Chronicles - Volume 1
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Chronicles - Volume 1 | |
Titolo originale: | Chronicles - Volume 1 |
Autore: | Bob Dylan |
Anno (1a pubblicazione) : | 2004 |
Genere: | Biografico |
Sottogenere: | Autobiografia |
EDIZIONE RECENSITA | |
Anno: | 2005 |
Editore: | Feltrinelli |
Traduzione: | Alessandro Carrera |
Collana: | Varia / Feltrinelli |
Pagine: | 261 |
ISBN: | ISBN 88-07-49036-6 |
Progetto Letteratura |
«Non ho mai scritto una canzone politica. Le canzoni non possono cambiare il mondo, ormai ho smesso di pensarlo.»
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«Il mondo della musica folk era stato come un paradiso che dovevo lasciare, così come Adamo aveva dovuto lasciare il giardino. Era troppo perfetto. Di lì a pochi anni una vera e propria bufera di merda si sarebbe scatenata. Tutto avrebbe cominciato a bruciare, reggiseni, cartoline precetto, bandiere americane, e anche i ponti alle spalle.»
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Con queste fiammeggianti parole - scolpite nella memoria di una vita pubblica più che quarantennale - termina, dopo duecentossessanta pagine di prosa visionaria, poetica ma al tempo stesso spietatamente lucida, la prima parte della trilogia autobiografica di Bob Dylan, una delle più rappresentative star della cultura e della musica pop del XX secolo.
Chronicles - Volume 1 - questo il titolo del libro - è stato pubblicato in Italia per i tipi di Feltrinelli ad inizio 2005 (da Simon and Schuster, sul mercato USA, ad ottobre 2004). Nella traduzione di Alessandro Carrera (presumibilmente aderente in maniera sensibile al testo originale, nel suo dipanarsi tra frasi colloquiali e vocaboli in slang), il lavoro autobiografico di Dylan si snoda in cinque capitoli tematici senza una precisa organizzazione temporale. Attraverso essi il menestrello di Duluth, che con Blowin' in the wind scosse negli anni sessanta le coscienze di ognuno, racconta come si avvicinò alla musica e come potesse leggere fin da adolescente nel proprio fato. Qualunque si sarebbe rivelata la sua strada - prevedibilmente lunga e iniziata dal niente - di una cosa fu sin da subito consapevole: "Il destino stava per manifestarsi" e pareva stesse "guardando dritto in faccia a me", come scrive con verosimile candore.
Indice |
[modifica] New York
La narrazione, sincopata come un talkin' blues neppure accompagnato dal suono di una semplice chitarra, con un massiccio ricorso ad espressioni gergali restituite nella traduzione in lingua italiana con estrema efficacia e credibilità, procede nervosa a scatti e per scarti temporali, con una sorta di ripetuti flashback all'incontrario e vigorose e, di conseguenza, improvvise proiezioni al futuro prossimo venturo.
Cosicché avviene che molti particolari su determinati anni vissuti dal poeta-musicista vengano sottaciuti (specie nell'arco temporale tra il 1964 e il 1968 che coincide con il suo passaggio dalla musica folk a quella rock, iniziato al Festival di Newport del 1965), lacuna sicuramente fonte di delusione per molti dei suoi ammiratori ansiosi di sapere qualcosa di più sui retroscena che contraddistinsero quel periodo direttamente dalla viva voce di un autore che peraltro - e questo non va dimenticato - ha sempre preferito parlare attraverso le proprie canzoni/poesie piuttosto che con interviste dal sapore autopromozionale.
Sotto questo aspetto l'autobiografia di Bob Dylan - o almeno la prima parte della trilogia in cui è organizzata - è maggiormente dettagliata perciò riguardo gli inizi di carriera, dapprima nella vicina Minneapolis, beatnik avanti lettera con camera in comodato d'uso fra giovani universitari della buona borghesia, poi l'atmosfera eccitante dell'ambiente del Greenwich Village nel gelido inverno della New York del 1961, con le prime scritture al café Wha? e al Gaslight, le amicizie e i salotti radical-chic (e i suoi amori, fra cui quello con Suze Rotolo, la giovane che lo aprì al fascino dell'arte pittorica e alla poesia visionaria e febbricitante di Arthur Rimbaud, che poi si sarebbe riflessa in molti suoi brani, e quello celeberrimo e celebrato con Joan Baez).
[modifica] Iron Range
È ricco, in questo senso, il libro di citazioni colte e di nomi di personalità famose, con molte delle quali l'artista condivide la terra di origine, la sua città natale, Duluth, e lo stato di appartenenza, il Minnesota, fra cui il transvolatore Charles Lindbergh, lo scrittore Francis Scott Fitzgerald, zio tra l'altro dell'autore di The Star-Spangled Banner, l'inno nazionale statunitense, Sinclair Lewis, premio Nobel per la letteratura ed Eddie Cochran, astro del rock and roll a fine anni cinquanta.
Dall'Iron Range di Hibbing - centro metallurgico nel nord del grande continente americano nel quale si trasferì da piccolo con la famiglia dalla natìa Duluth - attraverso una suggestiva cavalcata nel tempo e nello spazio, lungo la mitica Highway 61, risalendo e ridiscendendo in motocicletta il corso del Mississippi, da solo o in compagnia di amici, musicisti e session man, roadies e gente di corte come ogni artista che si rispetti deve avere, ma anche libero da ogni schema mentale, uomo felicemente sposato e padre di famiglia, e votato a seguire il proprio destino, Dylan restituisce (inusitatamente, per come lo si era conosciuto prima) sensazioni, emozioni e ricordi ricchi di dettagli: il racconto di un poeta che non intende essere portavoce di altri eccetto che di sé stesso, preferendo non perdere mai di vista - al di là di una visione d'insieme sulla società che lo circonda - il suo amore principale, e cioè quello verso la musica.
[modifica] New Orleans
Una parte non indifferente del libro è dedicata - oltre che alle numerose tournée compiute in ogni angolo del mondo con il Neverending Tour succedaneo della Rolling Thunder Revue - al periodo trascorso intorno alla fine degli anni ottanta a New Orleans, città considerata da sempre satanica per eccellenza, e che sarà devastata nell'estate del 2005 dal terribile Uragano Katrina. Qui Dylan si recò per incidere con il cantante canadese Daniel Lanois uno dei suoi più apprezzati album, Oh Mercy. E lo stesso Dylan fornisce della città, dei suoi umori, dei suoi colori, una descrizione - letteraria e poetica al tempo stesso - quanto mai lontana dallo stereotipo comunemente accettato.
Infine, Dylan - raggiunta la piena maturità, e già ben oltre la quiete bucolica del buen retiro di Big Pink, Woodstock - sembra voler restituire in Chronicles - Volume 1 (mentre sono attesi i due sequel che completeranno la trilogia) l'immagine di un uomo e musicista tranquillo pronto a guardare avanti ma ugualmente a voltarsi indietro, senza voler per questo dare la sensazione di essere pronto a tirare alcuna somma (non a caso, restando a questa prima parte, la conclusione è: " ...il mondo tuonante, dagli spigoli taglienti come fulmini" [nel quale si sarebbe trovato] "molti non lo capivano e non l'avrebbero mai capito" ... "non retto da Dio ma neppure dal diavolo", com'era). I tempi di Don't Look Back (Non voltarti) sono ormai lontani.
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