Cessione del contratto
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[modifica] Definizione
La cessione del contratto è un istituto previsto e diciplinato dall'art. 1406 e segg. del Codice civile: «Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta».
La dottrina ha rilevato in primis che la dizione comune "cessione del contratto" è impropria, giacché il contratto come tale (cioè come fatto umano) non è suscettibile di trasferimento, perché non è una res. Ciò che si trasferisce, in realtà, è l'intera posizione soggettiva nascente dal contratto.
[modifica] Cenni storici
Nel Codice civile abrogato del 1865, tale figura non era prevista, e per realizzare la mdesima finalità si ricorreva ad una doppia stipulazione: una cessione del credito associata ad un accollo del debito. Altro sistema usato nella prassi era quello della rinnovazione del contratto: in sede di rinnovo, il nuovo contraente accettava le pattuizioni delle parti originarie.
Non si poteva però parlare di una vera e propria successione nella posizione contrattuale, perché in nessuno dei due casi descriti vi era l'unitarietà dell'operazione.
La cessione del contratto è dunque un istituto "nuovo", introdotto nel Codice del 1942 sulla base delle ricostruzioni dottrinarie dell'epoca.
[modifica] Classificazione dogmatica
La cessione è classificata in dottrina come un «contratto di II° grado», in quanto incide su una struttura contrattuale preesistente, ed ha l'effetto di produrre la "successione" di un sogetto nella complessa posizione contrattuale di un altro soggetto.
[modifica] Oggetto della cessione
Per procedere alla cessione, la prima condizione che si rileva dal dettato normativo è la presenza di un contratto con prestazioni corrispettive: secondo una parte della dottrina, i contratti cedibili sono solo quelli onerosi, ad esclusione di quelli a titolo gratuito.
La seconda condizione riguarda le prestazioni del contratto originario: entrambe (o almeno una di esse) non devono essere ancora state eseguite, perché non avrebbe senso cedere una posizione contrattuale i cui effetti sono completamente esauriti.
Con riferimento a questa seconda condizione, in dottrina si sostiene che non sono cedibili i contratti ad efficacia reale, perché questi esplicano l'effetto traslativo al momento della formazione dell'accordo (in virtù del principio consensualistico) e dunque non vi sarebbe nulla da cedere, essendo la proprietà già trasferita.
Al contrario, si ritiene che possono essere oggetto di cessione i contratti ad effetti reali differiti (vendita di cosa futura, di cosa altrui, ecc.), dove non ci sono rapporti esauriti (si pensi ad esempio ad un patto di riscatto non ancora esercitato).
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