Colossi di Memnone
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I Colossi di Memnone (chiamati dai locali el-Colossat o anche es-Salamat) sono due enormi statue di pietra del faraone Amenhotep III. Nei passati 3400 anni sono rimasti nella necropoli di Tebe, lungo le rive del Nilo, di fronte all'attuale città di Luxor.
Le statue gemelle rappresentano Amenhotep III (XV secolo AC) in posizione seduta, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a est, verso il fiume e il sole nascente. Due figure più basse sono scolpite sulla parte anteriore del trono, a fianco alle sue gambe: la moglie Tiy e la madre Mutemuia. I pannelli laterali rappresentano il dio del Nilo Hapy.
Le statue sono formate da blocchi di quarzite che fu scavata probabilmente a Giza (presso la moderna Il Cairo) o a Gebel el-Silsileh, 60 km a nord di Assuan. Raggiungono una considerevole altezza di 18 metri, comprese le piattaforme di pietra su cui sono costruite.
La funzione originale dei Colossi era di stare a guardia dell'entrata del tempio funebre di Amenhotep: un gigantesco centro di culto costruito quando il faraone era ancora in vita, dove venne riconosciuto come reincarnazione in terra del dio, sia prima che dopo la sua partenza da questo mondo. Ai suoi tempi, questo tempio era il più grande ed opulento nell'intero Egitto. Con una superficie di 35 ettari, anche i rivali successivi come il Ramesseum di Ramesse II o il Medinet Habu di Ramesse III non reggevano il confronto, non raggiungendone l'area; anche il tempio di Karnak, all'epoca di Amenhotep, era più piccolo.
Ad ogni modo, con l'eccezione dei Colossi, molto poco resta visibile al giorno d'oggi di questo tempio. Essendo costruito sul bordo della pianura alluvionale del Nilo, le ripetitive esondazioni annuali lo danneggiavano alle fondamenta, come ci può mostrare una famosa litografia del 1840 di David Roberts, che lo rappresenta.
[modifica] Origine del nome
Il nome con cui sono tuttora conosciute queste statue fu coniato dagli storici greci, che le associarono all'eroe mitologico Memnone. Una di esse all'alba emetteva strani suoni, causati dal riscaldamento della roccia, che dagli antichi erano interpretati come il saluto dell'eroe alla madre, l'aurora. Dopo un restauro, effettuato in epoca romana per volere di un imperatore, i suoni cessarono di essere udibili.