Revisionismo del marxismo
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Fu chiamata revisionista la corrente non rivoluzionaria, ma moderata e riformista, del marxismo.
Sorse verso la fine del XIX secolo, traendo origine dal fatto che la realtà dell'economia capitalistica non sembrava corrispondere alle previsioni del marxismo. Infatti, dopo la grande depressione degli ultimi decenni dell'800, era iniziato un nuovo periodo di espansione e di prosperità che riabilitava la forma del libero commercio ed alimentava nuova fede nel capitalismo.
Questo sviluppo, parve smentire le previsioni catastrofiche del marxismo, mentre per altro al crescente processo di concentrazione delle imprese nelle forme di trusts e cartelli non sembrava corrispondere un inasprimento della lotta di classe, bensì una maggiore cautela del proletariato nell'avanzare le proprie rivendicazioni.
I revisionisti, di cui il più autorevole rappresentante fu il socialdemocratico tedesco Eduard Bernstein (1850- 1932), ne trassero la conseguenza che, non essendosi verificati nello sviluppo capitalistico il peggioramento ed il crollo teorizzati dal marxismo, i metodi rivoluzionari erano da considerarsi superati ed andavano sostituiti da lente e successive riforme sociali. Il riformismo preannunciato da Bernstein, ebbe la massima fioritura tra il 1897 ed il 1899.
In Italia, le tendenze revisionistiche presero l'avvio da Benedetto Croce.
Agli inizi del XX secolo, si ebbe una diversa tendenza revisionista, un revisionismo rivoluzionario, diffuso dai fautori di una revisione del testo marxista in senso estremista. Questo revisionismo ebbe il suo teorico in George Sorel ed i suoi motivi furono ripresi in Italia da Arturo Labriola (1873-1959).
Fino a tutto gli anni Settanta-Ottanta, la polemica contro le correnti revisioniste fu un motivo che riaffiorava regolarmente all'interno dei partiti comunisti.
Ad esempio, tra i giovani che avevano partecipato alla contestazione del Sessantotto e tra tutti gli appartenenti ai movimenti dissidenti dalle linee politiche ufficiali dei partiti comunisti dei vari paesi, si presentava assai vivo il problema della lotta al revisionismo, definito da essi nemico della rivoluzione proletaria (lo Stato borghese, diceva Lenin, si abbatte e non si cambia) e anzi fautore di una convivenza con la borghesia capitalistica.