Historia Augusta
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La Storia Augusta (in latino: Historia Augusta = H. A.) è una raccolta di biografie di imperatori e usurpatori romani comprendente l'arco di tempo che va da Adriano a Numeriano. Sia pur con qualche considerevole lacuna, fra le quali si segnala per estensione quella relativa agli anni 244-253, essa è l'unica fonte letteraria continua per questo periodo, il cui contenuto coincide a volte con quello di epigrafi e di altro materiale documentario pervenutoci e quindi, pur con tutti i suoi limiti, è di interesse considerevole.
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[modifica] Gli autori o l'autore, i destinatari e l'epoca di composizione della H. A.
Pur sembrando che la H. A. sia un insieme di vite redatta da sei scrittori differenti- rispondenti ai nomi di "Aelius Spartianus", "Iulius Capitolinus", "Vulcacius Gallicanus", "Aelius Lampridius", "Trebellius Pollio" e "Flavius Vopiscus"- indirizzata a cesari e imperatori dell'età dioclezianeo-costantiniana, come si evince dalle dediche, tuttavia una serie di incongruenze, anacronismi, falsificazione di dati, termini tecnico-amministrativi e nomi di personaggi riconducibili e in auge in epoche più tarde, dà adito a una serie di perplessità e forti dubbi non soltanto sulla paternità dell'opera stessa, ma anche sull'attendibilità del suo contenuto, sui destinatari dell'opera e conseguentemente sulla data di composizione. A smontare le certezze su cui si reggeva il tradizionale impianto basato sulla convinzione che la H.A. fosse opera di sei autori vissuti nel sopraddetto periodo fu uno studio del 1889 di Hermann Dessau nel quale, per la prima volta, fu avanzata l'ipotesi che i nomi dei sei Scriptores fossero tutti fittizi e che il lavoro fosse stato composto da un singolo autore, all'epoca di Teodosio I; a supporto di questa intuizione, H. Dessau addusse come prova il fatto che la vita di Settimio Severo è copiata da Aurelio Vittore e che quella di Marco Aurelio è intrisa di elementi che fanno pensare a Eutropio: fonti entrambe, com'è noto, riconducibili alla fine del IV secolo. La tesi del Dessau, che metteva a nudo le varie incongruenze sopra dette, fu condivisa, fra gli altri, da O. Seek, ma trovò fieri oppositori in altri storici "conservatori" del calibro di E. Klebs, E. Woelfflin e H. Peter che collocavano, invece, la composizione della H. A. all'epoca dioclezianea-costantiniana, attribuendola ai sei citati autori. Una posizione intemedia veniva assunta da Mommsen che faceva risalire le varie incongruenze, presenti nella H.A., all'opera di interpolatori che avrebbero modificato, nel V secolo, il contenuto della prima redazione dell'opera, risalente, a suo modo di vedere, al al 330 d. C.
Il ventesimo secolo fu caratterizzato dalle prese di posizioni pro o contro le opposte tesi, e mentre per l'arco di tempo della composizione dell'opera le congetture oscillano tra il 392 il 423 (per quest'ultima datazione propende J. Straub per il 420 S. Mazzarino) per l'autore o gli autori, si è sempre più diffusa fra gli studiosi la convinzione che a comporla fosse stato soltanto un biografo. Rimette tutto in discussione A.Momigliano con un invito alla comunità scientifica a riconsiderare l'insieme della problematica venutasi sempre più a stratificarsi attorno a ipotesi che, per quanto suggestive, privilegiano più spesso soluzioni di fantasia discostandosi dai dati reali dei singoli problemi.
Per ciò che riguarda il problema della paternità dell'opera e l'epoca di composizione, studi recenti mostrano, uniformità di stile in buona parte dell'opera, orientando la quasi totalità degli eruditi contemporanei verso l'accettazione della teoria che a comporre l'opera sia stato un singolo autore, tardo e di identità sconosciuta, anche se l'analisi stilistica del lavoro, effettuata con l'ausilio del computer ha dato risultati incerti: alcuni elementi di stile, infatti, sono abbastanza uniformi in tutta l'opera, rendendo legittima l'ipotesi di un unico biografo, mentre altri variano in una direzione che ne suggerisce la molteplicità.
In merito alla individuazione degli obbiettivi della Historia c'è da dire che le opinioni, fino al xx sec., sono, nella loro non univocità, settoriali: per alcuni trattasi di un lavoro di pura evasione o di satira, concepito al solo scopo di intrattenere, per altri, invece, esso è un attacco di parte pagana contro il Cristianesimo che induce l'autore a celare la sua identità per motivi di sicurezza personale. Una lettura più attenta ha indirizzato però gli studiosi su una tematica decisiva, in quanto presente e costantemente portata avanti in ogni biografia.
[modifica] I modelli ai quali si ispira
Che nell'opera si riscontrano queste caratteristiche messe assieme è cosa abbastanza evidente, tanto più che essa, nel complesso, si presenta come cronaca della vita, soprattutto privata, degli imperatori, aderendo, ma in modo esagerato, dichiaratamente, al modello svetoniano, a cui si era già ispirato Mario Massimo, discostandosene, però, quest'ultimo alquanto, per aver messo in netta preminenza, rispetto al dato storico a cui invece si atteneva Svetonio, il lato privato e domestico, il pettegolezzo di corte, fine a sé stesso, sino alla calunnia: in merito vedasi il trattamento, per aver tolto ai senatori il comando delle legioni affidandolo al ceto equestre, riservato a Gallieno, buon imperatore secondo altre fonti. Pertanto l'autore (o gli autori) della Historia Augusta pur prendendo le mosse da Svetonio, nello sviluppo delle argomentazioni fa riferimento, si basa e segue Mario Massimo, citato come fonte ben 18 volte e della cui opera non ci rimane altro. Di fondamentale importanza è la testimonianza dello storico Ammiano Marcellino, fra altre, il quale sostiene che l'opera di Mario Massimo dilettasse parecchio i suoi lettori: altro che Sallustio, Livio e Tacito, storici scientifici e severi, all'epoca in cui fu scritta la Historia Augusta, e ancor prima, a tenere banco, tra gli aristocratici era proprio l'opera storica, o per meglio dire, mythistorica di Mario Massimo, unitamente alle satire di Giovenale, autore quest'ultimo quasi dimenticato, prima di questo periodo, e ritornato di gran moda in seguito, probabilmente, ai commenti che ne fece il grammatico Servio.
[modifica] Il vero filo conduttore
Dall'incertezza generale, che tuttavia caratterizza l'intera opera, emerge un unico dato sicuro: essa è, senz'ombra di dubbio, espressione dell'opposizione senatoria all'istituto imperiale del quale si dà una rappresentazione ora banalizzata, con l'indugiare su particolari a volte esageratamente falsi e in ogni caso tendenziosi, che riguardano la vita privata dei singoli imperatori, ora un resoconto a fosche tinte con descrizioni aventi per oggetto la crudelitas, l'ebrietas e tutta la sequela delle umane aberrazioni: e ogni qual volta qualche notizia era estremamente esagerata fino all'inverosimile, se ne attribuiva la paternità a un certo Cordus, storico, si fa per dire, non altrimenti noto, sicuramente ad hoc inventato. La controprova che il filo conduttore dell'opera sia da ricercare nell'avversione all'istituto imperiale sta nel fatto che pochi imperatori, come Settimio Severo e Marco Aurelio Probo sono oggetto di lodi, lodi che danno agli autori (o all'autore) occasione di parlare di un ritorno dei vecchi tempi, sotto forma di laudatio temporis acti (rimpianto del tempo passato), di quella res publica romana dei tempi d'oro, quando a decidere delle sorti dello stato era la prestigiosa classe senatoria e non il capriccio o l'estrosità, come spesso è dato leggere in quest'opera, degli odiati imperatori: sotto i sopra detti imperatori, lodati per il loro comportamento deferente nei confronti del senato, persino i rigidi appartenenti alla gens Catoniana, dice l'autore della H. A., sarebbero stati lieti di vivere. E, a ben considerare, l'atteggiamento ostile della classe senatoria nei confronti dell'istituto imperiale trovava una sua motivazione precisa, dovuta al fatto che in epoca repubblicana il ruolo di guida dello stato era esclusivamente nelle mani dell'aristocrazia senatoriale, e con esso tutta una serie di interessi che vedeva cointeressati alcuni clan di una ristretta oligarchia nella spartizione di incarichi, altamente remunerativi, sia in patria che soprattutto in territorio provinciale; i sudditi, paragonati a pecore da tosare a zero, erano spesso sottoposti a gravami e soprusi di ogni genere tali da generare malcontenti e da alimentare movimenti di ribellione: nella migliore delle ipotesi i provinciali avevano la possibilità di denunciare i governatori di province corrotti che, appartenendo alla classe aristocratica, venivano sistematicamente assolti da tribunali le cui giurie, se si eccettua qualche decennio, erano rigorosamente di estrazione aristocratica. Ma questo era solo uno degli aspetti: l'oligarchia senatoria dei tempi d'oro della repubblica aveva un potere illimitato e distribuiva cariche onori e incarichi avendo il delicato compito di condurre la direzione della politica sia interna che estera.
[modifica] La svolta augustea, il declino e il risentimento dell'ordine senatorio
Con l'avvento dell'impero vennero meno al senato quasi tutte queste prerogative, pur se formalmente continuava a svolgere il proprio ruolo. Ma da Augusto in poi, il suo prestigio e soprattutto il suo potere decisionale subì un improvviso drastico ridimensionamento. Una serie di provvedimenti presi da Augusto in materia di governatorato delle province che gli garantivano il controllo degli eserciti, rese inoffensivo il consesso senatorio, ridotto a mite e mero strumento di approvazione della volontà del sovrano in ogni campo della vita pubblica. Stretto nella dura morsa tra l'imperatore da una parte e l'esercito, a questi fedelissimo, dall'altra, il senato perdette progressivamente il suo ruolo e dovette accontentarsi di svolgere compiti subordinati al volere e spesso al capriccio di imperatori non sempre illuminati. Costretta a subire, la classe senatoria trovò modo di sfogare tutto il suo risentimento in opere pseudo storiche quale quella, come detto di di Mario Massimo che, prendendo le mosse da Svetonio, ma solo per ciò che riguardava l'aspetto della vita privata degli imperatori, ridicolizzava e colpevolizzava gli imperatori per i mali dai quali era affetto l'impero, nell'approssimarsi del proprio declino. E a Mario Massimo, come già detto, molto deve la Historia Augusta soprattutto per ciò che di infamante, di ridicolo, di falso e anche di tragicamente vero nei confronti di taluni imperatori si potesse dire.
Rimarrebbe da parlare della presenza di parecchie ed evidenti contraddizioni interne nella H. A., di cui qui non è il caso nemmeno di far cenno, e per il cui approfondimento si rimanda il lettore all'introduzione al lavoro di Paolo Soverini citato, qui appresso, in bibliografia. La H. A continua ad essere ancora al centro di importanti convegni che annualmente si tengono su tematiche che ne riguardano esclusivamente i molteplici aspetti.
[modifica] Bibliografia
Testo originale:
- Historia Augusta – Römische Herrschergestalten, übersetzt von Ernst Hohl, 2 Bde., Zürich-München 1976.
- Augustan History - An English translation of the complete work is available in the en:Loeb Classical Library,
- Lives of the Later Caesars. a translation of the first half published by en:Penguin Books
- Scrittori della storia augusta, a cura di PAOLO SOVERINI, voll.2, Torino, Utet, 1983.
Bibliografia secondaria:
- Holger Sonnabend: Geschichte der antiken Biographie, Stuttgart 2002.
[modifica] Collegamenti esterni
- Historia Augusta] (latino con concordanze e lista di frequenza) nella Biblioteca Digitale IntraText
- Historia Augusta (latino e traduzione inglese) a LacusCurtius
- Historia Augusta (latino) nella Latin Library
- Introduzione a Livius.Org