Le Conseguenze della Guerra
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Le Conseguenze della Guerra è un'opera eseguita nel 1638 dal pittore Pieter Paul Rubens su commissione di Giusto Sustermans. L'autore, che si era impegnato in missioni diplomatiche durante la Guerra dei Trent'anni, in quest'opera vuole mostrare l'inutilità delle guerre e lancia un messaggio pacifista ante litteram. Il dipinto, dopo alterne vicende che lo videro acquistato dal casato De Medici, è ora conservato a Palazzo Pitti nella Sala di Marte. Il dipinto ha carattere prettamente mitologico, costituendo una svolta nella pittura che fino ad allora era stata a carattere prettamente sacro e cristiano.
[modifica] Lettura iconografica
L’autore colloca alcuni personaggi in una scena concitata: richiamandoci al repertorio figurativo identifichiamo come fonte letteraria la mitologia classica. Verifichiamo infatti che i protagonisti dell’azione drammatica sono: Venere con alcuni amorini, Marte, la Furia Aletto e infine dei mostri. Nel dipinto compaiono anche figure-tipo come le Arti, la Carità, l’Europa.
La composizione è imperniata su un gruppo centrale. In esso Venere, dea dell’amore - così identificabile per la nudità e per essere accompagnata tradizionalmente dagli amorini (forse Cupido stesso è rappresentato dal putto alato, biondo come la dea) - cerca invano, con le arti della seduzione, di trattenere Marte, suo amante e dio della guerra. Quest’ultimo - perfettamente rispondente all’iconografia classica - appare solenne con scudo e spada sguainata, mentre minaccia rovina e distruzione.
A strappare Marte dall’abbraccio di Venere è la Discordia, qui rappresentata dalla Furia Aletto, che con un braccio tira verso di sé Marte e con l’altro regge una torcia accesa. Nella mitologia classica "l'irrefrenabile" non concedeva tregua alle sue vittime (da qui forse il nome) ed era per l’appunto raffigurata con una fiaccola in mano, che veniva agitata sopra la testa di quelli che intendeva punire. Dopo Virgilio, la letteratura aveva fatto ricorso a tale figura ogni volta che era necessario sottolineare l’aspetto ferino e incontenibile dei conflitti.
Dietro la Furia – quasi immersi nel fumo di incendi o dei combattimenti - si intravedono dei mostri, che simboleggiano la Peste e la Carestia, due calamità che accompagnano sempre la guerra, contribuendo a renderne ancor più devastanti gli effetti.
Osserviamo quindi le Arti (musica ed architettura), personificate rispettivamente dalla donna e dall’uomo, che giacciono abbattute in basso a destra: la donna, raffigurata di spalle, ha un liuto rotto in mano e mostra che l’armonia non può sopravvivere accanto al disordine della guerra; l’uomo, un architetto, impugna i suoi strumenti, a significare che ciò che si costruisce in tempo di pace è poi distrutto in tempo di guerra. Nel raffigurare la donna, il pittore si rifece probabilmente all’iconografia della mousiké, il complesso delle arti presiedute dalle Muse che comprendeva la poesia, la letteratura, la musica in senso stretto, il teatro, il canto, la danza; comprendeva, in particolare, la poesia come veniva "rappresentata" nel mondo greco, ossia per mezzo del canto accompagnato da uno strumento musicale.
Tra loro, in secondo piano, si scorge la figura femminile atterrita che cinge con le braccia un bambino, come a sottrarlo al pericolo. Nell’arte figurativa spesso gli artisti hanno proposto il tema della violenza sugli infanti, rifacendosi al noto episodio evangelico della Strage degli Innocenti. Anche Rubens, in questo dipinto, si rifà all’iconografia classica della madre e del sentimento materno come naturale istinto di protezione, che traduce nel topos della donna caritatevole e, per estensione, nella Carità.
Infine, si nota la figura femminile a sinistra, che appare stroncata dal dolore, vestita a lutto e con l’abito a brandelli, con le braccia levate e lo sguardo rivolto al cielo come a supplicare l’aiuto divino. Il bambino che al suo fianco regge il globo sormontato dalla croce ce ne consente l’identificazione con l’Europa cristiana, disperata dopo tanti anni di saccheggi, oltraggi e miserie che invoca dal cielo la pace.
Sullo sfondo, a sinistra, l’edificio con le porte spalancate è il Tempio di Giano, inaugurato secondo il mito dal re Numa Pompilio: il tempio veniva lasciato aperto in tempo di guerra per permettere al dio di uscire ed assistere i suoi soldati, mentre restava chiuso in tempo di pace perché il protettore dell'Urbe non potesse uscirne.
[modifica] Lettura iconologica
Rubens visse durante anni di terribili guerre per l’Europa (Guerra dei trent'anni, Guerra civile inglese), viaggiando di corte in corte come diplomatico, e volle dipingere questo quadro allegorico come monito contro gli effetti distruttivi della guerra. La forma allegorica era infatti efficace ed immediata, ma nello stesso tempo priva di qualsiasi riferimento agli eserciti realmente in campo in quel periodo.
La scelta di dei dell’Olimpo greco è dunque motivata da un preciso richiamo simbolico.
Marte, che campeggia al centro della scena, rappresenta la furia selvaggia, cieca, spietata, che si accende nel momento in cui la battaglia si fa più serrata e, ottenebrando la mente dei combattenti, toglie dal loro cuore ogni sentimento di umanità. Dunque la guerra come ripudio della ragione, come rimozione di ogni valore etico.
Quanto alla bionda Venere, si deve ritenere che Rubens abbia scelto di raffigurarla, preferendola ad un’altra tra le dee dell’Olimpo, perché Venere è allegoricamente identificata con lo spirito di Humanitas che tenta di sopire la guerra o simboleggia la Vittoria dell’amore e della pace sulle atrocità della guerra. Curiosamente nell’amorino biondo, alato, che si avvinghia alle gambe della dea, si possono riconoscere le fattezze dell’amato figlio del pittore qui chiamato ad impersonare Cupido, il giovane dio dell’amore. La presenza degli infanti che accompagnano la dea riporta anch’essa alla serenità di un quotidiano che verrà incrinata dal conflitto.
La Furia Aletto compare raramente nei dipinti. Gli antichi la consideravano la maestra degli agguati e delle trasformazioni, tanto terribile da intimidire anche il dio degli Inferi. Si può dunque ritenere che il pittore volesse sottolineare la natura ingannevole di una scelta militare come soluzione dei conflitti politici. Aletto allude alla furia dei combattimenti e all’inconciliabilità tra la “guerra opportuna” e la “guerra giusta”.
Solo chi come Rubens aveva vissuto il risvolto politico e l’aspetto tragico di lunghi conflitti ne poteva misurare appieno la drammaticità. Infatti la figura della Carità è un chiaro riferimento alla crudeltà dei conflitti che non risparmiano innocenti e indifesi. Anche la Peste e la Carestia alludono al pericolo che un conflitto porti con sé conseguenze ben più durevoli dei soli combattimenti.
Rubens coglie anche gli effetti devastanti sul contesto sociale, soffermandosi sulle conseguenze “collaterali”. Nel dipinto tutto è travolto dal devastante incedere di Marte, che con il piede destro calpesta un libro e dei fogli, distruggendo con essi simbolicamente ogni forma di espressione intellettuale. Le Arti sono travolte e annientate, ad indicare che la guerra non solo causa morte e distruzione ma spezza la civiltà, intesa come patrimonio culturale umano.
Da ultimo Europa che - a causa di tante e prolungate guerre - ha sofferto per troppi anni violenze e miserie. Il tempio di Giano, col portale spalancato, indica all’osservatore che il quadro è stato dipinto in occasione di un periodo bellico. L’invocazione al cielo simbolicamente conduce al bisogno impellente che il continente ha di una tregua durevole e allo sperato ritorno alla pacifica quotidianità.
Le conseguenze della Guerra, destinate a Ferdinando II de' Medici, sembrano completare un discorso artistico iniziato con l’Allegoria della Pace dipinta nel 1630 per Carlo I, re d’Inghilterra. Il messaggio appare di grande pessimismo: nemmeno l’amore è in grado di frenare la cieca brutalità della Guerra dei Trent’anni, evitando che l’Europa sia travolta dal lutto e veda distrutta la sua prosperità.