Storia economica
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La storia economica è la branca dell'Economia che studia il passato alla luce dell'analisi economica. Intende spiegare come i cambiamenti nella struttura sociale e i mercati hanno contribuito al decollo economico.
Una tendenza recente all'interno della storia economica è la cosiddetta Cliometria, che applica le tecniche dell'analisi statistica ed econometrica alla storia. Questa disciplina ha come rappresentanti principali Robert Fogel e Douglas North.
Non si deve confondere la storia economica con la storia del pensiero economico, disciplina che studia l'evoluzione del pensiero economico.
[modifica] Voci correlate
- Storia economica dell'età preindustriale
- Rivoluzione industriale
- Rivoluzione industriale in Inghilterra
- Processo di industrializzazione europeo
- Crisi del 1929
CAPITOLO 1: ALLE ORIGINI DELLA SOCIETÀ INDUSTRIALE Dal 1500 al 1700 gli equilibri furono ribaltati ed il baricentro economico si spostò nell’Europa settentrionale. L’Ancien Régime era stato caratterizzato dall’agricoltura, ma poi la gran disponibilità di manodopera a basso costo ha dato stimolo alla concentrazione di attività industriali.
L’Europa pre-industriale era caratterizzata da:
- Disuguaglianza tra classi - Squilibri tra industria di beni di consumo e beni d’investimento - Insufficienza dei trasporti - Barriere doganali che ostacolavano il commercio
La Spagna aveva subìto un processo di Involuzione con conseguente crollo dell’economia. La Francia, dissanguata dalle guerre di religione, inizia a riprendersi verso il 1650. La Germania, reduce dalla Guerra dei Trent’anni, è vittima di carestie ed epidemie. L’Olanda entra purtroppo in una fase di ristagno. L’Inghilterra, approfittando del crollo delle economie di Germania e Spagna, comincia il suo decollo grazie ad una potentissima flotta.
L’Autonomia e l’Ordine delle istituzioni, il concetto di Giustizia, i princìpi di Libertà ed Uguaglianza resero possibile non solo il crollo dell’Ancien Régime e l’avvio dello Stato Liberale, ma resero possibile anche l’avvio di quel processo-evento che prende il nome di Rivoluzione Industriale che fu, prima di tutto, un’importante svolta. Svolta resa possibile con l’affermarsi di una nuova ed agguerrita classe sociale: la Borghesia.
L’Inghilterra, patria dello Stato Liberale, patria del concetto di Giustizia, patria dei princìpi di Libertà ed Uguaglianza è da considerarsi, di diritto, il Paese Guida all’analisi della Storia dell’Economia.
CAPITOLO 2: LA GRAN BRETAGNA - IL PAESE GUIDA La Rivoluzione Industriale Il termine “Rivoluzione Industriale” è notevolmente improprio e riduttivo perché indica un breve, brevissimo periodo di cambiamenti; Il modello inglese invece modificò radicalmente la struttura precedentemente esistente, decretando una vera e propria svolta. Definire dunque un così complesso fenomeno è ardua impresa. Secondo Cameron, la Rivoluzione Industriale si riferisce esclusivamente ai mutamenti economici. Chambers invece sostiene che il termine si riferisce al cambiamento dovuto alle tecnologie. Ancora, Rostow la definisce come l’applicazione sistematica delle scienze e delle tecnologie al processo produttivo. Wringley addirittura sostiene errato l’intero concetto di “Rivoluzione” perché un cambiamento radicale non c’è mai stato, visto che l’agricoltura ed il commercio persistono. Landes infine definisce la Rivoluzione Industriale come un cambiamento radicale dell’economia statica precedente.
In generale, la Rivoluzione Industriale è un complesso di fattori che ha permesso alla Gran Bretagna di diventare un paese talmente ricco da debellare la povertà cronica. I presupposti di un siffatto mutamento, come Fohlen ha suggerito, vanno ricercati in due tipologie di fattori:
- Fattori Endogeni, cioè interni alla stessa industrializzazione, come per esempio le tecniche, gli investimenti...
- Fattori Esogeni, cioè appartenenti ad altri settori economici, come per esempio la Rivoluzione Demografica, la Rivoluzione dei Trasporti...
La Rivoluzione Industriale costituisce il primo esempio di divisione dei due principali fattori di produzione: Capitale e Lavoro.
La Rivoluzione Demografica Fino al 1750 la popolazione era piuttosto stabile o meglio, statica a causa di carestie ed epidemie. Si verificò poi un incremento della popolazione pari al 30% (e nei 50 anni successivi l’aumento fu pari al 31%) dovuto ad una serie di buoni raccolti che si tradussero in un generale miglioramento delle condizioni di vita. A questo seguì un processo di urbanizzazione
La Rivoluzione Agraria In Gran Bretagna i campi che costituivano la proprietà dei contadini, gli Open Fields, erano spesso mescolati l’uno all’altro. Per salvaguardarli si decise di sfruttarli secondo regole comuni: Rotazione Triennale e Maggese. Inoltre, tra la semina ed il raccolto, gli Open Fields diventavano terre di pascolo e prendevano il nome di Common Fields (da non confondere con le Common Lands). L’aumento della popolazione provocò però un aumento della domanda e quindi dei prezzi. Per far fronte ad un problema del genere, il Parlamento attuò una riforma già usata in passato (al tempo di Elisabetta I la Grande), quella delle Enclosures mediante cui i Campi Aperti e le Terre Comuni venivano chiusi. Si attuò inoltre la Rotazione continua che, mediante l’utilizzo di una rapa particolare, azotava il terreno rendendolo quindi più fertile. Con l’introduzione del foraggio, l’allevamento divenne stabulare e fu resa possibile la raccolta del letame, che costituiva un fertilizzante naturale.
La Rivoluzione di Trasporti In Gran Bretagna l’amministrazione delle strade era affidata alle parrocchie. Poi il Parlamento approvò le Turnpike Bills, mediante le quali si consentì ai privati la costruzione di strade e la richiesta di un pedaggio. Furono poi migliorate le altre strade grazie ad un efficiente servizio di manutenzione. Così le nuove vie permisero all’agricoltura di trovare più facilmente nuovi mercati.
Il Ruolo delle Invenzioni La caratteristica peculiare della rivoluzione industriale va ricercata in due fattori:
- Scambio di prodotto - Divisone del lavoro
Il che fu reso possibile grazie ad una serie di importanti innovazioni ed invenzioni.
Il Settore Tessile Il fattore scatenante fu costituito dalla massiccia importazione di cotone, una materia prima definita “elastica”. La Navetta Automatica risultò insufficiente per la sempre più crescente richiesta. La Spinning Jenny rendeva il cotone pregiato e sottile; Il Water Frame lo rendeva invece spesso e resistente. Si pensò così di unire le caratteristiche della prima a quelle della seconda e si ottenne il Telaio Intermittente che a sua volta si rivelò inadeguato alle richieste. Il telaio intermittente fu così presto sostituito con il Telaio Meccanico, che velocizzò di molto la produzione. La crescente diffusione di macchinari complessi ed innovativi fece aumentare la domanda di ferro. Il settore tessile finì così per coinvolgere, inevitabilmente, la Siderurgia.
La Siderurgia I giacimenti ferrosi erano poco utilizzati perché il carbone rimaneva più economico e malleabile. Ma il progressivo disboscamento rese necessari dei provvedimenti. Henry Cort semplificò il lungo e dispendioso processo di lavorazione del ferro unendo il puddellaggio e la laminazione. Questa operazione velocizzò così di 10-15 volte il lavoro e comportò un notevole risparmio di combustibile e denaro.
La Macchina a Vapore L’invenzione di Watt risultò essere talmente efficace che la sua applicazione (all’industria prima ed a trasporti poi) fu piuttosto rapida e semplificò non poco la vita degli imprenditori che quindi, adesso, non erano più costretti ad ubicare le industrie nelle vicinanze della fonte di energia sino ad allora più utilizzata, vale a dire l’acqua, velocizzando di conseguenza il trasporto ed avvicinando i centri di produzione a quelli di consumo. La macchina a vapore inoltre consentì una rivoluzione nella rivoluzione con lo sviluppo massiccio delle ferrovie.
Da protezionismo al Libero Scambio – 1815 / 1846 La caduta di Napoleone Bonaparte provocò un’intensa speculazione facilitata da un’eccessiva produzione di carta moneta. La fine del Blocco Continentale causò però la caduta delle esportazioni inglesi , cui seguirono il ristagno della produzione, la disoccupazione ed il crollo dei prezzi. In particolare, il crollo del prezzo del grano produsse non pochi disagi. Si decise così di votare per le Corn Laws (Leggi sul grano) con cui si vietava l’importazione di grano se il suo prezzo scendeva al di sotto degli 80 scellini. Il provvedimento non sortì l’effetto desiderato così nel 1822 si apportò una modifica alla legge, adottando il principio della Scala Mobile secondo cui più il prezzo del grano scendeva tanto più i dazi doganali sarebbero aumentati. Ma il prezzo del grano continuava a scendere vorticosamente, e così nel 1838 si giunse alla costituzione della Anti-Corn-Law League (Lega anti Corn Law) che prendeva le difese della classe operaia che non poteva sopportare prezzi così alti. Inizialmente il Parlamento non l’accolse, perché le Corn Law facevano ovviamente gli interessi dei grandi feudatari, ma poi, dei cattivi raccolti ed una pesante carestia di patate (nel 1846) indussero il Parlamento ad abrogare le Corn Laws . Ne conseguì una spinta a migliorare le tecniche agricole.
La Prosperità Vittoriana – 1850 / 1870 Verso la metà del secolo gli abitanti delle città superavano di gran lunga quelli delle campagne. Tutte le forme di libertà (concorrenza, lavoro, libero scambio...), durante il glorioso periodo dell’età Vittoriana, erano divenute indissolubili. L’intevento statale inoltre era ridotto al minimo . I fattori di un siffatto successo sono da ricercare essenzialmente nella scoperta di miniere d’oro in California ed Australia. A questo, si aggunga la rivoluzione delle ferrovie e la conseguente concentrazione delle imprese ferroviarie (il che significa maggior richiesta d’acciaio), il trionfo della navigazione e lo sviluppo della comunicazione postale e telegrafica, l’apertura del Canale di Suez (1869) e lo sviluppo di attività bancarie e creditizie.
Il Rallentamento della Crescita – 1880 / 1890 Fino al 1880 la Gran Bretagna era il paese più ricco e prospero: aveva infatti completato l’espansionismo commerciale. La sua ascesa però subì una battuta d’arresto dovuta sia alla pericolosa tendenza al ribasso dei prezzi, che provocò un calo degli investimenti, sia all’agguerrita concorrenza dei mercati di Stati Uniti e Germania. La Gran Bretagna a quel punto si spinse alla ricerca di nuovi mercati e sbocchi alimentando gli investimenti esteri e gli scambi commerciali .
La Ripresa – 1890 / 1905 Alla fine del secolo la Gran Bretagna ebbe una forte ripresa grazie all’innesto della Seconda Rivoluzione Industriale , all’avvio di nuovi programmi di armamento, alla scoperta di miniere d’oro in Sud Africa e soprattutto alla tendenza espansiva dei prezzi. Nel 1905 inoltre la classe dei lavoratori fondò il Labour Party e realizzò così il sogno di avere rappresentanza in Parlamento. Purtroppo però, sia l’agricoltura sia l’industria si mantennero stabili perché non riuscirono a tenere il passo con la concorrenza degli Stati Uniti. Al contrario, il commercio continuò ad essere florido e permise all’Inghilterra di detenere la leadership mondiale.
L’Economia di Guerra Il primo conflitto mondiale mise in discussione il sistema internazionale e sconvolse gli equilibri sanciti dal Congresso di Vienna (1815). Il sistema degli scambi internazionali inoltre fu distrutto perché la prima guerra mondiale aveva esasperato i nazionalismi: il liberismo scomparve in favore di uno stabile dirigismo statale. Infatti, il liberismo non poteva produrre ovunque ricchezza (come invece si credeva) e anzi creava non poche difficoltà nel sistema degli scambi internazionali. Si produsse così un’alta inflazione ed un altrettanto alto squilibrio tra i redditi.
Gli Anni Difficili – 1919 / 1930 In seguito alla prima guerra mondiale si alleggerì appena il settore primario ed il terziario superò il secondario. I profitti aumentarono la circolazione e quindi i consumi, ma i prezzi salirono. Seguì una politica di deflazione che portò ad un aumento della disoccupazione e ad una riduzione della produzione pari al 30%. W. Churchill tentò di risollevare le sorti del Paese ripristinando la convertibilità in oro della sterlina. Ma il provvedimento si rivelò deleterio perché la Gran Bretagna aveva perso alcuni importanti mercati esteri e subiva la pesante concorrenza della Germania e degli Stati Uniti.
Dalla Crisi al Risanamento – 1930 / 1939 Il crollo di Wall Street ebbe gravissime ripercussioni in tutto il mondo e le esportazioni inglesi furono le prime a subirne le conseguenze. La rivalutazione della sterlina impedì alla Gran Bretagna di espandersi come il resto dei paesi e ne derivò una notevole disoccupazione strutturale. Nel 1930 la produzione si abbassò del 5% e tre anni dopo si abbassò addirittura del 25%. La situazione peggiorò con il ritiro dei capitali americani. Seguì una crisi politica che vide la caduta del partito dei lavoratori e la formazione di un’Unione Nazionale, formata dalle tre fazioni politiche vigenti: Conservatori, Liberali e Lavoratori. La bilancia dei pagamenti non fu raggiunta e la conversione della sterlina venne sospesa. La disoccupazione raggiunse il tetto massimo ed il protezionismo fu rafforzato.
Le Conseguenze della Seconda Guerra Mondiale La Gran Bretagna potè beneficiare dei progressi della tecnica in molte industrie di grande potenzialità per lo sviluppo futuro.
La Ricostruzione La moneta divenne nuovamente solida, l’inflazione rimase contenuta e la produzione aumentò. Si pose l’obiettivo di nazionalizzare alcune industrie, come la Banca d’Inghilterra, il gas, l’elettricità e le ferrovie. La Gran Bretagna perse purtroppo influenza sul piano internazionale, eccezion fatta per il Medio Oriente, ma in compenso la sua flotta tornò ad essere florida!
Il Welfare State Il Welfare State (Stato del Benessere), risposta politica ed ideologica al socialismo, è una concezione interventista dello Stato che garantisce agli individui il godimento dei diritti sociali mirando alla ridistribuzione della ricchezza.
CAPIOLO 3: LA FRANCIA
Il Modello di Imitazione con Differenze Il modello di imitazione francese si definisce “con differenze” perché ha ricercato fattori sostitutivi che potessero sopperire alle grandi difficoltà derivanti dai cinquanta anni di ritardo rispetto all’Inghilterra. La Francia, infatti, si trovava in una situazione svantaggiata rispetto alla Gran Bretagna a causa della mancanza di risorse minerarie, della mancanza della rivoluzione demografica ed agraria e soprattutto a causa di un forte protezionismo doganale.
La Francia pre-rivoluzionaria Nel corso del 1700 la Francia aveva impiantato una proto-industrializzazione, ossia un artigianato urbano rurale meglio noto come “Manifattura sparsa a domicilio”. Buona parte di questa produzione raggiungeva anche le postazioni africane e le colonie americane. Esistevano anche delle manifatture reali, come le Gobelins o la fabbrica di vetro di Saint-Gobain, dotate di particolari privilegi: esenzioni fiscali, monopolio di vendita, sovvenzioni, prestiti a tenue interesse. Mancava al contrario un’efficiente attività creditizia come quella olandese od inglese. Tuttavia, la risorsa di ricchezza maggiore rimaneva la terra.
Le Conseguenze economiche della Rivoluzione Francese – Il Blocco Continentale La Rivoluzione Francese ebbe il grande merito di aver instaurato la totale libertà del lavoro facendo cadere ogni controllo. Nelle campagne si raggiunse la liberazione del suolo e degli uomini e la piena proprietà della terra. L’assetto economico però cambiò poco: dopo una ventata di libertà, si tornò presto al protezionismo (Colbertismo). Napoleone Bonaparte, infatti, rafforzò la protezione sui filati ed i tessuti di cotone (che costituivano il fiore all’occhiello della Gran Bretagna) con il manifesto obiettivo di distruggere la sua storica rivale: l’Inghilterra. Nel Novembre 1806 inoltre, emanò il Blocco Continentale con cui vietava ai paesi europei gli scambi commerciali con la Gran Bretagna. Ma il provvedimento arrecò più danni alla Francia perché la Gran Bretagna deteneva i 2/3 degli scambi commerciali con il resto del mondo (cioè Olanda, Svizzera e soprattutto Stati Uniti). In politica monetaria si presero provvedimenti fallimentari, come l’adozione degli Assignats che provocarono un aumento dell’inflazione a cui Napoleone rispose con una riduzione dei prezzi. Dopo l’epopea napoleonica, la Francia aveva perso le sue colonie, la sua flotta fu decimata, l’agricoltura rimase legata ai vecchi sistemi, le manifatture persero la clientela e l’economia si indebolì.
I Motivi del Ritardo Francese Lo sviluppo si frenò ulteriormente in seguito ad una serie di raccolti disastrosi che provocarono un forte rialzo dei prezzi ed un conseguente crollo dei profitti. In campo agricolo si procedette all’uso di concimi ed alla selezione delle sementi. In campo industriale si seguirono tre vie:
1- Protezionismo 2- Meccanizzazione degli impianti 3- Concentrazione tecnica ed economica.
Le Basi del Decollo e la Nascita dell’Industria Moderna A partire dal 1850 però le cose iniziarono a migliorare. Ruolo importante in tal senso assunsero le ferrovie che trasformarono i trasporti: abbassarono, infatti, i costi ed i tempi di percorrenza ed avvicinarono i centri di consumo a quelli di produzione. L’agricoltura anche migliorò e divenne di mercato. Napoleone III avviò una serie di lavori pubblici che trasformarono le città cambiandone profondamente l’assetto e nel 1860 stipulò un trattato commerciale con la Gran Bretagna. La produzione triplicò, il tasso di crescita accelerò, la popolazione aumentò, l’industria pesante si espanse e nacquero grandi banche di deposito.
Le Conseguenze della Guerra Franco-Prussiana – 1871 / 1881 L’ascesa fu però bruscamente interrotta dalla Comune prima e dalla Guerra Franco-Prussiana poi. Le conseguenze del Trattato di Francoforte, stipulato con la Prussia a conclusione delle ostilità, furono terribili perché la Francia perse l’Alsazia e la Lorena che costituivano due importantissimi centri tessili e siderurgici. La Francia dovette altresì pagare un altissimo indennizzo di guerra pari ad 1/5 del reddito nazionale. Questo permise la non-emissione di nuove tasse (eccezion fatta per quella minima pari al 3% sui redditi mobiliari) e la ripresa fu piuttosto rapida: si realizzò, infatti, un’eccedenza nella bilancia commerciale che stimolò l’economia.
La Grande Depressione – 1882 / 1895 Gran parte delle entrate fu utilizzata per il pagamento degli interessi e per ammortizzare il debito contratto con l’indennizzo di guerra. Si arrivò all’abbassamento del tasso di crescita. La stessa agricoltura ebbe un calo della produzione : la Francia adottò allora la via del protezionismo mediante la Tariffa Méline. Il ristagno dell’agricoltura raggiunse poi anche l’industria: si ebbe un rallentamento del ritmo di sviluppo industriale. Di contro però, fu organizzata una valida struttura bancaria fondata sulle Grandi Banche e Casse di Risparmio, la rinuncia alla Banca Mista e la sopravvivenza delle Banche regionali e locali.
Verso la Seconda Industrializzazione – 1896 / 1914 Il protezionismo agricolo da una parte ridusse le importazioni dei prodotti agricoli ed arginò la caduta dei prezzi, ma dall’altra mantenne in vita piccole aziende agricole al limite della sopravvivenza. Tra il 1890 ed il 1914 la produzione aumentò grazie soprattutto all’ammodernamento dei mezzi di produzione ed all’estensione dell’applicazione dell’energia elettrica. Alla vigilia del primo conflitto mondiale, infatti, le distanze con la Gran Bretagna si erano accorciate.
Tra Guerra e Riconversione Le conseguenze della prima guerra mondiale turbarono l’attività economica francese: il finanziamento della guerra aveva reso necessario il ritiro dei capitali esteri e la Rivoluzione Russa aveva ingoiato gli investimenti in Russia. Il valore del franco, non essendo diminuito in proporzione all’aumento dei prezzi, destò molte speranze, spingendo l’estero all’acquisto di moneta francese. Ma a partire dal 1921 la Francia avvertì il contraccolpo della crisi estera. L’indice della borsa di Parigi si ridusse di 1/3.
La Calma prima della Tempesta – 1926 / 1935 Il Presidente della Repubblica, per risanare le finanze, chiamò Poincaré il quale attuò una politica di stabilizzazione che restituiva al franco il regime di Gold Exchange Standard. In breve tempo, tutti i capitali rientrarono e anzi, la sterlina fu svalutata del 18%. Nel 1933 la situazione peggiorò per la politica di Laval che ridusse le imposte. La stabilizzazione a sua volta ridusse le importazioni: la Francia entrò tardi nella crisi, ma vi resterà a lungo. L’agricoltura non era autosufficiente, la produzione mondiale calò, il franco si svalutò e l’inflazione divenne altissima! La triste parentesi sembrava volgere al termine con la Nazionalizzazione della Banca di Franca e delle Ferrovie e con gli Accordi di Matignon tra CGT (Confédération Générale du Travail – Confederazione Generale del Lavoro) e la CGPF (Confédération Général du Patronage Français – Confederazione Generale del Patronato Francese). Ma questo non bastò.
Lo Stato di fronte alla Crisi – 1936 / 1939 Il regime era in crisi ed incapace di riformarsi. L’aumento dei costi derivante dagli accordi di Matignon ostacolò lo sviluppo della produzione. Così, nel 1938 si rese necessaria una seconda svalutazione del franco che comportò un rimpatrio di capitale. Per stimolare l’attività economica lo Stato s’impegnò nel riarmo ed elaborò un piano triennale che assicurava uno sbocco commerciale alle imprese. Il governo Deladriel inoltre autorizzò le industrie di armi a superare di quaranta ore la settimana lavorativa. La ripresa, in effetti, ci fu: ma era l’ultimo anno di pace...
La Ricostruzione Finita la guerra, il governo provvide al riordinamento dei prezzi e dei salari. Le imprese sopportarono l’incremento dei costi finché i prezzi ed i salari non presero la rincorsa: il governo fu nuovamente costretto a svalutare la moneta a causa del rapidissimo aumento dei prezzi. Bisognava allora accrescere il potenziale economico dello Stato: si procedette alla nazionalizzazione delle principali fonti di energia e delle quattro maggiori Banche di Deposito. La produzione industriale finalmente aumentò del 20%. Al contrario, quella agricola rimase al di sotto del 5%. Si presentò quindi l’esigenza di una vera e propria pianificazione: Il Primo Piano o Piano Monnet (1947/1950) dava precedenza alla ricostruzione dell’apparato produttivo. Il Secondo Piano (1954/1957) invece puntava sulla ricerca scientifica. La produzione aumentò del 50%, il PIL del 20% e le esportazioni del 30%.
Le Prospettive Economiche della V Repubblica Di fronte alla concorrenza europea, la Francia accelerò il suo modernamento grazie alla classe imprenditoriale. La Francia entra in un processo inflazionistico che creò svantaggi negli scambi commerciali. Con il Terzo Piano (1958/1961) si cercò di coprire anche il settore privato.
CAPITOLO 4: LA GERMANIA – NASCITA E SVILUPPO DI UNA GRANDE POTENZA
L’Economia degli Stati Tedeschi ai primi dell’800 La Germania, nei primi dell’800, risultava condizionata da un complesso frazionamento politico ed economico che le impediva di seguire i modelli degli altri paesi. Si stava però preparando alla formazione di un unico grande mercato. Il processo venne agevolato da:
- Gli effetti della Rivoluzione Francese - L’Epopea Napoleonica - Il Processo di emancipazione delle popolazioni rurali che, consentì lo sviluppo di sentimenti nazionali ed ideologie.
Persisteva tuttavia un’economica arretrata dovuta anche alle difficili condizioni naturali. Nelle campagne poi, c’era una situazione arcaica, un ibrido tra l’ancien régime e la servitù della gleba. In alcune regioni inoltre, erano presenti piccole industrie a carattere familiare ed artigianale. Occorreva quindi avviare un rapido processo di unificazione doganale che eliminasse le difficoltà interne.
L’Unificazione Doganale e l’Ampliamento del Mercato: Lo Zollverein – 1834 Il principale problema per lo sviluppo economico era, infatti, costituito dalle 67 dogane interne. Nel 1818 si introdusse un’unica tariffa doganale che, esentava dal pagamento dei dazi le materie prime ed imponeva il 10% sui manufatti ed il 30% sui prodotti coloniali. Di qui, l’avvio di una politica di reciproche agevolazioni. Il processo di unificazione tuttavia non fu semplice anche perché gli scambi con l’estero nuocevano all’industria locale. Di qui, la nascita di una politica di protezione dalla concorrenza estera. Tale iniziativa non piacque però né alle città Anseatiche, le quali temevano per la propria indipendenza economica, né all’Austria, la quale intendeva attuare un’unione doganale con gli stati tedeschi più esterni. Ad ogni modo, nel 1834 entrò in vigore lo Zollverein, vale a dire l’unione doganale che unì quasi tutti gli stati tedeschi: ad eccezione della Prussia però, gli stati aderenti non godevano di un regime protezionistico nei confronti dell’estero. A tal proposito, lo studioso tedesco List affermò l’esistenza del Protezionismo Temporaneo, limitato cioè all’ambito industriale: infatti, una volta divenute adulte, le industrie dovevano competere ad armi pari con quelle degli altri paesi in un regime di libero scambio.
Gli Avvenimenti del ’48 e l’Egemonia della Prussia Anche la Germania, nel 1848, fu sconvolta dalla ventata rivoluzionaria a causa della vecchia stratificazione sociale e soprattutto a causa della nascita di nuovi ceti che tendevano ad assumere un ruolo sempre crescente. Nel 1849, a Francoforte, il nuovo Parlamento redigeva una Costituzione che tendeva all’unificazione economica del paese che, purtroppo, non potè avere una pratica attuazione. Ci si rese comunque conto che per raggiungere alti livelli di competitività non bastava eliminare le barriere, ma occorreva anche che i prodotti giungessero a destinazione in modo rapido e sicuro. Di qui, l’importanza dei trasporti e delle ferrovie . Intanto, i contrasti fra Austria e Prussia divennero insanabili. Bruck, Ministro per il Commercio austriaco, tendeva ad attuare un progetto di unificazione sotto il potere austriaco. La Prussia, al contrario, cercava di aumentare la sua influenza sugli altri stati. Chi ebbe la meglio, alla fine, fu proprio quest’ultima la quale eliminò l’Austria da trattati commerciali con gli altri paesi.
Le Trasformazioni in Agricoltura – 1849 / 1870 Il processo di modernizzazione fu lungo e complesso. Un aspetto interessante fu quello dell’emancipazione dei contadini: furono infatti presi provvedimenti per lo sviluppo dell’agricoltura che sancirono la libertà dei contadini e quella della terra, che adesso non era più appannaggio nobiliare. L’economia agraria tedesca era molto eterogenea: la parte orientale, dominata dai Junckers, era caratterizzata da un’agricoltura versatile protesa al mercato, mentre la parte sud-occidentale era caratterizzata da piccole e medie imprese. L’agricoltura tedesca fece passi da gigante ed in pochi anni eguagliò quella francese. Tra i fattorri di un siffatto sviluppo annoveriamo:
- Aumento demografico - Maggior facilità nelle comunicazioni e nei trasporti - Consistente richiesta di nuove terre da coltivare
Importante inoltre fu l’intervento dell’agronomo Thaer che pose l’attenzione sul sistema delle rotazioni, sulla coltura delle patate e sul miglioramento dell’allevamento. Grazie alla scienza agronomica si ebbero grandi miglioramenti anche nell’ambito più prettamente tecnico. Si operò inoltre una selezione delle sementi e si introdussero nuove colture, come per esempio quella della barbabietola da zucchero che alimentò la produzione degli zuccherifici.
Lo Sviluppo dell’Industria e la Questione Sociale Agli inizi degli anni ‘50, gli stati tedeschi iniziarono a trarre vantaggio dall’unione doganale e dalla rete ferroviaria. L’industria tessile aveva sfruttato appieno l’allargamento dei mercati e già dagli anni ’40 aveva avviato un processo di modernizzazione: l’industria di cotone, in particolare, era la più innovativa perché usava tecniche inglesi. Molto fiorente era pure la produzione di lana. Al contrario, lino e seta non andavano tanto bene a causa degli antiquati sistemi di produzione. I numerosi interventi governativi per favorire l’attività estrattiva resero possibile la realizzazione di un intenso processo di estrazione di ferro e carbone (di cui la Germania era ricchissima) tale da costituire uno dei principali fattori di sviluppo. Il processo di industrializzazione però condizionò negativamente i ceti più disagiati che si trasferirono nelle città. Il problema fu già affrontato in passato, ma solo negli anni ’30 furono presi provvedimenti seri per regolare il lavoro minorile. Nacquero le prime Banche Rurali grazie a Friedrich Raiffeisen e le Banche Popolari grazie a Hermann Schulze Delitzsch. Molti storici e teorici si schierarono contro gli interventi poco incisivi dello Stato, in particolare i “Socialisti della Cattedra” di cui Wagner era il rappresentante più illustre. Questi riteneva che l’azione individuale fosse incapace di risolvere problemi di interesse collettivo. Di qui, la proposta di una serie di interventi che regolassero i salari, gli orari di lavoro ed il commercio.
Il Ruolo del Terziario: Ferrovie, Banche e Commercio Le ferrovie ebbero un ruolo trascinante nel quadro dello sviluppo economico: tra il 1850 ed il 1870 la produzione di ghisa, che serviva per la costruzione delle rotaie, ammontava al 30%. Il settore siderurgico fu molto avanzato grazie ai viaggi di studio degli industriali tedeschi e grazie all’uso di nuovi procedimenti tecnico-produttivi. Le azioni ferroviarie, ammesse per finanziare la costruzione delle ferrovie, diedero vita ad un vivace mercato azionario e favorì l’aumento delle SPA. Negli anni ‘50, la richiesta di credito si fece pressante e stimolò la creazione di istituti di sostegno: nacquero la Banca per il Commercio e l’Industria e la Società di Sconto.
La Dinamica ed i Fattori della Crescita – 1871 / 1914 La caduta del II Impero sotto i colpi della potenza prussiana ed il lento declino dell’economia inglese, sembrarono instaurare un nuovo quadro, favorevole a Stati Uniti e Germania. Infatti, la vittoria della guerra Franco-Prussiana, nel 1870, aveva portato all’annessione dell’Alsazia e della Lorena che erano fiorenti centri tessili e siderurgici, nonché ad un’ingente somma di denaro. La produzione di acciaio, l’industria meccanica e chimica e le estrazioni di metalli erano, ormai, superiori a quelli di Francia ed Inghilterra . Un tale progresso non si sarebbe verificato senza:
- Rivoluzione demografica - Sviluppo dell’agricoltura - Sostegno del sistema creditizio - Inurbamento
Lo Sviluppo dei Nuovi Settori: Elettricità e Chimica Il modello di sviluppo tedesco tendeva a privilegiare le industrie di investimento piuttosto che quelle dei beni di consumo. Inoltre, mentre in Inghilterra e Francia il processo di sviluppo privilegiò inizialmente il settore tessile e siderurgico, in Germania si concentrò su quello siderurgico e meccanico, prestando particolare attenzione all’elettricità ed alla chimica. Il settore siderurgico fu agevolato dall’enorme disponibilità di carbone, dall’annessione della Lorena e dalla scoperta di un nuovo metodo: il Gilchrist-Thomas.
Cartelli e Konzern Ai primi del ‘900, la Germania poteva ritenersi una grande potenza europea. Si affermò un processo di concentrazione tecnica e finanziaria allo scopo di conquistare nuovi mercati. Tuttavia, una prolungata diminuzione dei prezzi, costrinse i produttori alla costituzione dei Cartelli (unione di imprese che si accordavano tra loro per regolare il mercato) e dei Konzern (costituiti da grandi imprese miranti ad estendere la propria attività ai vari stadi della produzione).
Imperialismo e Dumping Il consistente sviluppo economico spinse la Germania ad avviare una politica imperialistica. Tuttavia, nella ricerca di nuove zone d’influenza, la Germania dovette inevitabilmente scontrarsi con l’Inghilterra che da sempre era la regina incontrastata dei mari. Per quanto attiene alla politica commerciale, la Germania attuò il principio della Nazione più Favorita ed il sistema dei prezzi multipli (alti all’interno, bassi all’esterno): le imprese riuscirono così a vendere sottocosto per conquistare nuovi mercati.
L’Economia nella Prima Guerra Mondiale Con lo scoppio del primo conflitto mondiale ci si rese immediatamente conto che non si poteva più garantire la piena libertà della produzione e degli scambi. Nell’agosto 1914, infatti, venne avviato un programma di mobilitazione che prevedeva la facoltà di requisire l’intera produzione a vantaggio degli scopi strategici. Il problema dell’eccessivo rialzo dei prezzi, fu affrontato con il ricorso a nuove imposte e con l’emissione di nuovi presiti. Di qui, l’emissione di nuova moneta con effetti negativi: in soli cinque anni, l’inflazione raggiunse livelli altissimi! Il Trattato di Versailles, posto a fine della guerra, impose pesantissime condizioni alla Germania: il pagamento di un esoso indennizzo di guerra e la perdita dell’Alsazia e della Lorena.
Il Dramma dell’Iperinflazione Agli inizi degli anni ’20, l’economia mondiale fu colpita da una grave crisi dovuta in parte ad una rapida discesa dei prezzi iniziata nel settore cerealicolo e poi allargatasi a tutti gli altri. Nel 1919 furono attivati gli aiuti umanitari americani che però non ebbero effetti così positivi visto che consistettero, per lo più, in generi alimentari e non in materie prime che avrebbero quindi potuto risollevare l’economia. La situazione precipitò a causa della politica dei paesi vincitori che, temendo la concorrenza della Germania, boicottarono i prodotti tedeschi riuscendo ad imporgli un valore irrisorio. Seguì un’altissima inflazione, l’arresto della produzione nella Ruhr e lo sciopero dei ferrovieri. Nell’estate del ’23, la Germania si trovò tra le mani una moneta priva di valore. Il governo si dimise e Strassemann fu nominato cancelliere. Questi dichiarò lo stato d’emergenza e nominò commissario monetario Schacht, conferendogli poteri straordinari. Lo Schacht bloccò la speculazione monetaria, coniò una nuova moneta (il Rentenmark) e provvide al risanamento del bilancio statale. La politica riuscì: le entrate aumentarono di dieci volte e le spese diminuirono di cinque.
La Crisi del ’29 ed i suoi Effetti La produzione aveva superato del 25% quella dell’anteguerra, il settore agricolo migliorò, la moneta e la convertibilità andarono affermandosi, c’era maggiore fiducia nei rapporti internazionali. Tuttavia, il crollo di Wall Street nel 1929 bloccò l’accenno di ripresa. In effetti, anche se partita dagli Stati Uniti, la crisi provocò maggiori danni ai paesi che contavano sugli aiuti USA per riprendersi dalla guerra. Grazie al piano Dawes, la Germania era riuscita a rispettare le scadenze, ma ora la situazione era cambiata. Le istituzioni finanziarie tedesche non erano più in grado di onorare gli impegni assunti e il debito nazionale cresceva sempre più. Inoltre, il ritiro del capitale estero mise in gravi difficoltà le riserve auree della Reichsbank e molte banche chiusero, paralizzando l’economia. Il governo attuò una serie di misure deflazionistiche che però incisero negativamente sui vari settori economici, specialmente quello produttivo. Aumentò quindi la disoccupazione e diminuì la produzione di carbon fossile, lignite, ghisa ed acciaio.
L’Avvento di un Nuovo Regime La popolazione era stanca dello stato in cui il Paese riversava e non fu difficile per Hitler instaurare una dittatura: ma era necessario rimettere in moto l’economia. Hitler affidò la politica economica nelle mani di Scacht che si propose di aumentare il livello della produzione con una moderata inflazione creditizia in modo che l’aumento della circolazione fosse assorbito dalle imposte e dal risparmio. Attivò inoltre un controllo sui prezzi e sui salari, i quali sarebbero aumentati all’aumento della produzione. Nel ’34, Hitler attuò il Sistema Corporativo che coordinava la produzione e le tecniche produttive e di ricerca . Ciò venne poi inquadrato in una politica di pianificazione quadriennale che si concentrava sulla disoccupazione, sui lavori pubblici e sull’agricoltura. Di qui, infine, l’attuazione di un Modello Autarchico (moneta fondata sul lavoro, compressione dei consumi ed introduzione di surrogati) e di un ridimensionamento della condizione operaia tale da escludere ogni tentativo di resistenza o sciopero e la stessa attività sindacale. Si riuscì, così, ad ottenere un aumento della produzione e la quasi scomparsa della disoccupazione.
La Corsa verso il Baratro Il continuo progresso industriale rappresentò un serio problema per la Germania perché occorreva allargare i propri mercati per poter mantenere alto il livello di produttività. Iniziò così una politica espansionistica con l’annessione (anschluss) dell’Austria e della Cecosclovacchia . Seguì poi quella della Boemia e della Moravia. Quando però, nel 1939, la Polonia si rifiutò di cedere la città di Danzica, si arrivò alla guerra. La seconda guerra mondiale ebbe conseguenze disastrose per la Germania: infatti, l’economia di guerra produsse un aumento della produzione (bellica ed agricola) ed il governo sottopose il popolo ad un regime fiscale vessatorio. Ne seguì una perdita rilevante del valore della moneta ed una spaventosa inflazione che mise in serie difficoltà la Germania.
CAPITOLO 5: GLI STATI UNITI ALLA CONQUISTA DELL’ECONOMIA MONDIALE
Le Colonie Inglesi La colonizzazione inglese si era sviluppata all’inizio del 1600 lungo la costa orientale e per tutto il secolo procedette con molta lentezza. Già allora si manifestarono però notevoli differenze tra le 13 colonie, sia per la loro configurazione climatica ed ambientale, sia per la struttura economica e sociale. Le colonie meridionali avevano sviluppato soprattutto il settore agricolo con la coltivazione di un solo prodotto che in gran parte veniva esportato. Le colonie centrali si occupavano principalmente della coltura di cereali per il consumo locale. Prosperavano però altri settori, come il commercio e l’industria d’armamento e navale. Le colonie settentrionali, infine, erano costituite da una società di piccoli proprietari terrieri e mercanti. Diversi erano anche i rapporti commerciali interni e con la madrepatria. Le colonie settentrionali importavano dalla madrepatria grandi quantità di derrate alimentari e manufatti ed esportavano legname grezzo e lavorato. Le colonie meridionali si trovavano in una situazione più favorevole sia negli scambi con la madrepatria sia in quelli con le altre colonie (cui inviavano tabacco, riso, indaco...).
La situazione rimase invariata sino al 1750: si verificò un aumento demografico che portò alla formazione di copiosi centri urbani su cui gravava il peso dei vincoli imposti sulle attività commerciali dalla Gran Bretagna. Due leggi in particolare indussero le colonie alla ribellione: lo SUGAR ACT (1764) e lo STAMP ACT (1765), considerati veri e propri soprusi imposti da un Parlamento, quello inglese, in cui le colonie non avevano alcuna rappresentanza. Il malcontento derivato riuscì a far sopprimere la Stamp Act, ma non riuscì ad evitare l’approvazione di una nuova pesante legge che prevedeva dazi su molti prodotti, tra cui il tè, la carta, il vetro. Le proteste si fecero così più accese che mai e convinsero i molti che per risolvere il problema occorreva dichiarare l’indipendenza! Nel 1776 Jefferson sancì la nascita degli Stati Uniti d’America con una dichiarazione d’indipendenza. L’indipendenza divenne effettiva ed ottenne il riconoscimento a livello internazionale nel 1783 con il trattato di Parigi, a cui ovviamente si arrivò in seguito ad una guerra.
Il Problema Demografico La scarsa popolazione americana costituiva un serio problema per lo sviluppo di un così esteso territorio. Nel corso degli anni, però, la situazione migliorò specialmente a causa dell’immigrazione : in breve tempo, le immigrazioni divennero così frequenti che portarono gli Stati Uniti ad una massiccia espansione! Fu infatti resa necessaria l’applicazione della c.d. Dottrina Monroe - l’America agli Americani mediante la quale gli Stati Uniti non si sarebbero interessati all’Europa e l’Europa era invitata a non interessarsi agli Stati Uniti. Il che si tradusse in un legittimo Stop all’Immigrazione! L’insediamento maggiore si trovava nella parte orientale del continente: nel 1848, con la c.d. Manifest Destiny si completò la politica espansionistica verso l’ovest!
Colonizzazione e Progresso Agricolo Nel 1862 fu promulgata una nuova legge allo scopo di stimolare e promuovere l’immigrazione: l’HOMESTEAD LAW, in base alla quale si concedeva la possibilità di insediamento a chiunque volesse diventare cittadino americano purché coltivasse un terreno per almeno cinque anni, trascorsi i quali ne sarebbe diventato legittimo proprietario. Con quest’iniziativa si attirò nel Missisipi un elevato numero di contadini che diede forte impulso allo sviluppo dell’agricoltura: cereali, canna da zucchero, riso sono solo alcuni esempi. Un’altra importante coltura fu quella del tabacco, la cui produzione subì notevoli oscillazioni e addirittura una crisi dovuta alla forte concorrenza, ai dazi sulle importazioni e ai progressi di una coltura concorrente: il cotone. La coltivazione del tabacco riprese però slancio grazie all’introduzione di metodi di lavorazione innovativi. Per quanto riguarda il cotone, la sua coltivazione era affidata agli schiavi. La schiavitù fu abolita nel Nord, ma continuava ad esistere nel Sud . Il già difficile equilibrio tra Nord e Sud fu sconvolto in seguito ad una nuova tariffa protezionistica per la quale i Sudisti si ritenevano danneggiati e sfruttati dai Nordisti: di qui, la Convenzione della Corolina del Sud che dichiarò nulla la tariffa. Uno scontro violento fu evitato grazie all’opera moderatrice del Presidente Clay che, con un compromesso, ridusse i dazi doganali.
Le Prime Fasi dell’Industrializzazione Alla fine del XVIII secolo, la popolazione degli Stati Uniti continuava ad apparire modesta in confronto alla vastità del continente. Inoltre, la scarsità del sistema dei trasporti escludeva le classi rurali dalla vita economica del paese. Solo dopo il 1820 possiamo parlare di un processo di industrializzazione valido che permise all’economia americana di colmare il divario con i paesi europei più industrializzati. Sin dall’inizio si potè contare sull’introduzione delle macchine a sul ruolo dell’Imprenditore che riesce ad utilizzare le invenzioni, promuoverle e trasformarle in innovazioni tecnologiche. L’industria americana potè contare sugli operai europei che, emigrati in America, importarono e perfezionarono le tecniche apprese nel vecchio Continente. In soli quarant’anni gli Stati Uniti divennero il secondo paese più industrializzato al mondo con un crescente sviluppo dell’industria di sfruttamento di risorse ed industrie-chiave (meccaniche e tessili, cuoio e calzature...) Negli stessi stabilimenti, vennero impiantate macchine ed officine destinate alla produzione di macchinari e mezzi di produzione. Si avviò un nutrito nucleo di industrie meccaniche, ognuna delle quali era specializzata in un settore. Di qui, la costruzione di macchine a vapore e della locomotiva: il tutto si tradusse in un forte impulso alla siderurgia.
Il Terziario Per assecondare lo spostamento della frontiera verso ovest, alcuni privati costituirono alcune società allo scopo di costruire strade sottoposte a pagamento di dazi. Successivamente, i privati si ritirarono dall’impresa e l’affidarono al Governo Federale. Contemporaneamente, fu rivolta attenzione anche ai trasporti marittimi e fluviali e, laddove il trasporto fluviale non era possibile, si pensò di costruire grandi canali. Fu inoltre emanata una legislazione a favore della marina mercantile e furono stipulati trattati commerciali con altri Stati europei. Tali accordi permisero alla marina mercantile americana di detenere il 92.5% del commercio estero. Tuttavia, verso il 1830 si ebbe una grave crisi dovuta al passaggio dal legno al ferro. Si riuscì comunque a trarre vantaggio dalla difficoltà perché, l’abbondanza di ferro stimolò lo sviluppo delle ferrovie. Innovazioni furono introdotte pure al sistema bancario che, fino al 1790, era gestito da tre banche:
- Bank of North America - Bank of New York - Bank of Massachussets
Poi si costituì una banca centrale, la Bank of United States di cui lo Stato deteneva 1/5 delle azioni. La banca centrale mise in circolazione una nuova moneta, il dollaro e fissò un nuovo rapporto argento - oro pari a 1 – 15.
La Guerra di Secessione Alle soglie del 1860 il divario tra Nord e Sud era esasperante: il Nord era urbanizzato, il Sud era per lo più agricolo; Il Nord mirava all’applicazione dei dazi, il Sud al loro annullamento; Il Nord reclamava un’efficiente organizzazione bancaria nazionale, il Sud l’avversava; Il Nord era tendenzialmente più democratico, al contrario del Sud che continuava ad essere schiavista. Il conflitto tra i due mondi era quindi nell’aria: le ostilità si aprirono ufficialmente nel 1861 ed immediatamente i Sudisti mostrarono la propria inferiorità numerica, tecnologica e militare. Alla fine della guerra, nell’aprile del 1865, ci si rese conto delle terribili conseguenze: grandi città distrutte, strade impraticabili, rete ferroviaria inagibile e banche nel caos più totale nel Nord, fattorie distrutte, dighe e recinti abbattuti e bestiame sterminato nel Sud. Una delle categorie più danneggiate fu quella dei proprietari terrieri che avendo perso gli schiavi si trovarono in serie difficoltà: per sopravvivere, infatti, dovettero mettere all’asta pezzi del loro terreno. Gli stessi ex-schiavi poterono aggiudicarsi un pezzo di terra. Le difficoltà tuttavia perdurarono: da un lato, i latifondisti non avevano manodopera e dall’altro, gli ex-schiavi non avevano i mezzi per prendere in affitto le fattorie. Si arrivò così ad un compromesso: gli ex-schiavi, ormai liberi, avrebbero continuato a prestare servizio al padrone il quale offriva loro vitto ed alloggio in cambio di una parte del raccolto. A patirne furono proprio gli schiavi: si resero conto che la situazione non era per nulla cambiata . Quanto al Nord, l’agricoltura fu il primo settore a ricavare vantaggi. Seguì una ricostruzione ed un maggiore sviluppo dell’industria che raggiunse altissimi livelli di produttività.
Popolazione e Dinamica Il rapido sviluppo dell’economia americana dopo il 1860 non si potrebbe spiegare senza tener conto del consistente aumento della popolazione che si era più che raddoppiata a causa del continuo flusso migratorio. Ed è per questo che l’agricoltura conobbe un notevole sviluppo, specialmente nelle regioni occidentali. Al contrario, quelle orientali, oppresse anche dal pagamento di pesanti dazi, non riuscirono a competere con le floride regioni dell’ovest e l’agricoltura subì una crisi. Altrove però, l’agricoltura compì passi da gigante grazie anche ad un maggiore uso della meccanizzazione e ai più moderni mezzi di coltivazione. Inoltre, le attività governative istituirono particolari organi scientifici che garantirono un migliore sfruttamento della terra. Tuttavia, l’agricoltura viveva una sorta di contraddizione: da una parte vendeva su scala mondiale in un regime di piena concorrenza, dall’altra acquistava in un mercato protetto. Quindi, mentre i prezzi agricoli tendevano a scendere, quelli dei prodotti industriali si mantenevano stabili. Se a questo aggiungiamo l’alto livello di tassazione e del tasso d’interesse sui prestiti agrari, è facile capire perché molti dichiararono fallimento. Una prima ripresa si ebbe agli inizi del XX secolo, quando cioè si introdussero nuovi metodi di produzione, si attuò una migliore selezione delle sementi e si dedicarono maggiori cure all’allevamento.
Processo Industriale, Grande Impresa e Concentrazione Economica In pochi anni quindi gli Stati Uniti divennero il paese con il più alto reddito pro-capite al mondo e con una produzione agricola senza pari. Importanza rilevante per il progresso ebbe l’industria siderurgica che migliorò grazie ad una serie di innovazioni. In poco tempo tale industria accrebbe le proprie dimensioni e la produzione. L’acciaio fu progressivamente sostituito al ferro. La regione dei Grandi Laghi divenne il cuore industriale degli Stati Uniti. Decisivo fu anche il ruolo del carbone, del petrolio e dell’elettricità. Lo sviluppo industriale venne agevolato dall’introduzione di nuove tecniche come quello delle “parti intercambiabili” che garantì risparmio di manodopera, possibilità di riparazione e manutenzione semplificata. Il definitivo passaggio alla produzione di massa si sarebbe effettuato con la catena di montaggio introdotta da Henry Ford (precursore della globalizzazione). Nel 1870 inoltre, alcuni uomini d’affari si resero conto che se fossero riusciti a far entrare le ditte concorrenti in un’unica organizzazione, avrebbero potuto ridurre i costi di produzione e controllare i prezzi. Sperimentarono così il Pool (cartello) ed il Trust (insieme di società anonime cui gli azionisti conferivano le proprie quote e delegavano la gestione degli affari). L’attuazione del sistema portò molti vantaggi: eliminazione della concorrenza selvaggia, maggiore efficienza aziendale e produzione di massa a prezzi competitivi. Ma tutto ciò andava contro i princìpi del libero mercato su cui era fondata l’economia americana. Inoltre si verificarono tariffe esorbitanti arbitrarie, privilegi e metodi poco ortodossi per eliminare la concorrenza. Si richiese così l’intervento statale e molti stati promulgarono leggi anti-trust. Ma i trusts non potevano essere definitivamente sciolti perché potevano formarsi, ad ibitum, in altri stati. Ai primi del ‘900, la politica si orientò verso un maggiore interventismo trovando in Franklin Delano Roosevelt il maggior sostenitore dell’anti-trust: ma le leggi anti-trust non trovarono mai un’effettiva applicazione.
La Politica Commerciale ed i Problemi Creditizi Le gravi tensioni sociali avutesi nel corso del 1800 sfociarono in un acceso e generale malcontento nel 1893 caratterizzato da continui scioperi e marce operaie. Si ebbe frattanto una svolta nel commercio internazionale: sempre più paesi, infatti, assorbivano prodotti made in USA che l’America, grazie alla concentrazione industriale, produceva a costi bassissimi. Tra il 1910 ed il 1914 il 50% delle esportazioni era costituito da materie prime e semilavorati. Tuttavia gli Stati Uniti erano ancora un paese protezionista con le frontiere chiuse. Nel settore creditizio intanto si tentò di introdurre criteri centralizzati per eliminare gli abusi. La riorganizzazione creditizia si avviò nel 1913 con il Federal Reserve Act che introduceva il Federal Reserve System: il vasto territorio degli Stati Uniti veniva diviso in dodici distretti ad ognuno dei quali veniva assegnata una Federal Reserve Bank, coadiuvata dalle Banche Nazionali. Si attuò quindi un sistema creditizio unificato vigilato da un comitato che prende il nome di Federal Reserve Board. Le Federal Reserve Bank vennero autorizzate ad effettuare il risconto, a concedere prestiti al sistema creditizio locale, ad emettere biglietti e a fungere da tesoreria. Il controllo del credito andò al Governo e non più ai privati.
La Fase delle Riforme ed il Consolidamento dell’Economia negli anni del I Conflitto Mondiale Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti dichiararono la propria neutralità. Lo stesso Presidente Wilson inaugurava un programma di riforme in armonia con la moralità, di cui si faceva portavoce. Introdusse una nuova tariffa doganale ed un’imposta federale progressiva sul reddito. Nel 1914 Wilson operò una dura lotta contro i monopoli facendo approvare il Clayton anti-trust Act e due anni dopo emanò due leggi al fine di rendere meno gravoso il ricorso degli agricoltori al credito bancario. Tuttavia, gli Stati Uniti entrarono in guerra. A spingerli fu il timore che la Germania incuteva perché ormai era diventata una super potenza, al pari degli stessi Stati Uniti. Inoltre, l’America aveva concesso ingenti prestiti e forniture di armi e materiali vari alla Gran Bretagna ed alla Francia: così gli Stati Uniti mobilitarono un’efficiente e terribile macchina bellica... Anche se, intanto, il Governo si trovò a gestire una difficile situazione economica interna con una moneta che a poco a poco perdeva valore.
Il Boom e la Crisi nel Periodo Post-Bellico Alla fine del primo conflitto mondiale gli Stati Uniti si trovarono in una posizione più che favorevole: possedevano la metà delle riserve mondiali d’oro, erano creditori di circa 10miliardi di dollari nei confronti dei paesi belligeranti, New York si sostituì a Londra così come il dollaro si sostituì alla sterlina nel mercato internazionale... Di qui, un forte rialzo dei prezzi, dovuto al desiderio di ricostruzione, una fase di grande sviluppo ed un maggiore stimolo alla produzione ed agli scambi internazionali. Tuttavia questa fase d’euforia durò poco: infatti negli anni ’20 si registrò un pesante crollo dei prezzi dovuto all’inversione del rapporto tra domanda ed offerta. Seguì una grave sovrapproduzione che danneggiò i paesi più sviluppati. Ci fu poi la salita al potere del partito repubblicano ed il conseguente riadattamento dell’economia, la riconversione delle industrie e l’abbandono del controllo dei prezzi e della produzione.
La Prosperità degli anni ’20: Luci ed Ombre Gli Stati Uniti stavano quindi vivendo un periodo di enormi svolte, sia in campo politico sia economico. Sconfitto il democratico Wilson, il potere passò ai Repubblicani (Harding, Coolidge, Hoover...) che inaugurarono una fase d’isolamento dal mondo esterno, anche se gli Stati Uniti parteciparono attivamente alla politica internazionale. Nel 1920 fu approvata una legge d’emergenza sulle tariffe doganali che doveva servire a proteggere i prodotti nazionali colpiti dalla crisi dei prezzi. Ciò chiuse i mercati americani ai prodotti dei paesi europei che a loro volta impedirono l’esportazione delle merci americane. Così gli stati europei, per pagare gli acquisti, furono aiutati dagli Americani che concessero loro ingenti somme in prestito. Inoltre, la produzione aumentò , i costi di produzione diminuirono ulteriormente in favore dei profitti, che di contro registrarono un notevole incremento, proprio come il reddito pro-capite annuo che aumentò del 30%. Eppure, il problema della disoccupazione non era ancora stato risolto ed era condizionato dallo sciopero tecnologico, dovuto alla diffusione delle macchine che si sostituirono progressivamente al lavoro dell’uomo. Inoltre, ci fu un ristagno agricolo dovuto alla pressante concorrenza argentina e canadese: molti agricoltori si diressero verso le industrie nord-orientali. Ma non era tutto: la situazione internazionale non era certo migliore, mancava un sistema monetario internazionale stabile e l’intera Europa dipendeva dai prestiti americani.
La Crisi di Wall Street La catastrofe incombe... E proprio nel periodo più florido degli Stati Uniti. Le cause furono molteplici: cattiva distribuzione del reddito, debole struttura creditizia (caratterizzata da un elevato numero di organismi), degenerazione dei rapporti economici e finanziari con l’estero. La crisi arrivò in punta di piedi, inaspettata: infatti, in soli cinque anni (1922/1927) il valore delle azioni si era raddoppiato e nel ’29 addirittura quadruplicato. Si innescò una spirale al rialzo che in poco tempo portò ad un’inflazione monetaria causata dalla Federal Reserve che immise sul mercato un’abbondante liquidità. Nell’ottobre del 1929 si ebbe il crollo della Borsa di Wall Street: i titoli iniziarono a scendere e molte fabbriche furono costrette a chiudere. La disoccupazione, infine, raggiunse livelli preoccupanti: dei 30milioni di disoccupati del mondo, 12 erano negli Stati Uniti. Seguì una diminuzione degli investimenti e dei consumi... Gli Stati Uniti vivevano una situazione d’emergenza senza precedenti.
Roosevelt e il New Deal Le autorità governative, almeno all’inizio, non riuscirono a trovare soluzioni anche perché l’ideologia liberale non prevedeva l’intervento statale. Lo stesso presidente Hoover minimizzò la crisi credendola passeggera e ritenne che gli aiuti dovessero provenire dai privati. Furono poi adottate numerose riforme:
- Furono ridotte le imposte, furono concessi prestiti agli agricoltori, furono adottate misure protezionistiche; - Fu istituita la Reconstruction Finance Corporation per facilitare il credito e fu ridotto il tasso di sconto;
La ripresa vera e propria si ebbe però con la salita al potere di Franklin Delano Roosevelt il quale ritenne opportuno avviare una serie di riforme atte a consolidare il sistema. Il programma, meglio noto come New Deal (Nuovo Corso) attuò:
- Svalutazione del dollaro; - Interventi per favorire il settore agricolo ed industriale; - Istituzione della National Industrial Recovery che regolò i prezzi e stabilizzò i salari ; - Istituzione dell’Agricultural Adjusment Act, mediante cui gli agricoltori furono invitati a restringere le superfici coltivate ; - Deficit Spending, con cui si immise nel sistema ulteriore moneta; - Politica di lavori pubblici - Aiuti economici agli agricoltori, ai reduci, ai disoccupati; - Prestiti per la costruzione di strade, case, ponti... - Tennesse Valley Authority, mediante cui si decise di sfruttare il ricco bacino del Tennesse; - Emergency Banking Act, con cui si pose maggiore controllo alle banche. Le banche inoltre vennero divise in banche di deposito e banche d’affari .
L’Economia di Guerra ed il Bretton Woods La seconda guerra mondiale rappresentò per gli Stati Uniti una buona occasione per uscire dalla depressione. Sicuramente la prospera situazione in cui versavano gli Stati Uniti permise loro di entrare in guerra, ma a costi molto elevati. Al finanziamento dell’impresa bellica provvidero:
- Aumento delle imposte; - Prestiti privati e da parte della Federal Reserve Bank; - Emissioni d carta moneta.
Per evitare l’inflazione, il Governo operò un controllo sui prezzi e salari. Durante la guerra, l’industria e l’agricoltura sfruttarono al massimo la propria capacità produttiva: migliorarono le condizioni di vita. Al termine della guerra, la situazione mutò sia per i danni arrecati sia per le conseguenze nel sistema monetario e delle relazioni internazionali. Di qui, l’iniziativa di Roosevelt di indire nel luglio del 1944 a Bretton Woods una conferenza internazionale (cui parteciparono 44 rappresentanti di vari paesi) allo scopo di ristabilire l’ordine nel sistema monetario internazionale. Furono presentati due progetti:
1- White, tutelando gli interessi degli Stati Uniti, volle conferire al dollaro il ruolo di riserva mondiale e propose il ritorno al Gold Exchange Standard e quindi che la convertibilità non avvenisse in oro, ma in dollari;
2- Keynes, propose di utilizzare, nei pagamenti internazionali, un nuovo mezzo: i BANCOR. Per renderlo possibile, Keynes pensò ad una banca centrale cui le banche dei singoli paesi avrebbero dovuto versare le proprie riserve auree e poi la banca centrale avrebbe provveduto alla distribuzione della nuova moneta.
Fu accettata la proposta di White e si tornò quindi al Gold Exchange Standard. Di qui, la creazione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) con cui si garantì la stabilità dei cambi e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS), entrambi con sede a Washington. Venne infine istituito a Ginevra l’Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT che poi sarebbe diventato WTO – World Trade Organisation, vale a dire Organizzazione per il Commercio Internazionale) allo scopo di espandere il commercio ed eliminare le barriere doganali.
CAPITOLO 6: LA RUSSIA - UN RITARDATARIO IMPAZIENTE
L’Evoluzione Demografica La Russia sembrava più una potenza asiatica che europea. Le era inoltre impedito l’accesso al mare e qualunque tipo di rapporto con l’Occidente. L’occasione tuttavia di diventare una potenza europea non mancò e le fu data da Pietro il Grande e Caterina II. Fino al 1700 la Russia aveva una popolazione estremamente scarsa . Poi, durante tutto il secolo successivo, fu travolta da un’incredibile crescita demografica dovuta a fattori del tutto naturali: la donna russa mostrò maggior propensione al matrimonio ed alla maternità ed addirittura gli stessi Signori Feudali incoraggiarono il matrimonio tra servi per beneficiare di maggiore manodopera. Le cose rimasero immutate anche dopo l’abolizione della servitù della gleba: le donne, infatti, continuarono a sposarsi perché il villaggio avrebbe affidato al nucleo coniugale un pezzo di terra. Soltanto tra il 1895 ed il 1920 si registrò un forte calo della natalità dovuto alla diffusione di una cultura più moderna...
Il Settore Agricolo e l’Emancipazione dei Contadini In Russia il prelievo fiscale, necessario a garantire il mantenimento della nobiltà e dello Stato, era addossato alle campagne. La monarchia si appoggiava ad una nobiltà militare che veniva ricompensata con la concessione di terre, comprensive di contadini per poterla lavorare. Al contadino era permesso soltanto occuparsi di un piccolo pezzo di terra per consentirgli il mantenimento della famiglia . La campagna era dunque condannata a vivere un’agricoltura di sussistenza dai modestissimi rendimenti: questi inevitabilmente portarono al ristagno dell’agricoltura. Il primo problema da affrontare era l’emancipazione dei servi. La spinta al cambiamento fu data dal disastroso esito della Guerra di Crimea durante la quale lo zar Alessandro II si rese conto dell’inferiorità della Russia e nel 1861 liberò i contadini. Il provvedimento suscitò non poche polemiche tra le classi nobiliari, che si videro estorcere un bene che loro ritenevano irrinunciabile. Così, lo zar nel 1864 emanò un editto con cui vinse la resistenza dell’antica aristocrazia mediante un compromesso: i proprietari pretesero ed ottennero l’intero valore della terra e la capitalizzazione della rendita feudale. Ad ogni modo, le basi per la modernizzazione erano state tracciate. Il predominio spettava alle colture dei cereali e del lino, ma anche quelle di barbabietola da zucchero, del cotone e del tabacco andavano bene. L’agricoltura tendeva ad una prima commercializzazione grazie anche allo sviluppo delle ferrovie.
Mobilità e Cambiamento Sociale L’eterno mutamento della popolazione russa traeva origine dai cambiamenti della società rurale, a cominciare dalla differenziazione della figura del contadino: alcuni contadini erano attratti dall’agricoltura pionieristica, altri invece cercavano lavoro nelle fabbriche, nei trasporti, nel terziario... Ogni contadino che aveva trovato lavoro poteva lasciare l’appezzamento di terra ed affidarlo al Mir (comunità del villaggio). Il mutamento sociale assunse un andamento irregolare perché il Governo, da una parte favoriva lo sviluppo del paese e dall’altra poggiava le proprie basi su un’aristocrazia terriera. La borghesia, a sua volta, si schierava con lo zarismo soltanto se questo le favoriva uno sviluppo economico da cui trarre profitto. Ancora, lo sviluppo economico in corso aumentò la massa proletaria creando disagi alla borghesia. Quest’ultima da un lato spingeva il Governo per un minimo di riforme sociali e politiche, e dall’altro appoggiava il regime nella lotta contro la classe operaia. Tra il 1895 ed il 1914 si verificarono diversi cambiamenti strutturali: l’espansione demografica produsse importanti progressi in agricoltura come l’aumento delle superfici coltivate e dei rendimenti ed una maggiore mobilità della forza-lavoro. L’agricoltura acquistò così un certo dinamismo che giovò all’industrializzazione.
Il Settore Manufatturiero Le prime manifatture furono volute da Pietro il Grande il quale diede preferenza alla metallurgia, alla cantieristica ed allo sfruttamento delle miniere. A questo, si aggiunse un artigianato urbano e rurale. Col tempo, maturò la necessità di eliminare le aziende che funzionavano di meno. Sotto Caterina II la crescita demografica, l’urbanizzazione, l’abolizione di molte dogane ed il lento arricchimento del paese contribuirono allo sviluppo industriale: iniziarono a sorgere molte industrie private. Nel 1775 due tecnici inglesi diedero vita all’industria cotoniera e a poco a poco sorsero altre fabbriche che davano lavoro a molti operai. Gli artigiani, inoltre, producevano esclusivamente per la vendita. Tuttavia le manifatture registrarono un progressivo declino a causa della scarsa attrezzatura tecnica e della manodopera servile: alla fine delle guerre napoleoniche, gran parte delle industrie faceva affidamento al lavoro manuale e quindi produceva a rilento e non favoriva lo sviluppo della borghesia industriale. Nel 1822 fu introdotto un provvedimento che prevedeva l’attuazione di un sistema di tariffe protezionistiche: ma di vera e propria rivoluzione industriale si può parlare solo nel 1890, quando cioè ci fu una prima diffusione delle macchine. Nel 1880 c’era però stata una carestia che aveva portato alla caduta della domanda e quindi alla crisi. Contemporaneamente, le condizioni della classe operaia degeneravano: si ridussero allora le ore di lavoro e si pose un freno al lavoro minorile. Il peggioramento della classe operaia portò a violente reazioni e a massicce e frequenti manifestazioni e scioperi, in seguito ai quali vennero formandosi le prime associazioni operaie. Il progresso fu ostacolato da una legislazione antica che non era adatta alle necessità del nuovo secolo. Lo stato così, creò nuovi posti di lavoro, migliorò le tecniche industriali e rafforzò il sistema ferroviario. Quest’ultimo fu molto importante perché permise un’accelerazione dello sviluppo.
La produttività del Lavoro I maggiori aumenti di produttività si ebbero tra il 1900 ed il 1908 nelle industrie alimentari e della carta. Nel 1913 la produzione cotoniera per addetto era pari alla metà di quella inglese. Il minor prodotto medio e gli elevati costi fissi facevano sì che i costi della manodopera non fossero inferiori a quelli dei paesi più evoluti. Il processo di industrializzazione fu comunque abbastanza lento. Inoltre la popolazione impegnata nell’industria era pari ad 1/3 della popolazione totale a causa della stagionalità del lavoro agreste e dell’inadeguato compenso delle fabbriche rispetto alle privazioni che l’abbandono della terra avrebbe comportato.
Il Comunismo di Guerra – 1917 / 1921 Il processo di industrializzazione e di trasformazione fu bruscamente interrotto dalla prima guerra mondiale che causò la caduta della produzione in tutti i settori. L’interruzione dei trasporti transoceanici privò il paese di macchinari e materie prime. Si aggiunse poi la Rivoluzione d’Ottobre che gettò nel caos più totale l’economia: gli operai presero il controllo delle fabbriche allontanando i direttori. L’evento produsse un notevole calo della produttività e quindi della produzione. Vennero poi a costituirsi dei comitati di fabbrica che miravano a rivendicazioni immediate. Il nuovo corso comportava innanzitutto l’abolizione della proprietà privata, ma anche la soppressione del mercato che costituiva l’elemento fondamentale del capitalismo. Si cominciò così con l’abolizione della proprietà privata della terra dei grandi proprietari terrieri e del clero e si procedette ad una collettivizzazione delle colture. Poi fu la volta della nazionalizzazione delle banche, del commercio estero e dei principali settori industriali. Gli effetti non tardarono ad arrivare: altissima inflazione. Il Governo così organizzò la requisizione dei prodotti e la loro ridistribuzione secondo il principio del “a ciascuno secondo i propri bisogni”. Le conseguenze furono a dir poco catastrofiche: ci furono pessimi raccolti, la produzione crollò ed i contadini abbandonarono la terra.
La Crisi del 1921 e la “Nuova Politica Economica” (NEP) La caduta della produzione agricola aveva ridotto l’accesso di cereali verso le città ed il Governo si vide costretto a intraprendere una politica di requisizioni. Nell’industria si verificò un calo della produzione di 1/5 ed il commercio estero si ridusse di 1/10. Emersero difficoltà tra città e campagna: la città chiedeva materie prime e prodotti alimentari, ma la campagna non riusciva ad accontentarla. A quel punto, Lenin in occasione del X Congresso del Partito Comunista, nel 1921, sostenne l’introduzione di un capitalismo di Stato ed elaborò la Nuova Politica Economica (NEP) che si concretizzò mediante:
- La denazionalizzazione delle ditte con meno di 10 operai; - Concessioni accordate alle imprese straniere; - L’affidamento delle imprese statali a capitalisti privati.
Con la NEP quindi si voleva mantenere un controllo sulle industrie-chiave, sul commercio estero e sulle banche. Grazie alla NEP la produzione di cereali raddoppiò in un anno! La NEP aveva dato luogo all’apparizione dei cosiddetti Nepmen, ovverosia piccoli industriali e mercanti arricchiti che facevano da ponte con l’attività statale, e dei Kulaki, ovverosia contadini più agiati. Con la morte di Lenin, avvenuta nel 1924, ci si chiese che cosa fare: si propose di lasciare o di non stabilizzare la NEP. Nel primo caso, sarebbe nata una borghesia rurale del tipo occidentale. Nel secondo caso, occorreva perseguire una massiccia industrializzazione finanziandola con i prelievi dei contadini. A Lenin, successe Stalin secondo il quale occorreva riprendere le terre mediante una collettivizzazione delle campagne. Per la scarsa propensione al rischio però, si preferì moltiplicare le unità lavorative piuttosto che adottare tecniche più progredite ed evolute.
Il Periodo della Pianificazione – 1928 / 1953 A partire dal 1928 l’economia russa è affidata a Piani Quinquennali che permisero al Governo di prendere grandi decisioni in politica economica.
- I Piano Quinquennale (1928 / 1932). Obiettivo principale era rendere la Russia industrialmente indipendente. Nel 1929 si ebbe l’espropriazione dei contadini e la collettivizzazione forzata di molte aziende agricole cui si sostituirono due tipologie di aziende: . Sovkhoz, aziende di Stato amministrate dal potere pubblico; . Kolkhoz, cooperative agricole in cui dovevano rientrare tutti i contadini. Ogni rivolta dei Kulaki venne repressa e molti vennero deportati in Siberia. Le risorse vennero concentrate nello sviluppo dell’industria di base. Si cercò di contenere i salari per accumulare capitali. La produttività era bassa ed i costi di produzione molto elevati.
- II Piano Quinquennale (1933 / 1937). Ai grandi progetti di produzione di massa subentrò una maggiore considerazione per la qualità. I mutamenti fondamentali furono due: instaurazione di una politica di decentramento, secondo cui le fabbriche dovevano essere ubicate vicino alle materie prime ed una maggiore attenzione alla produzione di beni di consumo nonché la costruzione di nuove abitazioni e la creazione di possibilità di svago. Anche il secondo piano fallì clamorosamente.
- III Piano Quinquennale (1938 / 1942). Si adottò una politica di rallentamento visti i fallimenti dei primi due piani. L’industria fu depauperata di alcune migliaia di tecnici accusati di aver sabotato la produzione.
- IV Piano Quinquennale (1946 / 1950). Ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale e si propose di incrementare l’industria del 48% e l’agricoltura del 27%. La priorità fu data all’industria di base. Importanti saranno le centrali idroelettriche, le grandi acciaierie ed i grandi assi di trasporto.
- V Piano Quinquennale (1951 / 1955). Non fu mai reso noto, ma se ne conoscono alcuni punti e direttive generali, come per esempio la priorità data all’industria pesante. A Stalin, successe Kruscev.
I mezzi utilizzati per finanziare i piani derivarono da:
- Imposizione fiscale; - Prestiti facoltativi; - Profitti d’impresa.
La pianificazione produsse una considerevole meccanizzazione dell’agricoltura che migliorò anche grazie all’adozione di mancimi e sementi. L’allevamento registrò un notevole peggioramento dovuto al fatto che i contadini, prima di entrare nei Kolkhoz, avevano dovuto abbattere il bestiame. Al contrario, si sviluppò l’industria meccanica, chimica, alimentare e dell’alluminio. Bisogna infine ricordare che l’industrializzazione ebbe luogo grazie ad uno sfruttamento dei contadini prima, e degli operai poi, superiore a quello dei paesi capitalistici e che la caduta del generale livello di vita fu di gran lunga superiore a quella conosciuta nello stesso periodo da Gran Bretagna, Francia e Germania.
CAPITOLO 7: IL GIAPPONE - UN CASO SPETTACOLARE
Le Premesse Intorno al 1860 le condizioni economiche del Giappone erano simili a quelle della Gran Bretagna di un secolo prima. Il paese disponeva di un nucleo di lavoratori zelanti, di una disciplina lavorativa senza eguali e di un’industria manifatturiera basata sul lavoro a domicilio. L’inserimento nel mondo moderno si ebbe con la Rivoluzione Meiji del 1868 che segnò la fine della società feudale: non si trattava tuttavia di una lotta di classe perché il Giappone era caratterizzato da una mentalità di sudditanza ed obbedienza totale nei confronti del padrone. L’economia del Giappone si basava su fattori moderni, come l’utilizzo di tecniche occidentali, fattori tradizionali, come l’utilizzo di tecniche autoctone, e fattori ibridi, ovverosia con caratteristiche dell’uno e dell’altro. Alla limitatezza delle risorse, la popolazione giapponese rispose con la laboriosità e lo zelo. Tre furono i fenomeni che proiettarono il Giappone nel capitalismo:
- Rivoluzione agraria; - Rivoluzione demografica; - Rivoluzione industriale.
La Società Feudale Caratteristica peculiare del Giappone pre-industriale era la sua società fortemente gerarchizzata. Al vertice della piramide c’era l’Imperatore che veniva considerato un semi-dio. Seguiva poi lo Shogun, un capo assoluto che deteneva i poteri. La sua legge prevedeva la chiusura del paese: nessuno poteva lasciare il paese e nessuno poteva entrarvi . Lo Shogun possedeva 1/4 delle terre. C’erano poi Daimyo, ovverosia i signori feudali che possedevano circa 200 feudi o han corrispondenti ai restanti 3/4 delle terre. Dai Daimyo dipendevano i Samurai, i guerrieri che avevano giurato fedeltà all’Impero e vivevano delle consegne che i contadini davano ai Daimyo. Alla base, vi erano i contadini i quali non potevano abbandonare la terra, ma anzi dovevano coltivarla e pagare diritti feudali nonché offrire delle prestazioni di lavoro ai Daimyo e gli artigiani i quali erano organizzati in corporazioni e lavoravano direttamente per i Daimyo. La popolazione rimase stazionaria per circa centocinquant’anni : una prima, lenta crescita si ebbe solo attorno al 1840. L’80% della popolazione era contadina e le tecniche di produzione erano tradizionali ed arcaiche. Di contro, si ergeva una società progredita e sviluppata caratterizzata da una vigorosa cultura urbana e da un altissimo livello d’istruzione.
La Rivoluzione Meiji Il fenomeno affonda le radici nel 1500, quando il miglioramento delle vie di comunicazione e lo sviluppo delle città comportò una monetarizzazione del riso. Questo diede vita ad una categoria di mercanti sempre più intraprendenti che amministravano la produzione di riso. Intorno al 1860 si ebbe una riforma religiosa che prevedeva l’abbandono del Buddismo ed il ritorno allo Shintoismo. Ne seguì un indebolimento dell’intero sistema feudale, alla cui testa c’era un Imperatore-dio venerato dalla popolazione. Inolte, l’aumento demografico, la conseguente urbanizzazione e la concentrazione del riso verso le città provocarono un sostenuto aumento dei prezzi e l’agitazione dei Samurai, che videro assottigliarsi le consegne di riso. Gli stessi proprietari terrieri videro peggiorare le proprie condizioni di vita. Nel gennaio 1868 le truppe avverse allo Shogun s’impadronirono di Kyoto e posero fine allo Shogunato. Il Governo Meiji che ne derivò fu più interessato alla grandezza nazionale che non al prorgesso: la stessa emancipazione del contadino non doveva mirare ad accrescere il benessere, ma ad aumentare l’efficienza e quindi la produttività. A questo, si aggiunse l’intervento degli Stati Uniti i quali, desiderosi di conquistare il mercato giapponese, imposero allo Shogun l’apertura del Giappone al commercio internazionale. La rivoluzione Meiji evidenziò le gravi debolezze del sistema nipponico e si rese necessario formare una flotta ed un esercito. Occorreva anche costruire ed avviare l’industria e trasformare completamente l’agricoltura. Occorreva soprattutto eliminare la feudalità.
L’Abolizione della Feudalità Il primo atto del governo Meiji prevedeva l’abolizione della feudalità. I contenuti della legge abolitiva possono così riassumersi:
- Libertà del lavoro ed abolizione dei diritti feudali; - Restituzione delle terre dei signori ai contadini; - Perdita dei privilegi dei Daimyo e dei Samurai.
Quest’ultimo punto, vale a dire la perdita degli antichi privilegi, comportò per lo Stato il pagamento di un’indennità pari al 7% dell’importo ed il rimborso del corrispettivo in titoli. Tali titoli poi, quotati in borsa, accrebbero il potere economico di coloro i quali li detenevano. Inoltre, la necessità di versare allo Stato una quota fissa comportò gravi disagi ai contadini: molti di essi si indebitarono con i Samurai e furono cacciati dalla terra per inadempienza. La riforma assicurò all’agricoltura un tasso di crescita annuo pari all’1,7%: l’industrializzazione finì così per essere finanziata dai contadini. Il sostenuto aumento della popolazione, inoltre, offrì all’industria abbondante manodopera a buon mercato. Il progresso agricolo camminò di pari passo con l’apparizione di nuove tecniche industriali e commerciali. Si formarono nuove industrie create dallo Stato, ma che poi passarono nelle mani di privati. La stessa agricoltura divenne più produttiva grazie all’uso di tecniche e mezzi migliori.
Il “Modello” Industriale Il decollo dell’economia si ebbe grazie allo sviluppo delle ferrovie e delle costruzioni navali e allo sviluppo dell’industria tessile, carbonifera, meccanica, chimica e delle fonderie . Tra le novità apportate al sistema, è da annoverare la creazione delle Zaibatsu, le grandi industrie che si opponevano alle piccole e la garanzia dell’occupazione che tolse alla manodopera ogni incentivo a combattere le innovazioni. Quando più tardi le necessità militari imposero l’alleanza tra privati e governo, l’industria pesante segnò un massiccio sviluppo. Fu altresì intrapresa una riforma monetaria e creditizia e fu creata, nel 1882, una Banca Centrale: la Banca del Giappone. I motivi di un siffatto successo vanno sicuramente ricercati nello Stato che oltre a creare le imprese, chiese prestiti esteri, provvide all’acquisto di materiale, introdusse nuove tecniche e tecnici occidentali e fece in modo che il popolo non conoscesse il tenore di vita occidentale per evitare che potesse chiedere il miglioramento del proprio. Sicché, fino alla prima guerra mondiale, gli interventi statali furono diretti al miglioramento della società e al potenziamento della struttura militare. Dal 1900 lo sviluppo economico giapponese fu caratterizzato dalla rapidità e dall’accelerazione della crescita grazie soprattutto ai bassi salari ed ai progressi della tecnica.
Gli Anni tra le Due Guerre – 1914 / 1940 L’accresciuta domanda di trasporti marittimi e la rigida offerta arrecarono lauti guadagni. Le notevoli eccedenze furono utilizzate per ripianare il debito pubblico, per le importazioni di oro e per gli investimenti esteri. La metallurgia si espanse, l’industria navale e del carbone invece rallentarono. Nel ’29, anche il Giappone fu però messo in ginocchio dalla crisi di Wall Street: la sopravvalutazione dello yen ed il calo delle esportazioni resero problematiche le importazioni. La situazione peggiorò in seguito ad un preoccupante aumento della popolazione ed alla precarietà dell’agricoltura che non riusciva a soddisfare le richieste. I produttori furono rovinati dal crollo del prezzi della seta e del lino e le esportazioni soffrirono del boicottaggio della Cina e delle barriere doganali dell’India. Occorreva così adottare una politica espansionistica che avrebbe portato materie prime e nuovi mercati. L’inflazione rese però necessaria una finanza deflazionistica con alti tassi d’interesse. Le spese militari crebbero a dismisura. Il neo governo militare abbandonò il sistema aureo. Ne derivò il deprezzamento dello yen pari a 2/3 e la distorsione sbilancaita verso l’industria pesante, chimica, metallurgica e navale a danno di quella tessile e di quella produttrice dei beni di consumo. Il nuovo Mnistro delle Fnanze Takahashi propose una poltica di reflazione che in quattro anni avrebbe richiamato in uso le risorse non occupate ed avrebbe innescato la ripresa economica. L’indice della produzione industriale, infatti, salì da 91 a 149. Le ragioni di questa efficienza risiedono nella risposta degli imprenditori durante la depressione, nell’accresciuta abilità dei lavoratori, nel miglioramento delle attrezzature e nell’organizzaizone degli impianti.
CAPITOLO 8: LA CINA – LO SVILUPPO DELLE ECONOMIE DI PIANO
Modernizzazione Parziale e Rottura degli Equilibri Tradizionali La Cina si estende su un vastissimo territorio costituito per la maggior parte da elevate catene montuose. L’eterno problema dell’agricoltura cinese è sempre stato quello di controllare l’acqua, da cui dipende tutto. Fino al 1700 la Cina godette di grande prosperità poi, a causa di pressioni esterne, il potere centrale cadde. Seguirono gravi carestie ed inondazioni che contribuirono al disfacimento del potere. Intorno al 1850 l’economia cinese può definirsi pre-moderna perché caratterizzata in prevalenza dall’agricoltura e da una debole meccanizzazione. Oltre all’ampiezza territoriale, anche la popolazione costituiva un serio problema: infatti, prima della Seconda Guerra Mondiale l’aumento demografico era pari appena allo 0,5% annuo. Dal 1953 in poi però la popolazione iniziò a crescere ad un ritmo impressionante: il che ovviamente pose il problema della nutrizione e della produzione . Il primo serio avvio allo sviluppo industriale risale all’ultimo decennio del 1800, cioè venticinque anni dopo quello giapponese. Le ragioni del ritardo cinese sono molteplici. Tanto per cominciare, i Cinesi disprezzavano l’Occidente al contrario del Giappone, che come sappiamo si aprì alla modernizzazione! Addirittura, dopo l’apertura dei porti (1842), spettò agli Occidentali avviare prime forme di industrializzazione: tuttavia, mentre i Giapponesi si inserirono prontamente nel processo evolutivo, in Cina furono gli stranieri ad impiantare, per esempio, servizi finanziari e di trasporto. Nel 1895, conseguentemente alla Guerra cino-giapponese, le cose iniziarono a cambiare: il Governo cessò di opporsi alle novità, al commercio, all’industria e anzi cominciò a promuovere la modernizzazione. A trarne beneficio furono soprattutto le industrie tessili. La Prima Guerra Mondiale inoltre stimolò la produzione cinese e fece crescere il numero degli stabilimenti.
Le Grandi Fasi dell’Economia della Cina Popolare - 1949 All’indomani della Rivoluzione del 1911, si creò una nuova forza politica: il Ku-Min-Tang che, alleatosi con i comunisti, si stabilì nel sud, finché però nel 1923 l’esercito guidato da Chang-Kai-Chek occupò gran parte del paese. Nel 1927 i comunisti ripiegarono verso la Repubblica Sovietica del Kiang-Si di cui, nel 1931, Mao-Tse-Tung divenne presidente. La necessità comune di lottare contro il Giappone portò gli schieramenti fianco a fianco. Tuttavia, dopo la capitolazione del Giappone, la lotta riprenderà sul piano interno e le armate rosse imporranno l’influenza comunista a tutto il paese. Così, nel 1949 ci sarà la Repubblica Popolare Cinese, di cui Mao diverrà presidente. Il nuovo regime si affrettò a correggere le forti sperequazioni del regime fondiario dal momento che il 15% dei proprietari terrieri deteneva il 60% delle terre ed era assenteista. La riforma agraria ebbe luogo in due tappe: dopo una prima rivoluzionaria fase, nel 1950 una specifica legge divise i proprietari terrieri in tre categorie:
1- I proprietari non coltivatori, i cui beni furono espropriati senza indennizzo eccezion fatta per un piccolo appezzamento; 2- I coltivatori che si avvalevano di un solo salariato, cui fu lasciato il fondo a patto che riuscisse a fornire i 3/4 del reddito; 3- I contadini senza terra, cui fu assegnato un piccolo lotto pari alla minima unità colturale.
I contadini più intraprendenti si diedero parecchio da fare ed in poco tempo anche in Cina venne a formarsi la classe dei Kulaki. Il Partito cercò di evitare un esodo rurale troppo rapido, per cui non meccanizzò l’agricoltura preferendo invece puntare sull’aumento e la migliore utilizzazione del lavoro umano. Nel 1952 Mao costituì sei milioni di squadre ciascuna delle quali era libera di scegliere il tipo di coltura, ma aveva l’obbligo di riunirsi al tempo del raccolto: fu questa la prima fase detta dell’Aiuto Reciproco Temporaneo del progressivo sviluppo dell’economia cinese. Nella seconda fase (Aiuto Reciproco Permanente) le squadre misero insieme le scarse attrezzature e curarono meglio la divisione del lavoro. Nella terza fase ci fu la costituzione della Cooperative in cui furono messi in comune l’attrezzatura, il bestiame e la terra. Tra il 1949 ed 1958 si realizzò una progressiva socializzazione dell’industria, si procedette alla nazionalizzazione delle imprese capitalistiche, furono multate le aziende che avevano conseguito guadagni illeciti ed i proventi che ne derivarono furono impiegati per finanziare le imprese pubbliche. Il primo piano industriale fu varato nel 1950: l’URSS fornì alla Cina un certo numero di progetti e migliaia di tecnici ed ingegneri, nonché un prestito di alcuni miliardi di rubli. La maggior parte degli investimenti (58%) andò all’industria; all’agricoltura invece andò solo il 7%. Nonostante ciò i posti di lavoro creati erano poca cosa rispetto al pauroso aumento demografico. Il secondo piano puntò su un ulteriore raddoppio dell’industria e su un aumento del reddito nazionale pari al 50%; ma esso non entrò in vigore. Dal 1955 si era verificato un rallentamento della produzione industriale a causa dell’insufficienza delle materie prime. Si tentò poi di fronteggiare la disoccupazione operando un serrato controllo sulle nascite, ma inutilmente.
Dal “Grande Balzo” alla Rivoluzione Culturale – 1957 / 1966 A partire dal 1958 i Cinesi si allontanarono progressivamente dal modello di sviluppo sovietico ed il cambiamento rappresentò anche una presa di coscienza della realtà nazionale. Si intrapresero grandi opere di lavori pubblici come dighe e sistemi d’irrigazione e vennero realizzate acciaierie nelle campagne, ma i risultati si rivelarono fallimentari. Bisognava decentrare la produzione, incoraggiare le piccole industrie, rivalutare l’artigianato creare dei mercati. Nei fatti però, il governo restò sui suoi passi accordando preferenza alle industrie di base. L’obiettivo di spingere al massimo la capacità produttiva delle industrie, senza badare ai costi e all’usura dei mezzi di produzione, portò alla chiusura di molte aziende. La situazione era quindi critica: la rottura con l’URSS portò i Cinesi ad un cambiamento di rotta. La classe dirigente rinnegò la priorità dell’industria pesante a favore di quella dei beni di consumo. Mao puntò tutto sull’ideologia e fece appello alla Rivoluzione Culturale invitando le masse a partecipare attivamente alla vita pubblica. Tra il 1960 ed 1965 ci fu una ripresa grazie agli incentivi per le industrie, al miglioramento dei salari, alla bonifica e agli investimenti operati sul territorio. Si ebbe così la restituzione anticipata del debito all’URSS. La produzione industriale, inoltre, aumentò del 50% e quella cerealicola superò i duecento milioni di tonnellate. A differenza di quello russo, il modello di sviluppo cinese era più decentrato: le unità di produzione fecero affidamento, infatti, più sulle proprie forze che sullo stato.