Responsabilità civile
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Il principio della responsabilità civile si basa sull'articolo 2043 del Codice Civile che obbliga chiunque arrechi, con fatto proprio, doloso o colposo, un danno "ingiusto" ad altra persona al risarcimento del danno (c.d. danno risarcibile), secondo il principio della compensatio lucri cum damno (in modo tale che il risarcimento mantenga la propria funzione, senza trasformarsi in una fonte di guadagno).
«Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.»
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Gli artt. 2044 e 2045 regolano la legittima difesa e lo stato di necessità, nel primo caso la responsabilità dell'agente è esclusa, nell'altro ridotta a un mero indennizzo. Si dice in proposito che il realizzarsi di tali due fattispecie trasforma la condotta da contra ius a secondum ius.
Un'ulteriore importante deroga esclude la responsabilità di chi abbia compiuto il fatto dannoso in uno stato di incapacità di intendere e di volere; è però importante sapere che lo stato di incapacità non rileva in quanto tale, ma in relazione al fatto; ossia l'inabile è irresponsabile del proprio fatto in quanto la sua incapacità sia tale da non permettergli di comprendere il significato e le conseguenze del proprio agire (art. 2046).
Il nostro codice individua, poi, delle ipotesi di responsabilità oggettiva (artt. da 2048 a 2053), ossia casi in cui il soggetto non è responsabile direttamente (quindi non si ha una responsabilità soggettiva), ma indirettamente, in quanto collegato oggettivamente a chi o che cosa abbia causato il danno (es. responsabilità dei gentori, dei padroni o committenti o ancora "danno cagionato da cose in custodia")
Per quanto riguarda la quantificazione del danno, oltre al principio della compensatio, vigono i criteri individuati dall'art. 2056 c.c., il quale compie dei meri rinvii al Titolo I, del medesimo libro IV. Rinvia imp. ad art. 1223 c.c., così che il risarcimento si quantifica nella perdita subita (c.d. danno emergente) e nel mancato guadagno (c.d. lucro cessante) in quanto ne sia diretta e immediata conseguenza; considera però anche l'ipotesi di una valutazione equitativa del danno (art. 1226 c.c.) e del concorso del danneggiato nel compirsi del fatto (art. 1227 c.c.).
Per concludere, è importante accennare: alla possibilità di un risarcimento in forma specifica e alla risarcibilità del danno non patrimoniale, principio quest'ultimo che insieme all'art. 32 cost. (diritto alla salute) ha posto le basi per la nozione di "danno biologico".
Quindi il danno si distingue in "patrimoniale" e "non patrimoniale". Il "danno patrimoniale" si sostanzia, come suddetto, nel "danno emergente" e nel "lucro cessante". Il danno non patrimoniale si distingue in: 1) Danno Biologico inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); 2) Danno Morale Soggettivo inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; 3) Danno Esistenziale inteso come ogni pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della personalità nel mondo esterno. Il danno esistenziale, quindi, si deve sostanziare in una modificazione peggiorativa della personalità dell’individuo in presenza di lesione di interessi essenziali della persona, come quelli costituzionalmente garantiti (salute, reputazione, libertà di pensiero, famiglia, ecc..). Questo differisce dal "danno biologico" in quanto prescinde dalla accertabilità in sede medico legale, e differisce dal "danno morale soggettivo" perchè, a differenza di questo che è in re ipsa, deve obiettivarsi (La Suprema Corte, con la sentenza 13546/2006, pare aver spazzato via ogni dubbio in ordine all’eventuale rischio di sovrapposizione di questa tipoogia di danno con le altre);
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