Il Caffè
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Il Caffè è il titolo del periodico più importante e prestigioso della cultura illuministica italiana, nato a Milano nel 1764 a opera di Pietro Verri e del gruppo che era solito raccogliersi all'Accademia dei Pugni.
La Milano del Settecento, dominata dagli austriaci, stava vivendo un regime di dispotismo illuminato. L'illuminismo nella Milano asburgica appariva molto vicino rispetto a quello francese, ed i letterati facenti parte dell'Accademia dei Pugni (ala più rivoluzionaria delle Accademie illuministe milanesi), tra cui Cesare Beccaria ed i fratelli Verri, diedero un forte contributo a questo giornale.
Sia il titolo, sia l'impostazione del periodico erano nuovi nella tradizione italiana. Il titolo prendeva ad esempio i periodici inglesi di Addison e di Steele, come "The Spectator" ("Lo spettatore") o "The Tatler" ("Il chiacchierone") e serviva a presentare la rivista come punto di raccolta delle discussioni che si tenevano in un caffè, gestito dal greco Demetrio, che era divenuto un luogo d'incontro per dibattere di argomenti politici e sociali.
L'impostazione era completamente diversa dalle riviste dell'epoca più che altro legate a interessi eruditi o ad espressione delle varie Accademie.
La rivista, che rimase in vita fino al 1766, usciva ogni dieci giorni, complessivamente 74 numeri l'anno che in seguito vennero rilegati in due volumi corrispondenti alle due annate.
Dei 118 articoli firmati, 53 portano il nome di Pietro Verri, 31 di Alessandro Verri, 7 di Cesare Beccaria, 6 di Carlo Sebastiano Franci, 5 di Pietro Secchi ed altrettanti di Giuseppe Visconti, 2 del matematico Paolo Frisi, di Luigi Lambertenghi e di Alfonso Longo, 1 infine di Baillou, di Boscovich, di Gian Rinaldo Carli e di Giuseppe Colpani.
La denominazione del periodico rimanda ad un nuovo spazio topico della letteratura che esprime un nuovo modo di veicolare la cultura.
Non la piazza del Medioevo come sede di cerimonie religiose e di attività politiche ed economiche, non come la corte del Rinascimento dove si elaboravano quei modelli tipici di quella società (dal cortigiano, all'amor platonico, alla lingua aulica), non il salotto del primo Settecento, come quello di Cristina di Svezia nell'ambito del quale sorse l'Arcadia, ma il caffè illuminista, tempo reale e nello stesso tempo simbolico nel quale esprimere precise pratiche culturali.
All' intellettuale illuminista che ha ormai trovato una sua collocazione politica al seguito del sovrano illuminato, il giornale serve a stabilire un contatto agile ed efficace con quell' opinione pubblica sempre più attiva e con quei gruppi di pressione organizzata sufficientemente forti per avanzare le proprie istanze.
Per quanto riguarda Il Caffè, bisogna ricordare che esso nasce nel periodo in cui le botteghe di caffè si sviluppano rapidamente in Inghilterra in seguito alla diffusione dell'uso della bevanda, alla quale venivano attribuite grandi virtù salutari.
I locali nei quali si serve il caffè segnano la fine della taverna, tra "il tramonto della civiltà del vino, fatta di deliri, ebbrezze, invasamenti, e l'inizio della civiltà del caffè, fatta di riflessione, meditazione, chiarezza di idee".
La caffetteria diventa un luogo di incontro e di discussione, una specie di luogo reale-ideale dove si possono creare quelle condizioni adatte a far nascere i periodici con la partecipazione attiva (con la discussione) e passiva (con la lettura) dei lettori.
Il programma della rivista si fonda sulla pluralità degli argomenti e sulla partecipazione di un pubblico di lettori molto vario che riesce, nello spazio del caffè a realizzare una nuova forma di socialità che nasce dall'incontro di uomini e di ceti diversi. Componente essenziale della battaglia illuministica del "Caffè" è la sua prospettiva letteraria e linguistica. Il problema della diffusione dei lumi è infatti anche un problema del linguaggio: "cose e non parole" è uno dei motti del "Caffè", il cui linguaggio non si limita a riprodurre passivamente la realtà, ma deve sapere attraversarla e spiegarla; un linguaggio che taglia decisamente i ponti con il classicismo e il purismo linguistico. Il rilievo sociale, culturale e letterario del nuovo spazio viene accolto da tutti e Montesquieu in una delle Lettere persiane (XXVI) fa dire a Usbek che a Parigi c'è la bottega di Procope dove "si prepara il caffè in modo tale che dà dello spirito a chi ne fa uso: quanto meno, di quelli che ne escono, non c'è nessuno che non creda di averne quattro volte di più di quando vi è entrato".
In Italia sull'"Osservatore veneto" del 22 agosto 1761, Gaspare Gozzi scriverà: "Non avrà uomo dabbene praticato una bottega da caffè sei mesi, che uscirà di là nel mondo con quella dottrina alla quale avrà avuto l'animo più inclinato".
Il Caffè diventa in Francia e in Italia anche oggetto di finzione teatrale dove Goldoni dedicherà nel 1750 la sua nota commedia La bottega del Caffè, dove lo spettacolo è costruito in modo da far risaltare uno spazio scenico aperto che mette in comunicazione la piazza e la bottega con personaggi che entrano e che escono.
La bottega del caffè assume pertanto la funzione di operatore di cultura.