quasi un secolo fu adibita al trasporto del marmo,costruita fra il 1876 e il 1890 collegava i principali centri di stoccaggio dei blocchi dei tre bacini marmiferi carraresi -Torano, Miseglia e Colonnata-con le segherie in pianura, il porto di Marina di Carrara e la rete ferroviaria nazionale: fu una impresa enorme dati i mezzi dell’ epoca: si dovevano superare 450 m. di dislivello per una lunghezza totale di 22 km. attraversando un gran numero di ponti e ferrovie. La “ marmifera” operò a lungo in sostituzione della rete stradale, ma la concorrenza con i moderni mezzi di trasporto la rese antieconomica e dopo un breve travaglio nel 1964 la ferrovia cessò la sua attività e, il suo tracciato venne in parte trasformato in strada.
I marmi grezzi vengono anche oggi, generalmente spediti dal porto di Marina di Carrara, senza ulteriori lavorazioni. Gli altri invece ,la maggior parte,sono ridotti in lastre di diverso spessore e poi lucidati. Per effettuare tali operazioni sono in attività a Carrara oltre un centinaio di "segherie" le quali, per attrezzatura e per il grado di specializzazione raggiunto, lavorano marmi e graniti provenienti da tutto il mondo. In ogni segheria funzionano particolari telai dotati di lame d'acciaio intervallate alla distanza corrispondente allo spessore richiesto dalle lastre. Ad ogni telaio è impresso un movimento orizzontale ed un continuo abbassamento, mentre le lame. che non hanno denti. servono soltanto a premere nelle fessure dei tagli l'acqua e la sabbia silicea che servono per l'azione abrasiva. Oltre che trasformato in lastre il marmo viene anche lavorato nei laboratori di scultura. Gli addetti a tale lavoro si dividono in diverse categorie: scalpellini, modellatori scultori e ornatisti. Tutti ricevono la specifica specializzazione presso "Istituto Professionale di Stato per "Industria e l'Artigianato del Marmo che ha sede in Carrara ed è l'unico in grado di conferire la preparazione e la relativa qualificazione nel settore.