Avella
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Avella | |||
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Stato: | Italia | ||
Regione: | Campania | ||
Provincia: | Avellino | ||
Coordinate: |
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Altitudine: | 126 m s.l.m. | ||
Superficie: | 30 km² | ||
Abitanti: |
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Densità: | 256 ab./km² | ||
Frazioni: | Purgatorio | ||
Comuni contigui: | Baiano, Casamarciano (NA), Cervinara, Pannarano (BN), Roccarainola (NA), Rotondi, San Martino Valle Caudina, Sirignano, Sperone, Tufino (NA), Visciano (NA) | ||
CAP: | 83021 | ||
Pref. tel: | 081 | ||
Codice ISTAT: | 064007 | ||
Codice catasto: | A508 | ||
Nome abitanti: | avellani | ||
Santo patrono: | San Sebastiano | ||
Giorno festivo: | 20 gennaio | ||
Sito istituzionale |
Avella è un comune di 7.851 abitanti della provincia di Avellino.
[modifica] Cenni storici
L'antica Abella, il cui abitato coincideva, almeno in età sannitica e romana, in parte con il più orientale dei due nuclei dell'attuale centro storico, era, anche se superata in importanza e grandezza dalla vicina Nola, fra i centri medio-piccoli della Campania, uno dei non meno ragguardevoli. La sua posizione sulla via che collegava e collegano tuttora la pianura Campana con la valle del Sabato e pertanto con il Sannio Irpino, anche se meno agevole e di minore importanza della Via Appia (che utilizzavano il valico di Arpaia) e la coltivazione pregiata della « nux Abellana » (nocciola) nel suo territorio non particolarmente esteso costituivano pur sempre una risorsa economica, alla quale dovevano certo aggiungere lo sfruttamento dei boschi e l'allevamento nelle zone più alte. L'unico avvenimento storico di un certo rilievo di cui sappiamo dalle fonti scritte è la fedeltà a Roma durante la guerra sociale (91-89 a.C.) che fu punita nell'87 a.C. con la distruzione da parte dei sanniti che ancora occupavano Nola. Mentre le testimonianze di epoca preistorica - nella fattispecie si tratta di vasi e frammenti del periodo di transizione fra l'età del rame (encolitico) e l'età del bronzo, intorno al 2000 a.C. - poco contribuiscono, data la loro scarsità e il costume casuale della loro scoperta, alla ricostruzione di tale periodo storico, si può avere un quadro più organico, anche se tuttora assai lacunoso, dal periodo intorno al 700 a.C. Siamo all'epoca iniziale della colonizzazione greca lungo le coste della Campania, che ha portato già a vivaci scambi con gli etruschi insediatisi già prima a Capua e forse a Nola, e con le popolazioni italiche - nella fattispecie gli Oschi - in parte in via di etruschizzazione, ma in gran parte anche gelose delle loro tradizioni culturali. Di tutta la prima metà del VII secolo a.C. conosciamo solo oggetti sporadici, che provengono da un settore della necropoli in cui non è stata ancora possibile un'indagine scientifica, ma di cui alcuni non importanti come testimonianza di rapporti esterni. Una oinocoe con decorazione geometrica databile verso il 700 a.C. imita modelli corinzi ed è stata importata evidentemente da Cuma, ed un askos della stessa epoca, in uno stile geometrico di carattere assai diverso proviene dalla Daunia come altri vasi analoghi da Caudium (Montesarchio), Suessula (Cancello) e Pitecusa (Ischia). Relativamente ben conosciuto è invece il periodo orientalizzante recente (650-545 a.C. circa), del quale è stato scavato un notevole numero di tombe sia nella necropoli NE. (località S. Paolino e zone attigue) sia ad Ow. della città antica (località S. Nazzaro), mentre non conosciamo ancora nulla delle aree abitate, anche se ritrovamento fortuiti in località Campopiano potrebbero far pensare a nuclei scarsi. Le tombe finora note sono ad inumazione a fossa semplice e contenevano spesso ricchi corredi con ceramica locale e vasi importati. Contrariamente a quanto avviene nella vicina Nola, dove le ceramiche di gran lunga prevalenti sono in tale periodo il bucchero e le imitazioni di vasi corinzi, con le stesse forme che si sono trovate anche a Capua il che sembra confermare il carattere etrusco della città, ad Avella prevalgono i vasi d'impasto a superficie nerastre. Mentre le olle a bombarda, -di solito con quattro prese spesso unite da un cordoncino, sono come in gran parte dell'Italia centro-meridionale la forma più frequente della ceramica comune; fra i vasi da tavola sono particolarmente caratteristiche le coppe a due anse, le coppe su alto piede a trafori circolari, le tazze con ansa cornuta, gli askoi, le anfore con collo a clessidra ed abbastanza frequenti le brocche, in parte con bocca trilobata. Il motivo decorativo più tipico, che ricorre soprattutto sulle coppe e sulle anfore, è una lambda a rilievo, mentre in altre forme la decorazione è incisa o impressa con la rotella dentata; tra gli oggetti di ornamento personale in bronzo o in ferro le fibule sono dei tipi più diffusi in Campania e mentre nelle tombe maschili prevale quella ad arco insellato con ghiande sui lati, in quelle femminili è comune l'arco semplice, talvolta a navicella, con staffa allungata. Fra gli oggetti importati troviamo innanzitutto vasi di bucchero, di forme diffuse a Capua e Nola, dei vasi, soprattutto coppe in impasto a superficie bruna-rossastra molto curata con decorazione impressa a rotella, anch'essi comuni nei centri etruschi della Campania, dei balsamari (ariballwi e bombiliwi) che imitano tipi corinzi nella forma e nella decorazione, ed un ariallos globulare corinzio del primo quarto del VI sec. Come si vede, quindi Abella rientra fra quei centri, ad economia sostanzialmente agricola in cui sopravvive la cultura locale, la quale, per le forme più tipiche della ceramica d'impasto è strettamente affine a quella che troviamo contemporaneamente subito a Nord a Caudium (Montesarchio), il che potrebbe far pensare a rapporti molto stretti e anche di parentela etnica fra le popolazioni dell'alta valle del Clanis, in cui si trovava Abella, e della valle Caudina. Molto meno informati siamo invece per il periodo successivo fino agli inizi del V secolo, per il quale solo alcuni oggetti d'importazione greca, tra i quali delle tazze toniche prodotte a Velia dopo il 540 a.C., o etrusca dimostrano che la vita è continuata. Un corredo purtroppo isolato della prima metà del V secolo comprende esclusivamente vasi d'argilla figulina, in parte con decorazione a figure nere, che non si distingue in niente da quanto è attestato contemporaneamente a Nola, a Capua ed in altri centri ormai etruschizzati della Campania. Viceversa conosciamo alquanto di più del periodo successivo in cui Abella era, come il resto della regione, sotto l'egemonia sannitica ed in cui, al più tardi, assunse carattere di Città, come dimostrano i resti di abitazioni trovati a Nord dell'anfiteatro. L'area urbana, di circa 25 ettari di estensione (la metà circa di Pompei), occupava una zona leggermente sopraelevata a Sud della fuoriuscita del fiume dalle montagne e abbastanza riportata dalle alluvioni, che hanno esercitato anche nell'antichità effetti devastanti tutt'intorno, e l'impianto urbanistico ortogonale che ci è in parte pervenuto sembra essere stato a Imeno regolarizzato dopo la distruzione dell'87 a.C. Delle mura conosciamo abbastanza bene il tracciato ad andamento regolare di tutta la metà orientale e la sola parte ben conservata, incorporata nell'anfiteatro, è in opera cementizia con parametro in « opus incertum » con blocchetti irregolari di varie dimensioni, per cui può essere datata dopo la seconda guerra punica, che interessò più direttamente la vicina Nola, e quindi al II secolo a.C.. Di un santuario che si trovava fuori della città ad occidente, nella zona di S. Candida, è testimonianza un deposito votivo con statuette di terracotta e ceramica a vernice nera, solo in parte esplorato. Come le fondazioni delle case, anche le tombe del periodo sannitico finora messe in luce sono per lo più in grandi blocchi di tufo uniti senza malta e generalmente del tipo a cassa. Quelle del IV secolo inoltrato a.C.. hanno dato in parte ricchi corredi con vasi a vernice nera ed altri a figure rosse. Di questi si sono voluti attribuire alcuni, del gruppo del « pittore delle Danaidi » ad officine avellane, ma non è per il momento possibile confermare tale ipotesi, sia perché provengono da scavi eseguiti nel secolo scorso senza controllo scientifico, sia perché ad Avella e a Nola quel che conosciamo è ancora troppo poco per attribuire all'uno o all'altro centro tale produzione. Significative sono però le importazioni da Cuma, da Capua e, caso raro nella Campania vera e propria, da Paestum, mentre i vasi di officine attiche sono pervenuti così come anche in altre città della Campania e del Sannio, evidentemente tramite Neapolis. Di un certo interesse sono anche delle coppe biansate di bronzo di un tipo non ancora noto in altri centri Campani. Altri oggetti di bronzo, quali le fibule ed i cinturoni con ganci ornati da palmette fanno parte del costume femminile e maschile Sannitico. Nella necropoli di S. Nazzaro è stato trovato un gruppo di tombe a camera di famiglie delle classi agiate a più deposizioni, i cui corredi si differenziano da quelli delle sepolture precedenti per la prevalenza di balsamari fusiformi per lo più in terracotta, ma in qualche caso anche di alabastro e di provenienza egiziana, e per la presenza di strigili, che sono testimonianza della sostituzione dell'ideologia del banchetto prevalente prima nel rito funebre con gli ideali efebici in un periodo in cui di passo con l'affermazione dell'egemonia di Roma in Campania e le oligarchie locali coinvolte anche nelle attività commerciali derivanti dall'espansione romana in oriente tengono ad aggiornarsi nell'adorazione delle concezioni e mode di provenienza greca. Ad una comunque assai discutibile introduzione di terminologie romane anche nelle istituzioni, che in una « civitas federata » come Abella rimasero fino al termine della guerra sociale quelle osco-sannitiche, si è potuto pensare a proposito del « senatus » menzionato nel famoso Cippus Abellanus, un trattato fra Avella e Nola relativo ad un santuario di Ercole di proprietà comune, che è uno dei più importanti documenti in lingua osca a noi pervenuti. Non molto dopo la distruzione viene dedotta ad Abella, così come a Nola ed a Pompei, una colonia da parte di Silla. Ne è testimonianza la spartizione dei terreni da attribuire ai coloni (centuriazione) nella parte in pianura del territorio che non è altro che la coltivazione di quella dei territorio nolano e di cui si sono conservate alcune delle vie principali e tracce di altro. Sono infatti riconoscibili ed in parte ricostruibili tre « decumani » in direzione E.O. e otto « Cardines » in direzione N.S. che delimitavano quei quadrati di m. 715 per lato (centuriae) costituiti da cento particelle da due iugeri, anche se le quote singole erano in quest'epoca alquanto superiori a tale misura, mentre le vie principali della città ed anche quelle di collegamento con altri centri conservavano un orientamento diverso. Nella città sorsero fin dall'età tardo-repubblicana edifici pubblici e furono ricostruiti quelli privati, anche se in qualche area periferica quale quella attigua all'anfiteatro subentrarono degli orti al posto di abitazioni, il che è da mettere in rapporto con l'accentrazione sempre maggiore della popolazione, specie in un centro senza grandi attività economiche oltre l'agricoltura e l'allevamento, nelle ville rustiche del territorio che erano i centri di latifondi gestiti con schiavi. Tra questi edifici il meglio noto è l'anfiteatro eretto a giudicare dalle strutture in « opus reticulatum » di tufo non molto dopo la deduzione della colonia, come quella di Pompei, di cui ricalca all'incirca le dimensioni. Esso fu appoggiato all'angolo SE. delle mura ed in parte al pendio naturale, e solo la parte S. poggia su grosse costruzioni a volta, mentre l'arena si trova sotto il livello circostante; sono ben conservati i due vomitorii principali nell'asse maggiore dell'ellisse (itinera magna) con degli ambienti laterali, e il podio che divideva la curva dall'arena, e dei sedili in tufo dell'ima cavea interrotti in corrispondenza dell'asse minore da podii (tribunali); è rimasto abbastanza per permettere la ricostruzione. Un'immagine schematica, ma viva dell'edificio ci è pervenuta sul fianco di una base onoraria di età imperiale. Nel tardo impero fu iniziata la costruzione di stalle per bestie nel podio, poi rimasta interrotta dagli eventi che precipitarono con la dissoluzione dell'impero romano dì Occidente. Nella zona del « Santissimo » sono conservate imponenti costruzioni a volta di un edificio probabilmente pubblico che era forse in rapporto con la piazza del foro che vari indirizzi fanno supporre nelle vicinanze della chiesa di S. Pietro. Nel territorio la cui produzione più importante era quella delle nocciole sono in parte in rapporto con ville rustiche in collina ed in parte lungo le strade che uscivano dalla città e con quelle della « centuriazione », vari monumenti funerari di età tardo-repubblicana e del 1° secolo dell'impero, evidentemente di famiglie dell'« Ordo » (notabilatu) e di altre che possedevano terreno. La loro tipologia trova riscontro in quella che troviamo contemporaneamente nelle necropoli di altre città campane, quali Pozzuoli, Cuma, Capua, Pompei e prevale lo schema di un corpo quadrato con o senza camera sepolcrale e sormontato da un’edicola, o da, un piano superiore circolare o poligonale terminato da una cuspide, mentre il tipo circolare con camera circolare è una eccezione relativamente antica. Nel monumento con edicola nel recinto del campo sportivo è stata trovata anche la testa - ritratto del defunto, in calcare locale, dell'inizio di età imperiale. Nel tardo impero, Abella sembra essersi gradualmente dissolta come città in seguito alle invasioni, quali quella di Alarico, il quale distrusse Nola. Abbiamo testimonianze di un edificio di culto cristiano di carattere cimiteriale in località S. Paolino, forse costruito o restaurato quando costui era vescovo di Nola ed anche la chiesa di S. Pietro attorno alla quale si creò uno dei nuclei dell'abitato medioevale, risale forse come origine ad epoca tardo-antica.
[modifica] Aspetti naturalistici
La catena del Partenio o Monti di Avella è costituita da sedimenti carbonatici della successione mesozoica, ricoperti da sporadiche placche di sedimenti terziari e da una estesa, anche se generalmente poco potente copertura di materiali piroclastici, i quali hanno favorito la formazione del terreno vegetale.La successione mesozoica è costituita da termini carbonatici di età giurassica e cretacica; questi terreni appartengono alla unità stratigrafico-strutturale della piattaforma carbonatica interna (Piattaforma campano-lucana). Poiché, come già detto, la quasi totalità dei terreni che costituiscono questi rilievi sono carbonatici, e, per la maggior parte, calcari puri, sarebbe da aspettarsi un carsismo molto spinto, sia con profonde voragini verticali, sia con grandiose cavità a sviluppo orizzontale. In effetti, laddove i calcari affiorano, il carsismo superficiale è ben evidente e sono note alcune cavità di dimensioni piccole e medie, ma sono però sconosciuti, al- meno finora, sistemi ipogei di grosse dimensioni. La ragione della poca diffusione del carsismo sotterraneo in questa zona è da attribuirsi sia a fattori morfologici-strutturali, sia alla presenza di una estesa copertura. L'insieme del Partenio, infatti, può considerarsi costituito da almeno tre dorsali, di diverse dimensioni, allungate tutte da est a ovest, e separate da profondi valloni, con corsi d'acqua effimeri, che scorrono da oriente a occidente, perdendo rapidamente quota. Questa particolare morfologia facilita il rapido deflusso delle acque meteoriche lungo i ripidi valloncelli. laterali e rende più difficile l'assorbimento localizzato di grandi masse d'acqua; anche la estesa copertura di materiali piroclastici favorisce lo scorrimento superficiale delle acque e un assorbimento diffuso, e quindi rallenta il processo carsogenetico profondo. Con queste considerazioni, naturalmente, non si vuole escludere la possibilità che nella zona esistano grossi sistemi ipogei, ma si vuole cercare di spiegare il motivo della loro minore frequenza e quindi là minore probabilità che essi vengano prima o poi scoperti.
Fenomeni carsici superficiali sono particolarmente diffusi nel quadrilatero Baiano-Lauro-Monteforte-Quadrelle e nella zona collinare di Roccarainola, con formazioni caratteristiche quali doline, campi solcati, lapies, ecc. Tra le maggiori formazioni di profondità vanno senz'altro annoverate, nella zona di Avella, le tre grotte delle Camerelle di Pianura, degli Sportiglioni e di S. Michele.
La Grotta delle Camerelle di Pianura è fra le tre la più importante dal punto di vista speleologico., Si apre alla quota di 900 metri sul fianco orientale del Vallone di S. Egidio, in prossimità della Fontana di Pianura, sviluppandosi per quasi 150 metri nelle direzioni associate S-N e 0-E. Superato il salto iniziale di quasi 5 metri, si accede a una serie di grossi ambienti, in cui, fin dall'inizio, sono ben visibili imponenti formazioni colonnari, particolarmente accentuate nella seconda sala. Dalla parete meridionale del tratto 0-E si accede a un ramo inferiore, anch'esso abbastanza ampio e riccamente concrezionato. La morfologia depone a favore di una origine dovuta a una serie di crolli in cavità già allargate dall'azione chimica delle acque. Nel tratto intermedio sono chiaramente individuabili due livelli diversi, residui di due cavità sovrapposte, riuniti per azione di crollo della volta della cavità inferiore.
Analoga origine ha la non lontana Grotta degli Sportiglioni, sviluppata per oltre 120 metri nel M. Spadafora. Si articola in una direzione 0-E, associata a un'altra N-S, con due ampie sale comunicanti con un grosso corridoio, ambedue riccamente concrezionate. Al suolo sono ben evidenti grossi blocchi di roccia, dovuti al crollo degli strati formanti la volta, mentre l'originaria morfologia appare obliterata dall'azione incrostante delle acque di percolazione, con forme addolcite e invecchiate. Biospeleologicamente è la più interessante delle tre, e, nel contesto regionale, si presenta allo stato attuale delle conoscenze tra le prime 10 cavità di maggior importanza.
La Grotta di S. Michele , infine, nascosta dalla ricca vegetazione della parte mediana del Vallone delle Fontanelle, domina il corso del Clanio e la Città di Avella, risultando conosciuta fin dall'antichità; resti pittorici ne testimoniano l'uso secolare a culto a partire almeno dal XIII secolo, con spiccate caratteristiche di cultura a base popolare. Altre formazioni speleologiche sono presenti nella zona di Roccarainola, ove si apre l'imponente bocca della Grotta omonima, sovrastante maestosa la parte più antica dell'abitato.
Del versante meridionale di Monte Fellino occorre ricordare il Riparo di Fellino, stazione preistorica del paleolitico superiore, purtroppo distrutta irrimediabilmente da una cava, e la Grotta Nuova di Fellino, ancora intatta nella sua candida bellezza allorché le è toccata identica sorte. C'è solo da augurarsi che se altre cavità dovessero celarsi sotto l'antica crosta del Partenio, se ne scopra l'esistenza solo quando le nostre popolazioni avranno imparato a conservare ogni dono bello e irripetibile della natura.
Passando agli aspetti floristici e cominciando dalle quote più basse del Partenio, la coltura che vi predomina è quella dei nocciolo (Corylus avellana), che in alcune zone forma ancora popolamenti spontanei di non indifferente entità.Nei noccioleti, qua e là, si osservano anche piante di ciliegio, noce, pesco e pero, mentre, lungo le strade, sono frequenti il pioppo nero, il platano, il biancospino, il sambuco nero ecc.
Immediatamente a monte dei coltivi, con i quali spesso si compenetrano, subentrano, prima l'olivo, e poi, fino ai 1000 metri circa, estesi boschi di castagno. Nel fitto sottobosco predominano le graminacee, cui si affiancano poche ranuncolacee e orchidacee. Tra le piante di taglia più elevata, sempre piuttosto sporadiche, Pteridium aquilinum e Daphne laureola preferiscono le stazioni più ombrose, nelle quali sono spesso presenti anche l'edera e Clematis vitalba, insieme a Vinca maior. Nelle zone più illuminate sono frequenti Helleborus foetidus, Rubus ulmifolius, Crataegus monogyna e Cytiscus scoparius. Nelle zone più aride, a substrato più profondo, primeggiano nello strato arboreo l'ornello (Fraxinus ornus), il carpine nero (Ostrya carpinifolia), il carpine bianco (Carpinus orientalis), con numerosi aceri (Acer obtusatum, A. monspessulanum, A. lobelii) e il Salix caprea. In stazioni edaficamente povere e in forme degradate è individuabile qua e là il bosco a roverella (Quercus pubescens). Individui arbustivi del leccio (Quercus ilex) si abbarbicano tra fessure rocciose su speroni inospitali e non mancano, sui versanti più assolati folte zone a lecceto. Una volta raggiunta la quota di circa 1000 metri si entra nel dominio del faggio, i cui boschi non sono mai molti ricchi di entità nei diversi livelli di vegetazione. Lo strato arboreo è quasi sempre di faggio puro, salvo nelle stazioni meno elevate e più umide, ove è mescolato all'ontano napoletano (Alnus cordata). Nel sottobosco l'agrifoglio, Daphne laureola, Rubus hirtus, Sorbus aucuparia. Anche la regione al di sopra dei faggi è ricca di vegetazione, quasi sempre bassa ed erbacea. Nelle zone di vetta a rocce affioranti, battute spesso dai venti si riscontrano Brunnus erectus, Thymus striatus, Phleum ambiguuin, Festuca ovina, Saxifraga porophvlla, S. aizoon, Sedum acre, S. album, S. rupestre, Allium flavum, ecc. Notevole la presenza di Sesleria apennina e Hedraeanthus graminifolium, specie illiriche di evidente valenza transadriatica. Infine, la vegetazione dei pascoli montani, da Campo Maggiore a Campo di Summonte per citare i più ampi, ove i fitti prati si ricoprono d'estate di bianchi asfodeli (Asphodelus albus, A. lutea) e cerasti (Cerastium tomentosum), e radi e rigogliosi verbaschi (Verbascum thapsus).
Per gli aspetti faunistici possiamo cominciare dagli insetti. Le specie che, l'insigne naturalista dell'800, Costa enumera del Partenio sono molto numerose, con spiccata abbondanza e importanza per i coleotteri .e gli imenotteri, per i quali ultimi scrive testualmente: « Non vi à forse regione del regno la quale sotto questo rapporto star possa a confronto de' Partenii ». Nel campo degli artropodi in genere è necessario sottolineare la ricca e specializzata fauna della Grotta degli Sportiglioni, ove finora, sono state riscontrati i seguenti quattro endemiti: Rhizoglyphus sportilionensis. (acaro), Haplophthalmus mengei legrecai (ísopodo), Disparrhopalites patrizii (collembolo) e Bathisciola partenii (coleottero). Si tratta di animali di piccole o piccolissime dimensioni, spesso saprofagi, legati tra di loro in un complesso sistema ecologico alimentato dal materiale organico fluitato o diversamente introdotto dall'esterno, come l'abbondante deposito di guano rinnovato dai sempre meno numerosi pipistrelli che ivi si annidano, di giorno nei periodi di caldo, e per interi mesi durante il letargo invernale. Tornando all'entomofauna il Partenio ospita specie tipicamente appenniniche, quali la locusta Tettigonia cantans e l'acridide Stenobotrus appenninus tra gli ortotteri, oppure, tra gli scarabeidi, Mimela junii e Homaloplia nocolosi.
La ricchezza della fauna entomologica forestale, correlata ad un indice di alterazione di questo ambiente evidentemente ancora basso, appare chiaramente nella composizione avifaunistica, ove si riscontra un'alta densità di insettivori, specialmente di picchi. Un primo, sommario elenco degli uccelli più comuni del complesso del Partenio, e segnatamente delle sue quote più alte, comprende il corvo imperiale, lo sparviero il picchio rosso maggiore, il codirosso spazzacamino, il calandro, il picchio muratore, il rampichino, la cincia mora, la cinciarella, la cinciallegra, la capinera, la tordela, ecc.
Numerosi e interessanti gli anfibi e i rettili presenti nel Partenio: la salamandra pezzata, abbastanza rara ma presente in varie zone in prossimità di piccole raccolte di acqua, la rana greca, legata ai corsi d'acqua di media e alta quota, il rospo comune, ormai raro, il rospo smeraldino, molto comune, la luscengola, presente al di sopra dei 4-500 metri, in radure erbose, l'emidattilo verrucoso, quasi domestico, il gecò, forse presente verso Cicciano, nell'abitato, il ramarro e la lucertola campestre, comune e comunissima, la lucertola delle muraglie, estremamente localizzata in media e alta quota, vicino a sorgenti di acqua; tra i serpenti, la biscia dal collare, il colubro di Esculapio, il cervone, il colubro liscio, il biacco, l'aspide, tutti abbastanza comuni, meno il cervone.
E, infine, uno sguardo ai mammiferi selvatici del Partenio: riccio, una o due specie di toporagni (Cracidura sp. e forse Neomys fodiens lungo l'alto Clanio), la talpa, alcune specie di pipistrelli (finora accertate otto, il ghiro, il quercino, il moscardino, il topo campagnolo, il topo selvatico, il topolino domestico, il ratto dei tetti, quasi certamente il ratto della chiaviche più verso la pianura ad occidente, l'arvicola lungo i corsi d'acqua di pianura, la volpe, il tasso, la donnola, la puzzola, la faina, la martora. Le specie in via di estinzione sono quattro: il tasso, la puzzola, la faina e la martora. È ricordo ancora vivo l'esistenza in un passato non lontano del lupo, del gatto selvatico (ancora presente?), del cinghiale e della lepre.
L'elencazione di tante forme geologiche ed animali resterebbe comunque di ben limitato interesse se le stesse non venissero considerate nei molteplici e vari tipi di paesaggi e ambienti naturali in ciascuno dei quali con varie combinazioni le stesse si presentano riunite in armonico equilibrio: lussureggianti prati delle valli in quota, scintillanti di fiori, in primavera, e illeggiadriti da voli di farfalle; folti boschi di castagno, di faggio, più spesso misti, ove il sottobosco è un mondo a sé, con i raggi del sole che filtrano attraverso i rami più alti, pieni e profumati, in autunno, di migliaia di ciclamini; mondo silente e senza luce delle caverne, ove puoi sentire lo stridio minuto dei pipistrelli, e lo stillicidio dell'acqua forma con pazienza di secoli meravigliose forme di trasparenza calcare; allegro e sommesso chiacchierio dei ruscelli, ove corre ad abbeverarsi il ramarro smeraldino; sorgenti e pozze d'acqua, vive del verde di acquatiche piante e di guizzanti girini o di lente larve di salamandra; valli carsiche, profondamente solcate, con formazioni isolate, spesso maestose e monumentali, di nuda roccia; pietraie al solo, ove l'agile lucertola è sovrana e non raro puoi scorgere il serpente in agguato; ombrellifere dagli ampi e candidi fiori ove sostano miriadi di insetti, cetonie dalle elitre iridescenti, eleganti longicorni dalle livree d'ebano, delicati e bellissimi macaoni; e il volo ora lento e alto nei cieli ora rapido e così vicino degli uccelli, i cui canti dovrebbero da soli costituire il suono di fondo di ogni bosco. E tanti e tanti altri ancora aspetti diversi e tutti incantevoli del Partenio, e non solo del Partenio, che a tutti noi spetta conservare.
[modifica] Evoluzione demografica
Abitanti censiti