Scisma tricapitolino
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Con scisma tri-capitolino (o Scisma dei Tre Capitoli) si indica una divisione all’interno della Chiesa avvenuta tra i secoli VI e VIII, causata da un folto gruppo di vescovi per lo più occidentali che interruppero le relazioni con gli altri vescovi e con il papa.
L’imperatore Giustiniano, per salvaguardare l'unità dell'Impero nel suo disegno di restaurazione del potere romano, cercò di ingraziarsi gli eretici monofisiti (numerosi e con molti agganci politici alla corte di Costantinopoli). I Monofisiti rifiutavano di riconoscere autorità dogmatica al Concilio di Calcedonia (451 d.C.), ma l'imperatore, poiché non avrebbe potuto rigettare un concilio ecumenico già celebrato un secolo prima e riconosciuto da gran parte delle Chiese, decise di condannare alcuni teologi del passato che a Calcedonia avevano goduto di grande autorevolezza. Pertanto, con un editto imperiale intorno all'anno 545, Giustiniano condannò come eretici - la persona e tutti gli scritti del teologo antiocheno Teodoreto di Ciro, - gli scritti di Teodoro di Mopsuestia (morto intorno al 460) contro il patriarca di Alessandria Cirillo, - e una lettera di Iba di Edessa a difesa dello stesso Teodoro. Questi scritti erano, appunto, raccolti in “Tre Capitoli".
Giustiniano convocò anche un concilio ecumenico, il secondo Costantinopolitano, aperto il 5 maggio 553, in modo che l'assemblea dei vescovi recepisse l'editto e desse alla condanna dei tre teologi un valore ancora maggiore. Gran parte dei patriarchi e vescovi orientali accettò la cosa senza grandi reazioni. Più difficile era ottenere l'assenso del papa romano, Vigilio, che venne trasferito a forza a Costantinopoli, fu imprigionato, e dopo vari tentennamenti firmò la condanna dei Tre Capitoli (8 dicembre 553).
Molti vescovi dell'Italia Settentrionale, della Gallia e del Norico, non accettarono questa imposizione e pertanto non si considerarono più in comunione con gli altri vescovi che avevano accettato supinamente la cosa. Tra questi vescovi “ribelli” all'autorità imperiale e conciliare c’erano i vescovi delle province ecclesiastiche di Milano e Aquileia. Queste ultime convocarono un concilio particolare ad Aquileia e, di fatto, non riconobbero più l'autorità della Chiesa di Roma e, quindi, del papa. Aquileia si eresse a patriarcato autonomo per sottolineare la propria indipendenza gerarchica. La chiesa scismatica tricapitolina rimase rigorosamente calcedoniana (mantenne il credo niceno-costantinopolitano, non professò alcuna eresia cristologica); contestò vigorosamente, fino alla rottura, l'atteggiamento che riteneva ondivago del Papato, il quale, secondo gli scismatici, non contrastò adeguatamente l'ingerenza del potere politico, espresso dall'imperatore, nelle questioni dottrinarie.
L'arcidiocesi di Milano tornò abbastanza presto in comunione con il resto della Chiesa: l'arcivescovo Onorato, quando incalzato dall'invasione longobarda intorno all'anno 570 si trasferì con il clero maggiore a Genova (ancora città bizantina), rientrò in piena comunione con l'ortodossia romana e greco-orientale. Il clero minore, rimasto sul territorio diocesano, dal 568 sotto la dominazione longobarda, fu prevalentemente tricapitolino ancora per diversi anni.
Il Patriarcato di Aquileia fu diviso in due parti: aventi rispettivamente giurisdizione sui territori di dominazione bizantina e su quelli di dominazione longobarda. Il metropolita di Aquileia (allora patriarca di Grado, con sede a Grado (Aquileia nova), nei domini bizantini) rientrò in comunione con la Chiesa di Roma e quindi con il resto della Chiesa, nell'anno 607.
La diocesi di Como (che nel frattempo aveva reciso il rapporto di dipendenza dalla arcidiocesi di Milano ed era diventata suffraganea di Aquileia) ed altre diocesi dipendenti dall'altro metropolita di Aquileia (quello con sede ad Aquileia, longobarda) rimasero scismatiche fino all’anno 698, quando i rispettivi vescovi, convocati a Pavia dal re longobardo Cuniperto, decisero di inviare una loro rappresentanza a Roma per ricomporre la divisione. La diocesi di Como venera ancora con il titolo di santo un vescovo, Agrippino (vescovo dal 607 al 617), che si mantenne in modo intransigente su posizioni scismatiche in opposizione anche alla sede romana.
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