Rivoluzione (politica)
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Definizione: (dal tardo latino revolutio, -onis, rivolgimento, cfr. re-volvere, rivolgere)
È un mutamento improvviso e profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello. Si distinguono diversi tipi di rivoluzioni: sociali, politiche, culturali, scientifiche, tecnologiche. Le rivoluzioni vengono talora conseguite per mezzo della violenza anche se vi sono molteplici esempi di rivoluzioni nonviolente.
Le rivoluzioni sociali si differenziano dai colpi di Stato e dai pronunciamenti politici perché conducono a trasformazioni profonde di tutta la struttura sociale, economica e politica di un sistema, al sorgere di un nuovo tipo di cultura politico-sociale.
Dice Raymond Aron: sembra opportuno riservare il termine "colpo di Stato" al cambiamento di Costituzione decretato illegalmente dal detentore del potere (Napoleone III nel 1851), o alla presa del potere da parte di un gruppo di uomini armati, senza che questa conquista (sanguinosa o no) comporti necessariamente l'avvento di un'altra classe dirigente o di un altro regime. La rivoluzione implica molto più del "togliti di là, così mi ci metto io". [1]
Spesso, le rivoluzioni sono accompagnate da guerre civili, da massicce distruzioni della ricchezza accumulata, dall'impoverimento e dalla fame per la maggior parte della popolazione, e ciò tende a provocare, a sua volta, l'arretramento e la vittoria della controrivoluzione.
Si parla di rivoluzione anche nei casi in cui il sovvertimento della forma di governo avviene in modo pacifico: in tal caso, l'enfasi viene posta sugli aspetti spiccatamente innovativi dell'assetto politico-sociale derivante dall'azione rivoluzionaria.
È abbastanza agevole distinguere rivoluzione da rivolta, poiché quest'ultima è generalmente priva di organizzazione ed inoltre vi mancano riferimenti teorici a qualche particolare ideale.
[modifica] Note
- ↑ L'Opium des intellectuels, Paris, Calmann-Lévy, (1955) (“L’oppio degli intellettuali”, 1998, Ideazione editrice)