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Santa Virginia Centurione Bracelli - Wikipedia

Santa Virginia Centurione Bracelli

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La ricostruzione del volto di Virginia
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La ricostruzione del volto di Virginia

Virginia Centurione vedova Bracelli (Genova, 2 aprile 1587 - 15 dicembre 1651), è venerata come santa della carità dalla Chiesa cattolica.

Nella Genova del suo tempo fu attiva nel suscitare e portare avanti molteplici iniziative verso varie forme di povertà.

Da lei presero origine la congregazione religiosa delle Suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario, vulgo Brignoline, con sede a Genova, e quella delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, con sede a Roma.

Indice

[modifica] La vita

[modifica] Nascita e adolescenza

Virginia è figlia di Giorgio Centurione, doge della Repubblica di Genova nel biennio 1621-1622, e di Lelia Spinola. La sua famiglia è nobile e facoltosa nei due rami paterno e materno, e allo stesso tempo pratica le virtù cristiane e soccorre i bisognosi.

Virginia fu battezzata due giorni dopo la nascita.

Imparò dalla madre, soprannominata a Genova come Dama Santa, la devozione per i nomi di Gesù e di Maria. La mamma le insegnò le preghiere più semplici, così come a leggere e scrivere prima di essere affidata, secondo un'usanza del tempo, alle cure del capellano della casa, lo stesso che insegnava a suo fratello Francesco. I genitori volevano dare alla figlia un'istruzione che le permettesse leggere le opere letterarie. A questa maniear Virginia imparò rapidamente il latino.

Sotto la guida del capellano iniziò a conoscere la Bibbia e cominciò a meditarla. Ella mantenne questa abitudine per tutta la vita, e, quando si presentava l'occasione, la citava con disinvoltura.

Già da bambina ripeteva alla mamma che desiderava farsi monaca[citazione necessaria] come si erano fatte monache altre sue parenti. La madre accoglieva i suoi desideri, ma dicendole che era molto piccola per entrare in convento. "Quando compirai venti anni, le assicurò, ti porterò io stessa al monastero".

La madre morì poco dopo. Il padre, secondo l'usanza del tempo, la promise in sposa a Gaspare Bracelli, genovese, unico erede di una ricca e nobile famiglia. Quando Virginia compì quindici anni le comunicò la promessa, cosa che provocò la reazione sconsolata di Virginia[citazione necessaria], cosciente di non poter opporsi alla decisione del padre.

[modifica] Le nozze

Fonti antiche[citazione necessaria] riportano che prima delle nozze, fissate per il 10 dicembre 1602, Virginia, ritirasi nella cappella privata di casa sua e prostratasi davanti al crocifisso, avrebbe sentito uscire dalle labbra sofferenti di Gesù un rimprovero: "Virginia, tu mi lasci per un uomo". Virginia scoppiò a piangere, e non riuscì ad allontanarsi dalla cappella. Fu trovata in lacrime dalla matrigna e da altri parenti, i quali la consolarono spiegandole che il matrimonio è un sacramento e che si può servire il Signore in tutti gli stati di vita, come le ha dimostrato sua madre.

Durante la celebrazione del matrimonio, Virginia rimase un certo tempo indecisa, in silenzio, prima di pronunciare il sì[citazione necessaria].

[modifica] La vita matrimoniale

La vita matrimoniale di Virginia non fu facile. Gaspare, dopo un breve periodo di vita tranquilla, tornò a frequentare i vecchi amici e a dedicarsi ai vecchi divertimenti: caccia e gioco. Tale vita continuò anche dopo la nascita delle due figlie, Lelia e Isabella.

Virginia cercava di nascondere la condotta di suo marito, ritenendola deprecabile, non solo al padre, ma anche alla suocera, che viveva nello stesso palazzo. Tutte le sere inventava una scusa per i lunghi ritardi del marito, e convinceva la suocera a ritirarsi. Passava le ore in attesa del rientro del marito leggendo la Bibbia e pregando davanti al crocifisso o lavorando. Dicono i biografi[citazione necessaria] che quando Gaspare tornava a casa verso l'alba era sempre pronta, delicata e attenta.

[modifica] La malattia di Gaspare

Nel 1606 Gaspare si ammalò gravemente ai polmoni, e i medici consigliarono un clima più salubre. Gaspare si trasferì ad Alessandria presso dei cugini. Virginia avrebbe voluto accompagnarlo, ma il padre si oppose. Gaspare le scrisse varie volte chiedendole di trasferirsi presso di lui, ma Giorgio Centurione rimaneva fermo nella sua opposizione.

Verso la Pasqua del 1607 ricevette dal marito una lettera, scritta con grafia tremante, nella quale Gaspare le diceva: "Se vuoi vedermi ancora vivo, vieni subito".

Virginia, cosciente dei suoi doveri, si presentò allora al padre e gli disse:

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«Padre, io non ho voluto sposarmi con Gaspare Bracelli, ricordatevi che questa unione fu voluta specialmente da voi. Adesso egli è mio marito e io sono obbligata a stare al suo fianco anche se lui non avesse nessun bisogno particolare di me.»

Giorgio cedette e l'accompagnò ad Alessandria.

Virginia trovò Gaspare in condizioni gravissime e gli prestò le sue cure. Chiamò i più famosi medici di Genova, Pavia e Milano, senza badare a spese. Tutti riconobbero la gravità del male, escludendo ogni possibilità di guarigione.

Perse le speranze della guarigione fisica, Virginia si dedicò comunque ad assistere, e soprattutto a prepararlo alla morte che si avvicinava.

Gaspare, caduto in profonda malinconia, sofferente, era restio anche a vedere la servitù, e in particolare non voleva saperne dei religiosi, considerandoli messaggeri di morte. Virginia pregava e sperava in Dio.

Un giorno Virginia convinse Gaspare ad accettare la visita di un cappuccino. Il colloquio durò abbastanza, mentre Virginia pregava. Qualche giorno dopo Gaspare chiese di poter vedere un sacerdote e fece la confessione generale. Consegnò anche una lista di debiti da pagare, in cui figuravano anche le somme di denaro guadagnate al gioco con giovani minorenni.

Dopo di ciò, Gaspere si mantenne in atteggiamento di fede; stringeva tra le mani il crocifisso e ripeteva con fiducia le preghiere di abbandono che Virginia le suggeriva[citazione necessaria].

Gaspare Bracelli morì il 13 giugno 1607, a soli 24 anni di età, lasciando Virginia vedova a soli 20 anni: era l'età che la madre le aveva indicato per l'entrata in monastero.

[modifica] La vedovanza

Non appena lo sposo spirò, si prostrò davanti al crocifisso e rimase lungo tempo in orazione dicendo: "Signore, voglio servire te che non puoi morire". Le sembrò di ricevere una risposta: "Virginia, io ho chiamato a me Gaspare perché da oggi io stesso sarò tuo marito"[citazione necessaria], e lí a Alessandria fece voto di castità perpetua.

Passò il tempo del lutto dedicandosi all preghiera ed all'educazione delle figlie, insieme alla suocera Maddalena Lomellini, che amava e rispettava, e nella cui casa viveva.

Cercando anche la collaborazione della madre di Gaspare, Giorgio Centurione fece di nuovo progetti di matrimonio per la giovane figlia, spinto anche dalla volontà di diventare doge. Virginia fu irremovibile con entrambi, e, per dare più forza alla sua decisione, rinnovò davanti al padre il voto di castità fatto ad Alessandria. Giorgio ne rimase impressionato, ma desistette[citazione necessaria] dai tentativi solo due anni dopo, quando Virginia si tagliò davanti a lui i capelli.

[modifica] La vocazione a servire i poveri

Virginia raffigurata con la sua città
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Virginia raffigurata con la sua città

A partire dal 1610 Virginia sentì più chiaramente la vocazione a servire Dio nei poveri. Con somma attenzione (il padre la controllava severamente) e senza trascurare la sua famiglia, cominciò a impegnarsi nell'assistenza ai bisognosi.

Una notte del 1614, Virginia si svegliò all'improvviso credendo di aver sentito una voce che le diceva: "Virginia, non desidero che accumuli denaro, ma che tu mi serva nella persona dei poveri"[citazione necessaria]. Pensò subito alla somma ingente messa in banca il giorno prima e che non avrebbe potuto riscuotere perché era stata messa a termine.

Raccontò il sogno alla suocera, e insieme decisero di distribuire ai poveri la metà delle loro rendite annuali. Cominciarono a farlo, direttamente e attraverso le istituzioni benefiche del tempo.

Allo stesso tempo, cominciò a interessarsi dell'istruzione dei bambini, fondò scuole e collegi, e aiutò con risorse proprie le famiglie più bisognose perché i figli potessero andare a scuola.

La guerra franco-piemontese (1625) tra la Repubblica di Genova e il duca di Savoia, che era spalleggiato dalla Francia, la disoccupazione e la fame arrivarono nella Repubblica. Genova fu invasa dai profughi, che cercavano rifugio in città fuggendo dai territori occupati. Virginia continuò il suo impegno caritativo: organizzò l'assistenza ai profughi, prestò assistenza e procurò alloggio. Quando non c'era già più spazio negli ospizi pubblici, bussò alle porte delle case umili e dei palazzi di lusso, cominciando da quelle dei suoi parenti.

Si interessò in particolare alle condizioni dei prigionieri, che aiutò spiritualmente e materialmente, ad esempio cercando avvocati disposti a difendere gratis gli imputati più poveri. Portava loro aiuti materiali, e anche una parola di conforto e di speranza cristiana. Ascoltava le loro lamentele per gli abusi e la mancanza di rispetto dei patti, e quindi accedeva agli uffici competenti affinché fosse assicurata la dovuta assistenza, soprattutto quella medica.

Si dedicò anche ai più poveri di quei tempi, i rematori delle galee, ai quali parlava di Dio, cercando di attenuare in loro l'odio che sentivano verso la società. E faceva questo nonostante l'opposizione della famiglia, che si vergognava del fatto che andasse al porto formicolante di gente di tutte le categorie.

[modifica] L'ospitalità delle prime bambine povere

Nel 1630 le due figlie di Virginia erano già sposate, e Virginia viveva da sola nel suo palazzo. Nell'agosto 1625 era morta anche la suocera Maddalena.

Virginia passava le serate in preghiera dopo aver passato la giornata lavorando per i poveri della città. Una sera, mentre pregava, a Virginia parve di udire un pianto prolungato e chiese ad un servo di verificare cosa stava succedendo: era una giovane sola, infreddolita e senza casa. Virginia scese di corsa le scale, uscì, fece entrare la ragazza e la ricevette nella sua casa. La rivestì, la riscaldò, le dette da mangiare e le disse: "Rimarrai qui con me e sarai mia figlia".

In poco tempo furono quindici le giovani accolte nel palazzo di Virginia.

[modifica] Il trasferimento a Monte Calvario

Al crescere il numero delle giovani accolte nel suo palazzo, Virginia arrivò a riservare ad esse l'attico, ma poi dovette cercare un locale più grande. La duchessa Placida Spinola, con cui erano amiche, aveva comprato dai frati francescani il convento di Monte Calvario con la cappella annessa. Quando Virginia glielo chiese, questa glielo concesse, all'inizio gratuitamente, e in seguito in affitto per £ 1.000 all'anno.

Il 14 aprile 1631, domenica delle Palme, Virginia lasciò per sempre la sua casa di Via Lomellini, e si incamminò in processione con le quaranta giovani verso il convento di Monte Calvario. Alla fine della ripida salita entrarono nella chiesa del convento, e lì Virginia si offì a Dio insieme alla sua nuova "famiglia". Mise le sue "figlie", come lei amava chiamarle, sotto la protezione di Nostra Signora del Rifugio.

La nuova casa fu chiamata "Rifugio di Monte Calvario". Lì Virginia accoglieva bambine, ragazze e donne che si presentavano, senza guardare in loro loro classe sociale, il livello culturale, il luogo di origine, il passato. Chiedeva solo docilità e obbedienza.

Era attenta alle loro necessità spirituali, ma anche alle necessità fisiche. Si interessava in particolare dell'igiene delle nuove arrivate. Dopo la pulizia del corpo esortava a fare una buona confessione, come mezzo indispensabile per iniziare una nuova vita. Le assistite riacquistavano la dignità, la considerazione e l'affetto perso o mai sperimentato.

In Monte Calvario si pregava, si lavorava, si cantava, ci si ricreava, però sempre con lo stile che Virginia trasmetteva con le parole e con la sua presenza.

Quando il convento di Monte Calvario diventò insufficiente per le tante richieste, Virginia portò le migliori in una seconda casa e poi in una terza. In tre anni l'opera contava già le tre case e trecento ricoverate.

[modifica] La fede di Virginia nella Provvidenza

Per mantenere la numerosa comunità, che cresceva sempre di più, Virginia cominciò pagando personalmente, attingendo dalle sue rendite e vendendo i suoi mobili di valore. Poi ricorse ai parenti e agli amici, e alla fine all'"Ufficio dei Poveri", il quale gli assegnò un misero sussidio, il famoso "mezzo pezzo di pane".

Però in Monte Calvario non si mangiava solo pane, e, sebbene tutte le ospiti lavoravano a ricamo, a cucito e a pizzi di valore, tutto quello che questo lavoro produceva non bastava per mantenere decorosamente tante persone.

Tra i molti benefattori, alcuni poveri, altri volutamente anonimi, troviamo Giovanna e Francesco Lomellini, che dalle sue navi cariche di grano scaricava prima la parte delle "figlie" di Virginia; e pure il fratello di Virginia, Francesco, capo dell'esercito pontificio.

Una volta successe[citazione necessaria] che uno sconosciuto incontrò Virginia per la strada, le pose in mano una buona quantità di soldi e scomparve velocemente senza dire una parola. Un'altra volta fu Placida Spinola che le mandò un'offerta non attesa. Successe anche[citazione necessaria] che un ricco commerciante pronto per partire per la Spagna le chiese preghiere e le lasciò una generosa offerta.

Raccontano le fonti[citazione necessaria] che un giorno Virginia andò da un commerciante per comprare i vestiti invernali per le sue "figlie", ma i soldi non erano abbastanza, e il venditore non accettò di venderle a credito. A questo punto uno sconosciuto entrò al magazzino, si avvicinò alle spalle di Virginia e le lasciò cadere un rotolo di monete d'oro.

Molte volte Virginia si trovo in difficoltà economiche, e valutò la possibilità di diminuire il numero delle ospiti, o per lo meno di rinunciare ad accettare altre. Non arrivò mai a farlo, convinta che la bontà di Dio non l'avrebbe abbandonata.

Un anno, durante le feste di Natale, Virginia girava per la città cercando aiuti. Il freddo, la pioggia e il fango chiudevano la gente in casa. Nonostante avesse raccolto molto poco, si incamminò verso Monte Calvario ripetendo le parole del Salmo: "Getta nel Signore il tuo affanno, egli ti salverà" (Sal 54,23). Alzando gli occhi vide una fila di asinelli che andavano davanti a lei nella salita del convento. Gli asinelli entrarono nel portone, e la portiera, vedendo Virginia, credette che fossero suoi e li scaricò allegramente. Quando Virginia entrò nel portone gli asinelli stavano già uscendo[citazione necessaria]. "Chi ha mandato queste cose?", domanda. "Non so", risponde la portiera, "credevo che li avesse mandati lei e per questo li ho scaricati di corsa". Virginia si affacciò alla porta, ma gli animali erano ormai lontani. Cadde allora in ginocchio e ringraziò il Signore.

[modifica] Le "Cento Dame della Carità"

Nella prima metà del seicento c'erano a Genova diverse istituzioni pubbliche nate per dare sollievo alla parte più povera della popolazione. In particolare si distinguevano l'"Ufficio dei poveri" e l'associazione delle "Otto signore della misericordia"; quest'ultima versava in stato di decadenza, tanto che non si riuscivano a trovare otto persone disposte a occuparsi degli otto quartieri in cui era divisa la città.

Virginia fu invitata a farne parte, e nonostante il lavoro a Monte Calvario le assorbisse tutto il tempo accettò l'incarico.

Le fu affidato un quartiere poverissimo in cui vivevano più di seicento famiglie. Ella visitò tutte le case, in gran parte casupole molto fragili, e si rese conto della estrema miseria materiale e morale in cui viveva quella gente. Comprese la necessità di riorganizzare la distribuzione degli aiuti in maniera che arrivassero realmente ai poveri: preparò quindi ed espose all'interno dell'Associazione un ampio e dettagliato programma di assistenza e promozione umana. Poté avvalersi degli aiuti provenienti dalla nobiltà genovese, che offrì mezzi materiali e una collaborazione efficace. Sorsero così le "Cento Signore della Misericordia protettrici dei Poveri di Gesù Cristo" ("Cento signore della Carità"), che, insieme ad altre volontarie, portarono avanti nei vari quartieri un'opera caritativa capillare e costante.

Nel 1634 fu chiesto a Virginia di scrivere un regolamento per la Congregazione delle Cento Signore della Misericordia, che ancora oggi è considerato molto moderno nella sua impostazione: il movente e fine di ogni azione di carità doveva essere la persona di Cristo riconosciuto e servito nei poveri.

Le Cento Dame non durarono molto, sia per la incostanza umana, sia per altri motivi. Virginia accettò la sconfitta e scrisse nei suoi propositi: "voglio abbracciare volentieri tutto quello che a Dio piacerà mandarmi, prendere la croce e seguirlo".

[modifica] Il lazzaretto

Le autorità civili chiesero aiuto[citazione necessaria] a Virginia per la riforma del lazzaretto di Genova usato, fuori dai periodi di peste, per l'assitenza a donne, bambini, vecchi e invalidi. Nonostante gli altri impegni e nonostante l'opera di riforma si prospettasse, per le condizioni in cui versava la struttura, lunga e difficile, Virginia accettò, consigliata anche dal suo confessore.

La prima visita al lazzaretto fu tale da non le permetterle di chiudere occhio tutta la notte. Il giorno dopo però cominciò a lavorare, mandando al cappellano una somma di denaro perché lo distibuisse a quelli che avevano alzato di più la voce[citazione necessaria]. Virginia si rendeva conto che non si poteva pretendere un comportamento corretto da persone che non avevano le cose necessarie, sia nel mangiare che nel vestuario.

Compreso che non poteva presentarsi ai poveri con i suoi vestiti lussuosi, decise indossare abiti più semplici e dimessi e di non essere accompagnata dalla servitù. Portava con sé solo Maria Pizzorno, una delle prime ospiti di Monte Calvario che aveva poi deciso di rimanere con lei.

L'opera di assistenza e di riforma iniziata da Virginia incontrò inizialmente le resistenze di chi non vedeva di buon occhio il ritorno all'ordine, ma nonostante vari inconvenienti, Virginia perseverò nel suo proposito: furono riorganizzati il vestuario, le cucine, le attività lavorative degli ospiti i cui guadagni dovevano essere restituiti all'Ufficio dei Poveri che si incaricava delle spese. Per invogliare a lavorare seriamente ed efficacemente ottenne che una percentuale degli introiti fosse assegnata ai lavoratori.

In quattro anni il lazzaretto fu rinnovato e trasformato, furono anche attivati scuole per i più piccoli, corsi di istruzione per gli adulti, novene, ritiri ed attività di esercizi spirituali.

[modifica] Le "quarantore"

Durante le feste di carnevale, che viveva in preghiera e in meditazione e che nella Genova del tempo erano vissute in maniera sfrenata, riscopre le "Compagnie di penitenza", e organizza pie processioni per ricordare a tutti la vanità delle cose umane. Gli storici[citazione necessaria] ci dicono che dove arrivavano le Compagnie di penitenza il chiasso del carnevale si smorzava subito.

Virginia preparò con un fervore speciale la consacrazione della Repubblica alla Vergine Santissima, consacrazione che fu effettuata il 25 marzo 1637.

Per tenere viva la devozione alla Vergine, i sabati e le vigilie delle feste mariane Virginia mandava i ragazzi della "Compagnia dei ciechi" a cantare le lodi di Maria per le strade di Genova.

Si deve a Virginia l'istituzione delle quarantore, che servirono per riavvivare nei fedeli la fede e la adorazione all'eucaristia. Il cardinale Stefano Durazzo, arcivescovo della città, lo concesse su autorizzazione solo quando Virginia si impegnò a curare il decoro delle chiese dove fosse esposto solennemente il "Santissimo Sacramento". Le quarantore furono iniziate verso la fine del 1642.

Altro aspetto della sua poliedrica attività fu il suo lavoro come catechista dei bambini e degli adulti, come pure l'opera di paciera all'interno delle famiglie, tra i nobili cavalieri e il cardinale e le massime autorità della Repubblica.

[modifica] La sede definitiva per le "figlie"

Con il passare del tempo Virginia vuole dare alle sue figlie una sistemazione definitiva e una sede propria. La prima idea che si affaccia alla sua mente è quella di comprare Monte Calvario: il costo (₤100.000) è troppo elevato per le sue possibilità, ma Virginia spera nell'aiuto dei parenti, degli amici e degli abituali benefattori.

Purtroppo una lunga malattia le impedisce portare a termine la raccolta delle offerte, e quando si rimette non tutti le danno quanto promesso. Decide quindi di comprare una casa più modesta situata nel quartiere di Carignano.

I parenti, preoccupati per il declinare della sua salute, insistono affinché ella assicuri il futuro della sua opera e chieda al Senato della Repubblica protettori pubblici. Virginia riflette a lungo sulla faccenda e acconsente: manda una petizione al Senato con i nomi delle persone che desidera proporre per la sua fondazione, indicando quelle persone che in passato erano state generose di consigli e di aiuti. Il Senato accetta le proposte e nomina (il 3 luglio 1641) i protettori che Virginia ha indicato; essi finiscono di comprare la casa di Carignano prendono sotto la loro tutela la amministrazione del Rifugio, impongono dei limiti alla carità di Virginia, che aveva cominciato a costruire nuovi locali e che soffre queste limitazioni, ma che accetta in silenzio.

La data del riconoscimento ufficiale fu il 13 dicembre 1635.

Virginia con le giovani della casa del Bisagno e le migliori di Monte Calvario si trasferisce a Carignano.

[modifica] La nascita delle istituzioni religiose

Già nel 1633, scrivendo a un'amica, Virginia la informava che si erano trasferite alla casa del Bisogno "solo quelle giovani che pensavano di servire Nostro Signore per tutta la vita". Era tale pure la comunità di Carignano, fino a quando nel 1641 il cappuccino Mattia Bovoni assunse la direzione spirituale dell'opera.

Bovoni si rese conto della bontà della fondazione di Virginia, ma non vedeva chiaro il suo futuro: così come era strutturata, cosa sarebbe successo alla morte di Virginia? Bisognava pensare alla continuità. Parlò con Virginia e le suggerì di scegliere le migliori delle sue "figlie" per formare una comunità che avrebbe potuto continuare la sua opera. Le giovani avrebbero potuto vincolarsi in maniera moderata, alla maniera delle terziarie francescane, e come "vergini secolari" arrivare ad essere "anime consacrate a Dio".

In realtà Virginia non aveva mai pensato di dar vita a una istituzione religiosa: la finalità del Rifugio era stata unicamente quella di accogliere giovani bisognose o in pericolo. Consigliata quindi dallo stesso Bovoni, Virginia parlò della cosa alle "figlie", che risposero entusiaste e numerose. Virginia fece insieme a Bovoni una scelta rigorosa e prudente. Le scelse, dopo un periodo di studio e di seria preparazione, il 2 febbraio 1642. Le "figlie" vestirono l'abito di terziarie francescane donato dalla stessa "madre" come regalo di nozze. Nel 1643 Mattia Bovoni morì. Come terziarie francescane non faranno voti, però si obbligheranno all'obbedienza ai legittimi superiori, cioè alla "madre" e ai "protettori".

La Regola delle "figlie" fu redatta negli anni 1644-1650. In essa si dice che tutte le case costituiscono l'unica Opera di Nostra Signora del Rifugio, sotto la direzione ed amministrazione dei "protettori". Vi è riconfermata la divisione tra le "figlie" con l'abito (suore e novizie) e "figlie" senza; tutte, però, debbono vivere - pur senza voti - come le monache più osservanti, in obbedienza e povertà, lavorando e pregando; debbono inoltre essere pronte ad andare a prestare servizio nei pubblici ospedali, come se vi fossero tenute da voto.

E di fatto nel 1645 la Virginia, a richiesta del senato, aveva mandato le prime ventitré "figlie" all'ospedale di Pammatone, dove in un primo momento si occuparono dell'assistenza ai malati più gravi, e in seguito assunsero gli altri incarichi, dalla cucina alla farmacia.

Nel 1650, poi, l'Ufficio dei Poveri chiese ancora a Virginia di mandare le sue religiose a dirigere il laboratorio interno del Lazzaretto.

Col tempo l'Opera si svilupperà in due congregazioni religiose: le Suore di Nostra Signora del Rifugio di Monte Calvario, con sede a Genova, e le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario, con sede a Roma.

[modifica] Gli ultimi anni

Nonostante gli anni, in Virginia non si era spenta la vocazione per la carità, ma le malattie la obbligavano sempre con maggior frequenza a rinunciare alle sue attività.

Furono gli anni della discordia tra il fratello Francesco e il cognato; i litigi e le querele si portavano via gran parte del patrimonio dei generi, era il fallimento finanziario del marito della figlia Isabella che, facendosi garante dei suoi fratelli, era rimasto implicato nel loro fallimento con un debito di più di 4 milioni di lire. Virginia soffrì anche l'arroganza e l'autoritarismo di Maria Pizzorno.

Nel 1647 ottenne la riconciliazione tra la Curia arcivescovile ed il Governo della Repubblica, tra loro in lotta per pure questioni di prestigio.

Nel 1649, dopo una grave malattia, chiese e ottenne che ai tre protettori si aggiungesse un quarto, il giovane marchese Emmanuele Brignole, che avrà un'importanza decisiva nel futuro delle donne, aiutandole ad ampliare il loro orizzonte caritativo e assistenziale. Di fatto sarà in riferimento a lui che in futuro le "figlie" di Virginia saranno chiamate dal popolo "suore brignoline".

Virginia vorrebbe trascorrere l'ultimo periodo della sua vita terrena in un convento di clausura; ma sia il cardinale Durazzo che il confessore cercano di dissuaderla. Già vicina alla morte, al vedere attorno a lei le "figlie" e gli altri parenti in lacrime, esclama: "Perché piangete? Se mi amaste vi rallegreresta perché vado al Padre".

All'alba del 15 dicembre 1651 Virginia sa che le restano poche ore di vita. A chi le suggerisce le parole del Salmo "Andremo alla casa del Signore" (121,1) risponde: "Sì"; e con un filo di voce aggiunge: "Il mio cuore è pronto, o Dio... Signore, ecco la mia anima". Furono le sue ultime parole[citazione necessaria]. Virginia aveva 64 anni.

[modifica] Dopo la morte

Il corpo quasi incorrotto di Virginia, conservato nella casa madre di Genova
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Il corpo quasi incorrotto di Virginia, conservato nella casa madre di Genova

Al funerale a Genova vi fu una grande partecipazione di fedeli. Il corpo fu deposto provvisoriamente nella chiesa del convento di santa Chiara, dove rimase "provvisoriamente" 150 anni.

Nel 1661, dieci anni dopo la sua morte, viene scritta il primo racconto della vita di Virginia, nella quale è definita "meragliosa serva di Dio". Di lei scrive Emmanuele Brignole: Template:Virginia visse il suo servizio a Dio perfettamente, non pensò mai alla propria soddisfazione, dedicata interamente a Dio e al suo prossimo.

Nel 1801 fu riesumato intatto e ancora flessibile, e fu consegnato all'affetto e alla venerazione delle "figlie".

Fu effettuata una successiva riesumazione all'interno del processo di beatificazione, pochi anni prima, in presenza dell'arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri.

[modifica] La beatificazione e la canonizzazione

Virginia fu beatificata da papa Giovanni Paolo II il 22 settembre 1985 a Genova, in Piazza della Vittoria, durante la visita pastorale alla città e alla arcidiocesi.

Fu canonizzata dallo stesso papa il 18 maggio 2003 a Roma, in Piazza San Pietro.

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

[modifica] Bibliografia

  • S. A. Squarciafico, Embrione della vita di Virginia, figlia di Giorgio Centurione (già) duce e moglie di Gasparo Grimaldo dei signori Bracelli, Archivio Rifugio, Ms. B nr.22
  • padre Antero di San Bonaventura, Vita della Serva di Dio Virginia Centurione Bracelli, Torino, 1864
  • A. M. Centurione, Vita di Virginia Centurione Bracelli, Tipografia Arcivescovile, Genova, 1873
  • L. Traverso, Vita di Virginia Centurione Bracelli, Ancora, Genova, 1939
  • Sacra Congregatio pro Causis Sanctorum, Positio super introductione causae et super virtutibus ex officio exarata servae Dei Virginiae Centurione Bracelli, Roma, 1971
  • Franco Stano, Virginia Centurione Bracelli, a lei Genova rispose, Edisigma, Genova, 1985
  • Gianluigi e R. Magaglio, Virginia Centurione Bracelli, antesignana realizzatrice dei moderni metodi di intervento socio-assistenziale, Edisigma, Genova, 1985
  • Maria Romanelli, Virginia Centurione Bracelli. Protagonista scomoda di una storia del seicento genovese, Marietti, Genova, 1992, ISBN 88-211-9967-3

[modifica] Voci correlate

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