Romeo Menti
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Romeo Menti (Vicenza, 5 settembre 1919 - Superga, TO, 4 maggio 1949), fu un calciatore con il ruolo di ala destra.
Esordì nel Vicenza a soli 16 anni, nella partita d'inaugurazione del nuovo stadio l'8 settembre 1935 mettendosi subito in luce, nonostante la giovanissima età. Fatto curioso è che quello stesso stadio (tuttora lo stadio di Vicenza) gli fu dedicato pochi anni dopo, in seguito alla tragedia di Superga. Un giornale locale dell'epoca ebbe fin da subito parole d'elogio per quello che veniva allora chiamato Menti III. Nel Vicenza infatti avevano già giocato i fratelli maggiori Mario (Menti I) e Umberto (Menti II), che giocava allora nella Juventus. Presto però ci si dimenticò di Mario, che smise di giocare dopo poche gare al Vicenza, così rimase la denominazione di Menti I per Umberto e di Menti II per Romeo, come è sempre citato negli almanacchi.
Il suo rendimento in biancorosso fu sorprendente: dopo due anni di Serie C, ad appena diciotto guidò con i suoi 21 gol la squadra berica a sfiorare la conquista della Serie B nel campionato 1937-38, al termine del quale fu ceduto alla Fiorentina.
Dopo tre anni a Firenze giunse al Torino nel 1941. Ambidestro, incontenibile nelle progressioni, Menti era un’ala destra impareggiabile: aveva scatto, velocità, dribbling, tiro, astuzia, era abilissimo nelle finte e preciso. Soprattutto nel tiro, che spesso era una rasoiata, un fendente che tagliava l’aria. Le punizioni, i rigori erano suoi. Nel sistemare la palla, con un gesto quasi impalpabile, cercava la gente, che essendo un tutt’uno con la squadra, iniziava ad incitarlo: «Meo, Meo... » E Meo difficilmente tradiva la sua gente.
Faceva disperare Valerio Bacigalupo in allenamento. "Baci" scommetteva di riuscire a parare le sue punizioni, ma non gli riusciva mai, così fingendo rabbia, faceva un po’ di teatrino, per poi pagare l’aperitivo a tutti i compagni.
Mise in mostra la sua abilità di goleador anche in Nazionale, con 5 gol in 7 presenze. Partiva in posizione larga, per poi accentrarsi e giungere al tiro. Il suo piede forte era il sinistro. Era specialista nella botta secca, tagliando spesso il pallone, per imprimergli traiettorie che potessero ingannare i portieri avversari. Portava indubbiamente al Toro maggiore spinta offensiva.
Spesso provava nostalgia, diviso dalla passione per il Toro e Firenze, dove risiedeva la famiglia, moglie e figli. Nel 45-46 tornò alla Fiorentina per disputarvi un campionato. Poi di nuovo in granata, dove il destino lo chiamò a concludere la carriera.
Aveva un certo languore sul viso, lo sguardo a volte malinconico. Taciturno e riservato, era detto dai compagni "il cannone silenzioso" per questa sua caratteristica e per le sue doti sui tiri da fermo, sia di punizione sia di rigore. Fu proprio lui a segnare l'ultimo gol del Grande Torino contro il Benfica, su calcio di rigore, il 3 maggio 1949.
Morì con i suoi compagni di squadra nella tragedia di Superga e in seguito gli furono dedicati ben 3 stadi italiani (probabilmente un record per un singolo giocatore): quello di Vicenza, di Castellammare di Stabia e di Montichiari.