Giandomenico Cignaroli
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GIAN DOMENICO CIGNAROLI (1722-1793), veronese, appartenne a una famiglia di pittori ed artisti. Il fratello Gian Bettino, figlio della prima moglie del padre Leonardo e maggiore del nostro di 16 anni, fu il suo primo e quasi unico maestro e lo seguì costantemente nella sua produzione artistica. Gian Domenico tuttavia si limitò a considerare la pittura un mestiere. Si ispirò alla realtà, fu un bravo disegnatore e pittore decoroso che dipinse per chiese e per privati in vari paesi e città dell’Italia settentrionale, con risultati alterni: a volte apprezzati, a volte rifiutati. Nell’abside della chiesa di Castel d' Ario, tra il cornicione del catino e la parte superiore del coro ligneo, risaltano le tre pale di Gian Domenico Cignaroli raffiguranti l’Annunciazione, l’Assunzione di Maria al cielo e la Presentazione di Gesù al tempio. Di misura considerevole (cm 215 x 412), a contorno sagomato con cornice di marmo di Carrara, sono intervallate dalle due finestre del coro.
Le tele di Castel d'Ario sono state eseguite dal pittore veronese Gian Domenico Cignaroli per la chiesa dei Padri Filippini di Mantova, intitolata alla Madonna Immacolata Concetta, a san Filippo Neri e a san Francesco di Sales. Nella chiesa, progettata nel 1725 e solennemente inaugurata nel 1738, le opere del Cignaroli sono sicuramente collocate tra il 1763 e il 1765. Oltre alle tre tele di Castel d'Ario ne esisteva una quarta intitolata la Presentazione al tempio di Maria poi trasferita al museo di Palazzo Ducale a Mantova e andata distrutta in un incendio nel 1937.
EQUIVOCI DI ATTRIBUZIONE DELLE TRE PALE DI GIAN DOMENICO CIGNAROLI Il recente restauro delle tre tele ha mostrato su ciascuna l’iscrizione autografa dell’autore: JOANNES DOMINICUS CIGNAROLI PINXIT nei due quadri laterali raffiguranti l’Annunciazione e la Presentazione al Tempio; JOANNES DOMINICUS CIGNAROLIUS VERONENSIS PINXIT nella pala centrale dell’Assunzione di Maria al cielo. Eppure, nel corso dell’Ottocento, vari sono stati gli errori di attribuzione dei dipinti a Gian Domenico, unico esecutore dei tre quadri, su ciascuno dei quali ha messo il suo autografo. Nel 1829 don Duchi, nel suo minuziosissimo Inventario, si limita a scrivere così a proposito dei tre grandi dipinti: “Nel muro del Coro fra le due Fenestre vi sono trè quadri, il primo cioè in Cornu Evangeli l’Annunciazione, in quello di mezzo l’Assunta, nel terzo la Presentazione al tempio di M. SS. Opere del Celebre Signaroli Gian-Domenico, con cornici di Marmo di Carrara”. Si rilevano subito due errori: il titolo del terzo quadro, che è la Presentazione di Gesù al tempio (e non della Madonna), e l’iniziale del cognome del pittore. Quest’ultimo errore, “Signaroli”, è poi ripetuto dal successore don Brighenti il quale, se pur in modo molto sintetico, ricalca il suo Inventario del 1842 su quello di don Duchi. Nel 1859 , una persona istruita come il canonico don Pietro Checchetti, colleziona una serie incredibile di errori a proposito delle tre tele. Scrivendo all’Amministrazione comunale per avere le pietre del Castello necessarie ad erigere il nuovo oratorio della Confraternita del SS. Sacramento, il sacerdote sposta a più riprese l’attenzione sua e dell’Amministrazione proprio sulle tele del Cignaroli, definendole “tre preziosi e grandiosi dipinti” il cui restauro avrebbe dovrebbe essere il primo degli interventi urgenti da farsi dopo aver innalzato l’Oratorio, addirittura prima di arredarlo internamente. Don Checchetti decanta il valore dei dipinti e l’improrogabilità del restauro che, se troppo rimandato, “porterebbe guasti irrimediabili alla loro conservazione”, ma poi conclude: “Che se ciascuno sa che l’Autore di tali dipinti si è Gian Battista Cignaroli Veronese che fioriva verso la metà del secolo passato, e che fu tra i primissimi dell’epoca sua; sappia, e basti a persuadersene del merito, che Giuseppe II°, visitando Verona, disse, che era stato sorpreso di 2 cose: dell’antica Arena Romana; e dei dipinti del primo Pittore d’Europa in quel tempo, cioè del Cignaroli” . Don Checchetti dunque confonde Gian Battista con Gian Bettino e attribuisce a quest’ultimo e non a Gian Domenico i dipinti della chiesa di Castel d’Ario. Pertanto, quando riporta il giudizio del sovrano austriaco, questo è riferito appunto a Gian Bettino, per cui non è il Gian Domenico autore delle pale della chiesa di Castel d’Ario il primo pittore d’Europa nel Settecento. La citazione del giudizio del sovrano austriaco si riferisce infatti a Gian Bettino (anche se don Checchetti lo chiama Gian Battista), osannato dai contemporanei, e non al fratellastro Gian Domenico (meno apprezzato). Nel 1867, anche il parroco don Masè, appassionato studioso (ma non di Arte), mostra scarso interesse ai dipinti, che attribuisce genericamente ai fratelli Cignaroli. Infatti, aggiungendo di suo pugno una nota allo scarno Inventario compilato dai Fabbricieri, si limita a scrivere: “Nel coro esistono tre quadri grandi con cornice di Marmo di Carrara, il primo rappresenta la Annunciazione di M.V. il secondo l’Assunta della medesima, il terzo la purificazione; dipinti dei fratelli Cignarolli” . E nel successivo Inventario del 1878 i quadri non vengono nemmeno nominati. Nel 1893, e quindi quasi contemporaneamente all’edizione della citata opera dello Zannandreis (che ha sbagliato l’attribuzione dei titoli ai quadri del Cignaroli), esce una pubblicazione di Antonino Bertolotti, il quale, dopo aver raccolto pazientemente per oltre un decennio informazioni d’archivio dell’intero territorio mantovano, scrive a proposito delle opere d’arte della chiesa di Castel d’Ario “…tre pale dei fratelli Cignaroli, figuranti l’Annunciazione, l’Assunta e la Presentazione al tempio, nel quale ultimo vi sono i ritratti dei pittori coi loro nomi” . Anche se si è quasi concordi nel ravvisare proprio in quest’ultima pala l’autoritratto di Gian Domenico , la sottostante iscrizione JOANNES DOMINICUS CIGNAROLI PINXIT non lascia dubbi circa l’unicità dell’autore dell’opera. Si tratta forse di un grossolano errore dei Fabbricieri, contattati dal Bertolotti per informazioni sulle opere d’arte della chiesa, o forse è una superficiale ammissione del parroco che riporta la notizia per sentito dire, senza una personale verifica. L’analisi stilistica porta solo nel 1935 il critico Matthiae ad attribuire correttamente le opere a Gian Domenico, anche se non tutto appare completamente chiaro. Scrive infatti il Matthiae,a proposito della pala dell’Annunciazione, su cui riconosce la firma del solo Gian Domenico, che un’eventuale collaborazione del fratello Gian Bettino è “da escludere in gran parte sia per la composizione più trita, sia per il colore slavato”. A proposito del colore, lo Zannandreis un secolo prima aveva espresso tutt’altro giudizio. Secondo lui il Cignaroli “cercando vaghezza, v’infuse colori troppo vivaci e slegati”, per cui i dipinti, “perduta la bella prerogativa dell’armonia, riuscirono di poca soddisfazione”.
L’Annunciazione“La protagonista, colta di sorpresa, si ritrae con un atteggiamento schivo, di ricordo lottesco , che rivela la sua dolcissima e semplice persona. L’Angelo, maestoso, sopraggiunge attraverso il grande finestrone che si apre, separato da una balaustra, sull’esterno. Una nuvola vorticosa arriva al Padre Eterno che dall’alto, stupendo, osserva ed invia lo spirito Santo alla prescelta. Una varietà di putti assistono e completano la scena. Il Cignaroli sorprende con una tavolozza eccezionale, che punta su un chiaro-scuro accentuato, ma tutto ottenuto con il colore, accostato con arditi effetti cangianti e contrapposti.”
Assunzione di Maria“Un vortice di nuvole, angeli e putti avvolgono la splendida figura della Madonna Assunta in cielo, tra un coro di musici, mentre il sepolcro vuoto è osservato da tre angeli e dalla mirabile figura del S. Giovanni. Lo spazio è profondissimo in tutte le direttrici: in primo piano l’Angelo che è posto di spalle, in scorcio, si staglia con i suoi vibranti colori sul candido lenzuolo, che avvolgeva il corpo e, oltre il sarcofago disposto in orizzontale, si apre un tranquillo paesaggio lacustre. La scena è animatissima e la tavolozza travolgente. I colori sono accostati con maestria, ottenendo effetti luminosissimi e cangianti. Sul gradino, ai piedi del sepolcro, l’artista ha autografato il dipinto.”
Presentazione al Tempio Si ritrova, in questa pala del Cignaroli, “il consueto zigzagare attraverso delle diagonali compositive, secondo un progetto ben preciso. Il primo segmento è rappresentato dalla mirabile figura muliebre in primo piano, intenta a conversare con un servo di colore. L’eccezionale plasticità è tutta giocata attraverso le pieghe delle vesti e nel colorismo, cioè nel sapiente accostamento delle tinte primarie per arrivare al vertice della luminosità, accentuata dalle pennellate bianche delle maniche e delle colombe. La composizione continua poi con la poetica figura della Vergine inginocchiata sui gradoni del tempio alle cui spalle si trova, in una posa originale, San Giuseppe, fino a culminare nel gruppo dominato dal sacerdote che regge tra le braccia il Bambin Gesù riconosciuto dalla sacerdotessa Anna. Altri personaggi prendono parte alla scena, fra i quali azzarderei riconoscere l’autore, ritratto nella figura posta a destra, sul fondo, vestito in abiti settecenteschi. Una severa architettura sovrasta l’animata scena e si apre su un luminoso sfondo celeste. Il pittore ha autografato anche questo magnifico dipinto sul primo gradone.”
Gabriella Mantovani, Filippo Mantovani, La chiesa parrocchiale di Castel d'Ario, Storia, Arte, Protagonisti, dal Cinquecento a oggi, Mantova, Sometti editore, 2002.
