Gaio Mario
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Caio Mario, in Latino Caius Marius, nelle iscrizioni: C·MARIVS·C·F·C·N (157 a.C. - 13 gennaio, 86 a.C.), generale e uomo politico romano.
[modifica] Importanza di Caio Mario
La carriera di Caio Mario è particolarmente emblematica, in quanto si sviluppa attraverso fatti e circostanze che, in seguito, porteranno alla caduta della repubblica romana. Mario nacque come homo novus, cioè proveniente da una famiglia della provincia italiana i cui componenti non avevano mai ricoperto in passato cariche senatoriali, che seppe distinguersi e giungere alla ribalta della vita pubblica di Roma per merito della propria competenza militare, e che l'oligarchia dominante fu costretta, suo malgrado, a cooptare nel proprio sistema di potere. A causa del verificarsi di una situazione di grande pericolo per la minaccia di invasioni su larga scala, gli si dovette concedere un potere militare senza precedenti nella storia di Roma, e questo a scapito del rispetto delle leggi e delle tradizioni vigenti, che dovettero essere adattate alla nuova situazione di emergenza. Alla fine fu varata una profonda riforma della leva militare, che in passato raccoglieva solamente proprietari terrieri, e che da allora fu aperta anche a cittadini provenienti dalle classi dei nullatenenti. Nel lungo termine questa riforma ebbe l'effetto di cambiare in modo radicale e irreversibile la natura dei rapporti fra l'esercito e lo stato.
Mario nacque nel 157 a.C. ad Arpino nel Lazio meridionale, precisamente nella frazione che ancora oggi porta il suo nome: Casamari. La città era stata conquistata dai Romani alla fine del IV secolo a.C., ed aveva ricevuto la cittadinanza romana senza diritto di voto (civitas sine suffragio). Soltanto nel 188 a.C. le vennero concessi i pieni diritti civili. Plutarco riferisce che il padre era un manovale, ma la notizia non è confermata da altre fonti, e tutto lascia pensare che sia falsa. Infatti Mario aveva relazioni con ambienti della nobiltà romana, si candidò per cariche pubbliche nell'amministrazione di Arpino e si imparentò per parte di moglie con la nobiltà locale, tutte circostanze concomitanti nel suggerire che molto probabilmente apparteneva ad un'influente famiglia appartenente all'ordine equestre. Le difficoltà che incontrò agli esordi della sua carriera a Roma dimostrano semmai quanto fosse arduo per un homo novus affermarsi nella società romana del tempo.
[modifica] Inizi della carriera
Nel 134 a.C. si distinse per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell'assedio di Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano (in seguito soprannominato Emiliano o Africano Minore). Non è dato sapere con certezza se venne in Spagna al seguito dell'esercito di Scipione, oppure se si trovasse già in precedenza a servire nel contingente che, con scarso successo, da tempo cingeva d'assedio Numanzia. Sta di fatto che Mario parve fin dall'inizio molto interessato a far carriera politica in Roma stessa. Infatti si candidò per la carica di tribuno militare di una delle 4 prime legioni (in tutto i tribuni elettivi erano 24, mentre tutti gli altri venivano nominati dai magistrati preposti agli arruolamenti). Lo storico Sallustio ci informa che il suo nome era del tutto sconosciuto agli elettori, ma che alla fine i rappresentanti delle tribù lo elessero per merito del suo eccellente stato di servizio. Successivamente si ha notizia di una sua candidatura alla carica di questore ad Arpino, forse conseguente ad un'estromissione dalle cariche da lui qui precedentemente ricoperte. Queste informazioni sono contraddittorie e difficili da interpretare: il fatto che aspirasse a diventare tribuno dimostra come egli fosse più interessato alla politica della capitale che non a quella del paese di origine. È probabile che egli utilizzasse le posizioni di comando ad Arpino per raccogliere dietro di sé un consistente numero di seguaci su cui fare affidamento per le successive mosse che aveva in animo di compiere. Tuttavia sono solo congetture in quanto nulla si conosce della sua attività come questore.
Nel 120 a.C. Mario fu confermato tribuno della plebe per il 119 a.C.. A quanto sembra aveva già concorso alla carica nel 121 a.C., ma senza successo. Un ruolo determinante ebbe, nell'occasione, il sostegno del suo patrono, l'influente Cecilio Metello, circostanza questa che conferma la tesi secondo cui la famiglia di Mario non era affatto di umili origini. Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l'altro, una legge che limitava l'influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni. Negli anni intorno al 130 a.C. si era introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le nomine dei magistrati, per l'approvazione delle leggi e per l'emanazione delle sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale. Poiché i nobiles cercavano sistematicamente di influenzare l'esito dei ballottaggi con la minaccia di controlli ed ispezioni, Mario fece approvare un'apposita legge per far costruire uno stretto corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto nell'urna al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti. In conseguenza di ciò Mario si alienò la potente gens dei Metelli, che da quel momento in poi diventarono suoi fieri oppositori.
Successivamente Mario si candidò per la carica di edile curule (magistratura romana solitamente riservata ai patrizi e incaricata della realizzazione di opere pubbliche). Avendo perso l'elezione, ritentò presentandosi la seconda volta come edile plebeo, ma ancora senza successo. Plutarco riferisce che le due elezioni ebbero luogo nello stesso giorno, ma gli storici moderni ritengono la cosa molto improbabile, per ragioni organizzative. Nel 116 a.C. riuscì, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l'anno successivo (a quanto pare si classificò solo al sesto posto), e fu immediatamente accusato di brogli elettorali (il termine latino è ambitus.) Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica in Roma per un anno senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Fu pretore urbano (praetor urbanus) e anche pretore itinerante (praetor peregrinus), in pratica presidente della commissione preposta alla riscossione dei tributi fuori da Roma. Nel 114 a.C. il mandato (imperium) di Mario fu prorogato, e gli fu assegnato il governo della Spagna ulteriore, o Lusitania, nel territorio dell'odierno Portogallo, dove fu necessario intraprendere alcune campagne militari di secondaria importanza. Sembra che la carica di governatore in Spagna a quel tempo durasse due anni, e infatti fu sostituito nel 113 a.C..
Al suo rientro a Roma non gli fu concesso il trionfo, e, a quanto pare, non si candidò nemmeno al consolato. Tuttavia si sposò con Giulia, zia, niente meno, che di Giulio Cesare. La gens Giulia era una famiglia patrizia di antichissime origini (faceva risalire il proprio patriarca a Iulo, figlio di Enea), ma, nonostante ciò, i suoi appartenenti avevano avuto tradizionalmente notevoli difficoltà a ricoprire cariche più elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio Cesare era stato console). A giudicare da questo matrimonio si dovrebbe dedurre che Mario aveva raggiunto una ragguardevole posizione nella scala sociale. Suo figlio nacque nel 109 (o 108) a.C., quindi il matrimonio probabilmente fu contratto nel 110 a.C..
[modifica] Legato di Metello
Come abbiamo visto, la famiglia di Mario era per tradizione cliente dei Metelli, e Cecilio Metello aveva appoggiato la campagna elettorale di Mario per il tribunato. Sebbene i rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console nel 109 a.C., prese con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta. I legati erano originariamente semplici rappresentanti del Senato, ma, gradualmente, era invalso l'uso di adibirli a compiti di comando alle dipendenze dei comandanti generali. Quindi, molto probabilmente, Metello ottenne che il Senato nominasse Mario legato, in modo che potesse servire alle sue dipendenze nella spedizione che si accingeva a compiere in Numidia. Nel lungo e dettagliato racconto che Sallustio ci fa di questa campagna militare, non si fa menzione di altri legati, e ciò lascia pensare che Mario fosse quello di rango più elevato, nonché braccio destro dello stesso Metello. Questo rapporto conveniva ad entrambi, in quanto, mentre Metello si avvantaggiava dell'esperienza militare di Mario, questi rafforzava le sue possibilità di aspirare in seguito al consolato. Va osservato che, se la gravità della rottura con Metello del 119 a.C., alla luce di quanto avvenne in seguito, fu probabilmente riferita in modo esagerato, quella che si determinò riguardo la condotta della guerra in Numidia fu invece molto più seria e foriera di conseguenze.
[modifica] Candidatura al consolato
Nel 108 a.C. Mario si convinse che i tempi erano maturi per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare il tempo necessario per potersi candidare insieme al figlio ventenne dello stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta l'estate del 108, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa, allentando notevolmente la rigida disciplina militare, e di accattivarsi anche i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto, in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta. Entrambi questi influenti gruppi si affrettarono a inviare a Roma messaggi in appoggio di Mario, con cui si suggeriva di affidargli il comando, e si criticava Metello per il modo lento e inconcludente con cui stava conducendo la campagna militare. In effetti la strategia di Metello prevedeva una lenta, metodica e capillare sottomissione di tutto il territorio. Alla fine Metello dovette cedere, rendendosi conto, a ragione, che non gli conveniva mettersi contro un subordinato tanto influente e vendicativo.
In queste circostanze è facile immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108, fu eletto console per l'anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva sull'accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra contro Giugurta. Viste le ripetute batoste militari subite negli anni fra il 113 e il 109, nonché le accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell'oligarchia dominante, è facile comprendere come l'onesto uomo fattosi da sé, e affermatosi percorrendo faticosamente tutti i gradini della carriera, fu eletto a furor di popolo, essendo visto come l'unica alternativa ad una nobiltà divenuta corrotta e incapace. Tuttavia il Senato aveva ancora un asso nella manica. Infatti la lex Sempronia stabiliva che il Senato aveva facoltà di decidere ogni anno quali province dovessero essere affidate ai consoli per l'anno successivo. Alla fine dell'anno, e appena prima delle elezioni, il Senato decise di sospendere le operazioni contro Giugurta e di prorogare a Metello il comando in Numidia. Mario non si perse d'animo e si servì di un espediente già sperimentato nell'anno 131 a.C.. In quell'anno si era stati infatti in disaccordo su chi avrebbe dovuto comandare la guerra contro Aristonico in Asia, e un tribuno aveva fatto approvare una legge che autorizzava un'apposita elezione per decidere a chi affidare il comando (per la verità c'era stato un altro precedente in occasione della seconda guerra punica). Mario fece approvare una legge simile anche in quell'anno (108 a.C.), risultando eletto a grande maggioranza. Metello ne fu profondamente offeso, tanto che, al suo ritorno, non volle nemmeno incontrarsi con Mario, dovendosi accontentare del trionfo e del titolo di Numidico che gli vennero generosamente concessi.
[modifica] Riforma del sistema di reclutamento
Mario aveva un estremo bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di un'importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la portata. Tutte le riforme agrarie attuate dai Gracchi si basavano sul tradizionale principio secondo cui erano esclusi dal servizio di leva i cittadini il cui reddito era inferiore a quello stabilito per la quinta classe di censo. I Gracchi, con le loro riforme, avevano cercato di favorire i piccoli proprietari terrieri, che da sempre avevano costituito il nerbo degli eserciti romani, in modo da fare aumentare il numero di quelli che avevano i requisiti per essere arruolati. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, la riforma agraria non risolse la crisi del sistema di arruolamento, che aveva avuto lontana origine dalle sanguinose guerre puniche del secolo precedente. Si cercò quindi di trovare una soluzione semplicemente abbassando la soglia minima di reddito per appartenere alla quinta classe da 11.000 a 3.000 sesterzi, ma nemmeno questo fu sufficiente, tanto che già nel 109 a.C. i consoli erano stati costretti a derogare dalle restrizioni sugli arruolamenti imposte dalle leggi graccane. Nel 107 a.C. Mario ruppe ogni indugio e decise di arruolare senza alcuna restrizione riguardo il censo e le proprietà fondiarie del potenziale soldato. D'ora in avanti le legioni di Roma saranno composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti del proprio generale, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del Senato, composto dai rappresentanti dell'oligarchia dominante, ed anche quando andava contro il pubblico interesse, che, a quell'epoca, veniva di fatto impersonato dal Senato stesso. Va notato che Mario, persona fondamentalmente corretta e fedele alle tradizioni, non si avvalse mai di questa potenziale enorme fonte di potere, ma passeranno meno di vent'anni che il suo ex questore Silla, lo farà per imporsi contro il Senato e contro lo stesso Mario.
[modifica] Guerra in Numidia
Ben presto Mario si rese conto che concludere la guerra non era così facile come egli stesso si era in precedenza vantato di poter fare. Dopo essere sbarcato in Africa verso la fine del 107 a.C. costrinse Giugurta a ritirarsi in direzione Sud-Ovest verso la Mauritania. Nel 107 suo questore era stato nominato Lucio Cornelio Silla, rampollo di una nobile famiglia patrizia caduta economicamente in disgrazia. A quanto pare Mario non fu contento di avere alle proprie dipendenze un simile giovane dissoluto, ma, inaspettatamente, Silla dimostrò sul campo di possedere grandi qualità di comandante militare. Nel 105 a.C. Bocco, re di Mauritania e suocero di Giugurta, nonché suo riluttante alleato, si trovò di fronte l'esercito romano in avanzata. I romani gli fecero sapere di essere disponibili ad una pace separata e Bocco invitò Silla nella sua capitale per condurvi le trattative. Anche in questa circostanza Silla si dimostrò particolarmente abile e coraggioso; in effetti, Bocco rimase a lungo dubbioso se consegnare Silla a Giugurta oppure, come poi avvenne, Giugurta a Silla. Alla fine, Bocco fu convinto a tradire Giugurta, che fu subito consegnato nelle mani dello stesso Silla. La guerra era così conclusa. Poiché Mario era il comandante dotato di imperium e Silla militava alle sue dirette dipendenze, l'onore della cattura di Giugurta spettava interamente a Mario, ma era chiaro che gran parte del merito andava riconosciuto personalmente a Silla, tanto che gli fu consegnato un anello con un sigillo commemorativo dell'evento. Al momento la cosa non fece particolarmente scalpore, ma in seguito Silla si vanterà di essere stato il vero artefice della conclusione vittoriosa della guerra. Mario, intanto, si guadagnava fama di eroe del momento. Il suo valore stava per essere messo alla prova da un'altra grave emergenza che incombeva su Roma e sull'Italia.
[modifica] Cimbri e Teutoni
L'arrivo in Gallia del popolo dei Cimbri e la vittoria da loro conseguita su M. Giunio Silano, il cui esercito fu totalmente annientato, aveva provocato un inizio di ribellione da parte delle tribù celtiche che erano state di recente assoggettate dai romani nella parte meridionale del paese. Nel 107 a.C. il console L. Cassio Longino venne completamente sconfitto da una tribù locale, e l'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti (C. Popilio Lenate), figlio del console dell'anno 132, riuscì a mettere in salvo quanto restava delle forze romane solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti ed aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo, in mezzo allo scherno dei vincitori. L'anno successivo (106 a.C.) un altro console, Q. Servilio Cepione, marciò contro le tribù stanziate nella zona di Tolosa, che si erano ribellate a Roma, e si impossessò di un'enorme somma di denaro custodita nei santuari dei templi (l'oro di Tolosa). La maggior parte di questo tesoro sparì misteriosamente durante il trasporto verso Massilia (l'odierna Marsiglia). Cepione fu confermato nel comando anche per l'anno successivo, mentre uno dei nuovi consoli, Cn. Mallio Massimo, si unì a lui nelle operazioni in Gallia meridionale. Al pari di Mario, anche Mallio era un uomo nuovo, e la collaborazione fra lui e Cepione si dimostrò subito impossibile.
I popoli di Cimbri e dei Teutoni erano entrambi composti da tribù di ceppo germanico che, nel corso delle proprie migrazioni, erano apparse sul corso del fiume Rodano proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia egli si rifiutò di unire le forze dei due eserciti, e si mantenne a debita distanza dal collega. I Germani approfittarono della situazione e, dopo aver sbaragliato Cepione, distrussero anche l'esercito di Mallio il 6 ottobre del 105 a.C. presso la città di Arausio. I Romani dovettero combattere con il fiume alle spalle che impediva loro la ritirata, e, stando alle cronache, furono uccisi 80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Le perdite subite nel decennio precedente erano state molto gravi, ma questa sconfitta, provocata soprattutto dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci capi militari non nobili, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro l'oligarchia aveva raggiunto ormai l'esasperazione.
[modifica] Rielezioni di Mario al consolato
Nell'autunno del 105, mentre si trovava ancora in Africa, Mario fu rieletto console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara, e inoltre una legge successiva all'anno 152 a.C. imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra due consolati successivi, mentre una del 135 a.C. sembra che proibisse addirittura che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare sopra ad ogni legge e consuetudine, e Mario, ritenuto il più abile comandante disponibile, fu rieletto console per 5 ben volte consecutive (dal 104 al 100 a.C.), cosa mai avvenuta in precedenza. Al suo ritorno a Roma, il 1 febbraio 104 a.C., vi celebrò il trionfo su Giugurta, che fu prima portato come un trofeo in processione, e infine giustiziato in carcere. Nel frattempo i Cimbri si erano diretti verso la Spagna, mentre i Teutoni vagavano senza una meta precisa nella Gallia settentrionale, lasciando a Mario il tempo di approntare il proprio esercito, curandone in modo molto attento l'addestramento e la disciplina. Uno dei suoi legati era ancora L. Cornelio Silla, e questo dimostra che in quel momento i rapporti fra i due non si erano ancora deteriorati. Sebbene avrebbe potuto continuare a comandare l'esercito in qualità di proconsole, Mario preferì farsi rieleggere console fino all'anno 100, in quanto questa posizione lo metteva al riparo da eventuali attacchi di altri consoli in carica. L'influenza di Mario divenne in quel periodo talmente grande che era addirittura in grado di influenzare la scelta dei consoli che in ogni anno dovevano essere eletti insieme a lui, e pare che egli facesse in modo che venissero scelti quelli che riteneva più malleabili. Nel 103 a.C. i Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Spagna ed in Gallia, e questo fatto, insieme alla morte del console collega L. Aurelio Oreste, consentì a Mario, che stava già marciando verso nord, di rientrare a Roma per venirvi confermato console per l'anno 102, insieme ad un nuovo collega.
[modifica] Resa dei conti con i Germani
Nel 102 a.C. i Cimbri dalla Spagna tornarono in Gallia, e, insieme ai Teutoni, decisero di invadere l'Italia. Questi ultimi avrebbero dovuto puntare a Sud dirigendosi verso le coste del Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell' Italia settentrionale da Nord-Est attraversando il passo del Brennero. Infine i Tigurini, la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino nel 107 pensavano di attraversare le Alpi provenendo da Nord-Ovest. La decisione di dividere in questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani, avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le proprie forze laddove era di volta in volta necessario.
[modifica] Battaglia di Aquae Sextiae
Nel frattempo Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata. I soldati erano stati sottoposti ad un addestramento che mai in precedenza si era visto, ed erano abituati a sopportare senza lamentarsi le fatiche delle lunghe marce di avvicinamento, dell'allestimento degli accampamenti e delle macchine da guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Dapprima decise di affrontare i Teutoni, che si trovavano in quel momento nella provincia della Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi. In un primo momento rifiutò lo scontro, preferendo arretrare fino ad Aquae Sextiae (l'attuale Aix en Provence), un insediamento fondato da C. Sestio Calvo, console nel 109 a.C., in modo da sbarrare loro il cammino. Alcuni contingenti di Ambroni, avanguardia dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, e 30.000 di essi rimasero uccisi. Mario schierò poi un contingente di 3.000 uomini per tendere un'imboscata al grosso dell'esercito dei Germani, che presi alle spalle e attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000 uomini.
[modifica] Battaglia dei Campi Raudii (Vercelli)
Il collega di Mario Quinto Lutazio Càtulo, console nel 102, non ebbe altrettanta fortuna, non riuscendo a impedire che i Cimbri forzassero il passo del Brennero avanzando nell'Italia settentrionale verso il finire del 102 a.C.. Mario apprese la notizia mentre si trovava a Roma, dove fu rieletto console per l'anno 101 a.C. e vi celebrò il trionfo per la vittoria contro i Teutoni. Immediatamente si mise in marcia per ricongiungersi con Catulo, il cui comando fu prorogato anche per il 101. Infine, nell'estate di quell'anno, a Vercelli, nella Gallia Cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro decisivo. Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio sull'impeto dei barbari, e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono, mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, a questo punto, rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da Nord-Ovest e rientrarono nelle proprie sedi. Catulo e Mario, come consoli in carica, celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma, nell'opinione popolare, tutto il merito venne attribuito a Mario. In seguito Catulo si trovò in contrasto con Mario, divenendone uno dei più acerrimi rivali. Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Mario venne rieletto console anche per l'anno 100 a.C.. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi.
[modifica] Sesto consolato
Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopo di ché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente.
[modifica] Guerra sociale
Durante gli anni di assenza di Mario da Roma, e subito dopo il suo ritorno, Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità. Nel 95 a.C., tuttavia, fu approvata una legge che decretava che tutti coloro che non fossero cittadini romani, cioè coloro che provenivano da altre città italiane, dovessero essere espulsi da Roma. Nel 91 a.C. Marco Livio Druso fu eletto tribuno e propose una grande distribuzione di terre appartenenti allo stato, l'allargamento del senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di tutte le città italiane. Il successivo assassinio di Druso provocò l'immediata insurrezione delle città-stato italiane contro Roma, e la Guerra Sociale degli anni 91 a.C. - 88 a.C.. Mario fu chiamato ad assumere, insieme a Silla, il comando degli eserciti chiamati a sedare la pericolosa rivolta.
[modifica] Guerra nel Ponto e prima Guerra civile
Finita la guerra in Italia si aprì un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto, nel tentativo di allargare verso oriente i confini del suo regno, invase la Grecia. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell'inevitabile guerra contro Mitridate a Silla o Mario, Il senato, in un primo momento, scelse Silla. In seguito, tuttavia, soprattutto per intercessione di Publio Sulpicio Rufo, l'assemblea nominò Mario. Per tutta risposta Silla fece uscire di nascosto l'esercito da Roma, per poi farlo marciare contro la città. Mario fu sconfitto e dovette abbandonare precipitosamente Roma, rifugiandosi in esilio. Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell'87 a.C., mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con l'esercito.
[modifica] Settimo consolato e morte
Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, in Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio e quella popolare e radicale di Cinna, si inasprì sfociando in aperto scontro. A questo punto Mario, insieme al figlio, rientrò dall'Africa con un esercito ivi raccolto, e unì le proprie forze a quelle di Cinna, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio. Gli eserciti alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti del partito conservatore. Nel primo mese del suo mandato, tuttavia, all'età di 71 anni, Mario morì.
[modifica] Epilogo
Cinna fu in seguito rieletto console per altre due volte, per poi morire, vittima di un ammutinamento, mentre si dirigeva con l'esercito verso la Grecia. L'armata di Silla, dopo aver concluso vittoriosamente la campagna nel Ponto, rientrò in Italia sbarcando a Brindisi nell'83 a.C., e sconfisse il figlio di Mario, Gaio Mario il giovane che morì in combattimento a Preneste, alle porte di Roma. Gaio Giulio Cesare, nipote della moglie di Mario, sposò una delle figlie di Cinna. Dopo il ritorno di Silla a Roma si instaurò un regime di restaurazione che perpetrò le più feroci repressioni, tanto che Giulio Cesare fu costretto a fuggire in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla nel 78 a.C..