Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Caricature di Maometto sul Jyllands-Posten - Wikipedia

Caricature di Maometto sul Jyllands-Posten

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Le caricature di Maometto pubblicate il 30 settembre del 2005 sul quotidiano danese Jyllands-Posten (e poi sul quotidiano cristiano norvegese Magazinet [1]), che hanno scatenato una serie di violente proteste nel mondo islamico, sono dodici illustrazioni satiriche sul profeta dell'Islam. In una di esse, Maometto è raffigurato con una bomba al posto del turbante.

Qualche settimana prima il giornale danese Politiken aveva pubblicato un articolo sulla libertà di espressione: gli autori delle vignette intendevano in tale maniera evidenziare come nessun artista volesse illustrare - senza rimanere anonimo - un libro per bambini sulla vita di Maometto, scritto dall'autore danese Kåre Bluitgen.

È da considerare che, per alcune interpretazioni radicali dell'Islam (peraltro contestate da molti teologi musulmani) ogni raffigurazione del profeta è proibita.

I disegni sono stati resi disponibili anche sul sito danese epaper.jp.

Indice

[modifica] Manifestazioni nel mondo islamico contro le vignette

Mentre in Occidente la discussione verte sul dibattito tra chi sostiene la pubblicazione di tali vignette invocando la libertà di stampa e chi invece, ritenendole blasfeme o quanto meno offensive, condanna l'atto del giornale danese, in diversi stati dove la maggior parte della popolazione è musulmana si sono verificati numerose manifestazioni violente.
Alcune manifestazioni sono state organizzate anche in diverse capitali europee, come ad esempio a Londra. Qui non si sono verificati episodi di violenza, anche se diverse persone hanno utilizzato questo genere di manifestazioni per esprimere il proprio odio nei confronti della società occidentale, esponendo cartelli contro l'intera Europa [2].

[modifica] Dichiarazioni ufficiali di esponenti dei governi musulmani

Il 12 ottobre 2005, con protesta formale, 11 ambasciatori di Paesi arabi in Danimarca chiedono con urgenza un incontro con il premier Anders Fogh Rasmussen. Il primo ministro però si rifiuta di riceverli ed afferma, proprio al quotidiano Jyllands-Posten, che non è compito suo "spiegare ad un gruppo di ambasciatori come funziona il nostro Paese".

Il 7 novembre 2005 il Pakistan condanna le caricature, definendo un "atto di islamofobia" la loro pubblicazione ed il Ministero degli Esteri sottolinea come "tali azioni creino un solco dove si cerca di costruire un ponte".

26 gennaio 2006 - L'Arabia Saudita richiama il proprio ambasciatore a Copenaghen.

Il 1 febbraio 2006 anche la Siria, dopo Libia e Arabia Saudita, richiama il proprio ambasciatore a Copenhagen per consultazioni.

Il 3 febbraio 2006 la Camera alta del Parlamento del Pakistan approva all'unanimità una dichiarazione di condanna contro i giornali europei.

Il 6 febbraio 2006 dopo le proteste del giorno prima, sfociate nell'incendio dell'ambasciata danese a Beirut, il governo libanese si scusa con la Danimarca. Il governo, in maniera unanime, "ha respinto e condannato questi atti di rivolta che hanno danneggiato la reputazione del Libano, la sua immagine civile e il nobile scopo della manifestazione - dice il ministro dell'Informazione Ghazi Aridi -. Il governo si scusa con la Danimarca".

[modifica] L’escalation della violenza nel mondo musulmano

Fine gennaio 2006: montano le polemiche e gli appelli al boicottaggio dei prodotti danesi e norvegesi. Il 30 gennaio 2006 il personale volontario norvegese nella striscia di Gaza viene evacuato. Il governo norvegese avverte i connazionali di non recarsi nei Territori dopo le minaccie della Jihad islamica.

2 febbraio 2006 - Gruppi armati palestinesi minacciano di «trasformare in bersagli» i francesi, norvegesi e danesi che si trovano a Gaza e in Cisgiordania e danno un ultimatum di 48 ore per ottenere le scuse formali dai governi di Norvegia, Danimarca e Francia.

3 febbraio 2006 - Attacco all'ambasciata danese di Giacarta (Indonesia) da parte di un gruppo di islamici che fa irruzione all'interno della sede diplomatica. L'ambasciatore danese è costretto a scuse formali. Proteste nella capitale indonesiana anche davanti alla sede del quotidiano Rakyat Merdeka («Popolo indipendente») che ha pubblicato le vignette. Manifestazioni a Mogadiscio, in Somalia, dove vengono bruciate bandiere danesi e norvegesi, e in Giordania, dove i manifestanti chiedono la chiusura dell'ambasciata danese.

4 febbraio 2006 - A Damasco, in Siria, alcune centinaia di manifestanti danno alle fiamme le ambasciate di Danimarca e Norvegia e tentano l'assalto alla sede diplomatica francese. Alcune dozzine di giovani palestinesi cercano di irrompere nella sede UE di Città di Gaza.

5 febbraio 2006 - Scontri di piazza a Beirut, in Libano, dove circa 2 mila persone riescono a raggiungere il consolato danese e gli danno fuoco. La polizia respinge i dimostranti con idranti e lacrimogeni, ma la guerriglia si diffonde anche nel quartiere cristiano-maronita. A Trebisonda, in Turchia, il sacerdote italiano Andrea Santoro viene ucciso da un giovane fanatico, poi catturato il 6 febbraio.

6 febbraio 2006 - L'ondata di violenza arriva in Afghanistan, dove quattro persone restano uccise negli scontri, e in Somalia, dove si contano due vittime. Un gruppo di integralisti getta venti bottiglie molotov contro gli uffici diplomatici danesi nella capitale iraniana. Assaltata anche l'ambasciata austriaca in Iran.

8 febbraio 2006 – Ancora in Afghanistan, truppe dell’ISAF intervengono per respingere i manifestanti che si accalcano davanti alle basi militari ed alle ambasciate europee. Muoiono quattro afgani.

14-15 febbraio 2006 – Due persone restano uccise nel corso di scontri a Lahore, nel Pakistan orientale. Altri tre morti in scontri scoppiati l’indomani a Peshawar, dove la folla assalta la sede della compagnia norvegese di telecomunicazioni Telenor, un fast food americano e diverse filiali di banche.

20 febbraio-25 febbraio 2006 – In Nigeria, in una situazione preesistente di tensioni religiose e forte povertà, le reazioni alle vignette hanno dato vita ad un periodo di scontri durato alcuni giorni, che ha provocato migliaia di sfollati e decine di morti (130 morti solo nei primi 5 giorni, principalmente cristiani nel nord del paese a maggioranza mussulmana e principalmente mussulmani nel sud a maggioranza cristiana), l'uccisione di diversi religiosi e l'incendio di alcune moschee e chiese. Diversi osservatori internazionali e rappresentati religiosi sia cristiani che mussulmani hanno tuttavia sostenuto che le motivazioni religiose siano stato abilmente strumentalizzate per provocare appositamente gli scontri, per motivi relativi alla gestioen del potere all'interno del paese. [1]

[modifica] Le reazioni in Europa

Il 12 ottobre 2005, si schiera in sostegno dell'autore delle vignette la parlamentare di origine somala Ayaan Hirsi Alì, autrice della sceneggiatura del film Submission, costato la vita al regista Theo van Gogh.

5 gennaio 2006 - Accordo tra la Danimarca ed il segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, per la distribuzione, nei Paesi arabi, di una lettera di Rasmussen che, pur difendendo la libertà d'espressione, condanna «tutte le azioni volte a demonizzare alcuni gruppi in virtù del credo e dell'appartenenza etnica».

20 gennaio 2006 - Il quotidiano cristiano norvegese Magazinet [3] emula il Posten e pubblica le vignette per solidarietà.

30 gennaio 2006 - Carsten Juste, direttore del Posten, presenta le proprie scuse, affermando che la pubblicazione delle vignette «non intendeva essere offensiva». Il giorno dopo anche il Magazinet esprime il proprio rammarico per l'offesa recata.

1 febbraio 2006 - Il quotidiano francese France Soir e il tedesco Die Welt pubblicano a ruota le caricature e rivendicano la libertà di stampa.

2 febbraio 2006

  • Il direttore di France Soir, Jacques LeFranc, viene licenziato per aver pubblicato le vignette. L'editore del quotidiano è l'uomo d'affari franco-egiziano Raymond Lakah. Immediata la reazione da parte del segretario di Reporter senza frontiere [4], Robert Ménard, che deplora il fatto che «i regimi arabi non comprendano che vi può essere una separazione totale fra ciò che scrive un giornale e ciò che dice il governo danese».
  • L'UE condanna le minacce ricevute dai cittadini europei nei territori del Vicino e Medio oriente.
  • Il primo ministro danese, Anders Fogh Rasmussen, ribadisce di non sentirsi in dovere di chiedere scusa. «Un governo danese non potrà mai scusarsi a nome di un quotidiano libero e indipendente», dice al termine di un incontro con 76 diplomatici stranieri dedicato alla crisi delle vignette.

3 febbraio 2006 - In Belgio alcuni giornali pubblicano tutte o alcune delle vignette. In Italia le vignette vengono pubblicate dai quotidiani La Padania [[5]] e Libero [[6]], mentre altri media italiani decidono di pubblicarne una parte.

5 febbraio 2006 - La presidenza austriaca dell'Unione Europea dichiara "inaccettabili" gli attacchi e le minacce contro le ambasciate di Danimarca e Norvegia a Damasco e in Cisgiordania.

8 febbraio 2006 - In Francia il settimanale Charlie Hebdo riprende tutte le caricature incriminate, insieme a molte altre prodotte l'occasione. Le prime 160.000 copie vengono pubblicate e subito vendute, rendendo necessarie due ristampe per oltre 400.000 copie.

21 marzo 2006 - In Svezia la ministra degli Esteri Leila Freivalds si dimette per aver ostacolato la pubblicazione delle vignette. Ammette di aver fatto chiudere il 9 febbraio un sito web che aveva annunciato di pubblicare le caricature.

26 ottobre 2006 - Una corte danese ha assolto il Jylland-Posten dall'accusa di aver offeso la religione islamica [7]

[modifica] Tensioni tra Libia e Italia

Il ministro Roberto Calderoli, in questo clima di tensione, l'8 febbraio annuncia di voler indossare una maglietta con le suddette caricature. Il 15 febbraio, in un'intervista alla trasmissione Dopo TG di Raiuno, alla domanda del gionalista sulla maglietta, il ministro fa il gesto di mostrarla facendola intravedere sotto la giacca. Il 17 in Libia si scatena un attacco al consolato italiano di Bengasi, che viene saccheggiato e bruciato. Negli scontri con la polizia locale muoiono 11 manifestanti. L'Italia si rammarica degli incidenti e ringrazia il governo libico «di avere operato per garantire l'incolumità dei nostri connazionali». Il governo italiano chiede anche le dimissioni del nostro ministro, che le rassegna «per senso di responsabilità» il 18 febbraio. Stessa sorte, con in più una formale accusa, tocca al ministro dell'Interno libico Nasr Mabrouk e ai responsabili della sicurezza locali. L'Italia crede così di avere risolto tutto.
Successivamente Muammar Gheddafi ha pubblicamente detto che Calderoli non c'entrava niente e che il motivo della protesta era l'odio anti-italiano prevalente, minacciando ritorsioni se l'Italia non pagherà i danni della guerra del 1911. Per chiudere l'annosa questione dell'indennizzo per i danni coloniali, il colonnello vuole 3 miliardi di euro, quanti ne servono per la costruzione di un'autostrada litoranea che parta dalla frontiera con la Tunisia fino al confine con l'Egitto.
Il 20 marzo Gheddafi annuncia in un'intervista: «Altre Bengasi o attentati in Italia? C'è da aspettarselo, purtroppo».

[modifica] Riferimenti nella cultura popolare

La controversia sulle caricature di Maometto è stata citata e parodiata all'interno di un episodio della serie televisiva South Park intitolato Cartoon Wars Part I, andato in onda negli Stati Uniti il 5 aprile 2006. Nell'episodio la città è messa in subbuglio dal fatto che Maometto appare in forma animata all'interno della serie animata I Griffin (non un vero episodio ma una parodia fatta apposta per la puntata di South Park). Nonostante l'immagine di Maometto venga censurata (nella finzione del programma), i cittadini di South Park decidono di -letteralmente- nascondere la testa sotto la sabbia per evitare di essere bollati come fomentatori di odio interreligioso e evitare così probabili attentati. Tuttavia, la città cade nel panico quando si scopre che il giorno successivo andrà in onda una puntata dei Griffin in cui si vedrà Maometto non censurato. Il titolo dell'episodio ha un doppio significato: da un lato Cartoon Wars si riferisce alla "guerra" tra le due serie animate di due canali rivali, South Park (di Comedy Central) e I Griffin (della FOX); dall'altro, dato che cartoon in inglese significa anche vignetta, allude alle violente manifestazioni scatenate dalle vignette danesi.

Ironicamente, se nella seconda parte dell'episodio, Cartoon Wars Part II, trasmesso il 12 aprile 2006, nella finzione dello show viene effettivamente trasmesso il fasullo segmento dei Griffin contenente la raffigurazione di Maometto, nella realtà il canale Comedy Central ha censurato le immagini dell'episodio con uno schermo nero, contenente scritte esplicative della scena censurata e successivamente la frase: "Comedy Central has refused to broadcast an image of Mohammed on their network." (1) Inoltre, il finale di questo episodio contiene un altro elemento potenzialmente offensivo che però non è stato censurato (nè nella finzione né nella realtà): i fondamentalisti islamici rispondono alla raffigurazione di Maometto nei Griffin realizzando un loro cartone animato in cui si vedono Gesù e alcune note personalità americane defecare su se stessi e sulla bandiera statunitense.

Va notato anche che Maometto era già stato rappresentato in un episodio di South Park (in cui varie figure religiose svolgevano il ruolo di supereroi), senza che il fatto causasse alcuna protesta.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Note

  1. Rassegna stampa sulla Nigeria comprendente articoli sugli scontri

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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