Diario del '71 e del '72
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[modifica] Diario del ’71 e del ’72
Il Diario del ’71 e del ’72, quinto libro di poesie di Eugenio Montale, fu pubblicato nel 1973 da Mondadori e contiene 90. Il libro non presenta sezioni interne, e le poesie si susseguono l’una l’altra senza un tema determinato e con la stessa forma già conosciuta in Satura.
[modifica] I temi dell'opera
I temi dell’opera sono quelli gia noti in Satura, ma ora vengono ripresi e approfonditi o visti con una luce diversa. La prima poesia dedicata a Leone Traverso dice chiaramente tutto il pessimismo di Montale che non è mai diminuito rispetto alla sua prima opera poetica, anzi è aumentato. Questa poesia si chiude con questi versi esemplari della Weltanschauung del poeta: << Mai fu gaio / né savio né celeste il mio sapere>>. Subito dopo viene “Come Zaccheo”, una poesia, che scritta in linguaggio epigrammatico, conferma tutto lo scetticismo di Montale verso il Grande Assente. Segue un’altra poesia di un tema già noto e cioè i dubbi sulla sua identità. Il primo verso della poesia I NASCONDIGLI afferma :<<Quando non sono certo di essere vivo/>>. Segue un’altra poesia che riprende il grande tema della presunta vita degli uomini sulla terra. E io credo che questo sia il grande tema di tutta l’opera montaliana. Montale sembra sostenere che gli uomini sono in realtà solo parvenze o ombre o ectoplasma che si muovono o che vivono ma in realtà gli uomini sono solo dei morti viventi o cadaveri che vivono. Tutti gli uomini non sono altro che sedicenti vivi cioè dei falsi viventi. Io credo che questa tesi abbia lo scopo di esorcizzare la catastrofica e terribile morte. Infatti affermando che i vivi non sono altro che morti viventi in un certo qual modo l’uomo si libera dalla morte e la si esorcizza liberandoci da essa o facendola apparire meno macabra e terribile così come è di fatto. Ma la poesia che spiega questa drammaticità della vita degli uomini è scritta nell’ultima sua opera poetica “Altri versi” e precisamente nella poesia “ Ho tanta fede in te” quando scrive:<<So che oltre il visibile e il tangibile / non è vita possibile ma l’oltrevita / è forse l’altra faccia della morte / che portammo rinchiusa in noi per anni e anni>>. Dunque noi uomini ci portiamo la morte dentro noi, e noi non siamo (o saremmo) allora che cadaveri in movimento. Di fronte a questa terribile realtà, credo che Montale abbia fatto l’estremo tentativo di salvarci da essa, dicendosi appunto quello che siamo: cadaveri che camminano e pensano. Questa terribile e terrificante realtà non può essere vinta nemmeno da Dio e nemmeno dagli Dèi e nessuno è tanto sciocco da credere che dopo la morte tutto ricomincia eguale come prima. Questa è l’ultima parola di Montale come egli scrive nella bellissima poesia “Poiché la vita fugge” il cui finale costituisce la parola più vera e cruda di Montale:<<C’è chi dice che tutto ricomincia / eguale come copia ma non lo credo/ neppure come augurio. L’hai creduto / anche tu? Non esiste a Cuma una sibilla / che lo sappia. E se fosse nessuno / sarebbe così sciocco da darle ascolto>>. Su come esorcizzare l’umanità dalla morte Montale dà due soluzioni: la prima è quella di morire senza saperlo come il poeta scrive nel 4° Xenia I. Ecco il celebre testo.
Avevamo studiato per l’aldilà
Un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
Che tutti siamo già morti senza saperlo.
La seconda soluzione è quella dove dice che non c’è morte dove mai vi fu vita. Il tempo è alleato della morte. Più esso trascorre più i ricordi sfumano e la vita diventa oscura ed in conoscibile. Ecco dunque la prima poesia esplicita dove Montale descrive un mondo di morti viventi o viventi-morti. Il titolo della poesia è IL TUFFATORE.
[modifica] Altre poesie dell'opera
Dopo alcune poesie sarcastiche sulla società italiana definita “IL TRIONFO DELLA SPAZZATURA” si arriva a una poesia molto polemica che si scaglia contro il poeta Pasolini, che aveva censurato Satura. In questa poesia LETTERA A MALVOGLIO Montale fa i conti con la società italiana degli anni del boom economico e dileggia con Pasolini tutti gli intellettuali che avevano tratto guadagni dalla società utilitaristica di allora. Il poeta afferma che lui non ha mai fatto compromessi con i potenti, né con i potenti del fascismo, né quanto meno ora con i nuovi potenti dell’Italia del boom economico. Emerge la figura di un poeta solitario, ma coerente con i suoi principi di alta moralità e di onestà intellettuale che non vuol partecipare ad un mondo corrotto e fatto di disonore e di indecenza. Il poeta afferma che lui non ha mai fuggito gli impegni politici ma ha preso un rispettabile prendere le distanze. E se ciò non fu difficile al tempo del fascismo, diventa più giusto ora, cioè in un periodo dove l’onore e l’indecenza hanno fondato l’ossimoro permanente ed è l’ora della focomelia concettuale e il distorto è il dritto, su ogni altro derisione e silenzio. Il poeta non fa come ha fatto invece Pasolini il quale rimescolando agilmente materialismo storico e pauperismo evangelico ha in effetti preso del denaro da un ambiente corrotto. Il poeta termina affermando che lui è rimasto coerente con la fuga immobile e che ancora per lui la partita è aperta, mentre per Pasolini la partita è chiusa perché questo tempo corrotto finirà presto:<<che la partita è chiusa per chi rifiuta /Le distanze e s’affretta come fai tu, Malvoglio,/ perché sai che domani sarà impossibile anche / alla tua astuzia>>. Un altro tema già noto che viene riprese nel Diario del’71 e del’72 è la ricerca della felicità fuori dal tempo. E Montale ribadisce questa idea nella bellissima poesia La PENDOLA A CARILLON. Dopo altre poesie di vario genere, arriva la poesia “Sulla spiaggia” dove è evidente tutto il sarcasmo e si potrebbe dire il disprezzo che ha Montale per la gente vacanziera definita “lemuri”. Una caratteristica formidabile di Montale è certamente quella di mischiare e di chiamare le divinità e chiamarla con molti nomi diversi. Egli in pratica mischia cultura classica con la cultura cattolica in un gioco che lascia sconcertato il lettore. Alcune volte parla bene degli Dèi antichi, altre volte parla bene del Dio cristiano, altre volte parla male sia degli Dèi che di Dio. Alcune volte Chiamo Dio il Proto, altre volte lo chiamo semplicemente Altro. Certe volte sembra lodare gli antichi Dèi e certe volte incattivirsi con il Dio dei cristiani. Come fa nella poesia NON C’E’ MORTE. E questo miscuglio o accozzaglia di DEI e di DIO accresce la confusione e non si capisce se Montale tenga di più per gli Dèi che per Dio. Dopo la poesia NON C’E’ MORTE arriva un’altra bella poesia dedicata ad ANNETTA, che lontanamente fa pensare “A Silvia” del Leopardi. Ma ciò che più conta che in questa poesia Montale chiami gli uomini “I sedicenti vivi” e ciò conferma la sua visione di vita degli uomini come ectoplasmi. Segue poi un’altra poesia nella quale Montale chiama Dio Artefice confondendo ancor di più la numerosa nomina del divino, come se volesse dirci che questa gran quantità di soprannomi per Dio non è altro che una banalizzazione di Dio, il quale rimane un ‘essenza” sconosciuta ed incomprensibile e quindi lo riduce ad un essere innocuo e ininfluente sugli uomini. In un’altra poesia dal titolo IL MIO OTTIMISMO, Montale ironizza sul Dio Absconditus e sparla dei chierici neri ed elogia invece un generico Artefice a cui non chiede nulla. Subito dopo seguono due epigrammi nei quali Dio è solo e ciò che gli compete è solo affare suo e non è affare nostro. Segue subito dopo la poesia “Si deve preferire” che termina mettendo in risalto l’indifferenza degli Dèi. Ecco gli ultimi versi:<<Ma neppure questione / perché non c’entra la volontà. / essa vuole soltanto differire / e differire non è indifferenza. Questa è soltanto degli Dèi, / non certo / dell’uomo tra gli scogli>>. Subito dopo segue la poesia “Sorapis, 40 anni dopo” il cui bel finale mitiga molto tutto il pessimismo montaliano:<<Scoprimmo allora che cos’è l’età./ Non ha nulla a che fare col tempo, è qualcosa che dice/ che ci fa dire siamo qui, è un miracolo/ che non si può ripetere. Al confronto / la gioventù è il più grave degli inganni>>. Compariva sulla pagina poetica un’umanità fatta in serie, con si suoi miti vacanzieri, devitalizzata, abbassata al livello di <<lemuri>>, fondata su un falso spirito evangelico, su fedi vuote e transitorie, assurte a mezze verità>>.
[modifica] Aspetti estetici di “Diario del ’71 e del ’72
Dopo aver apprezzato la svolta poetica di Satura e dopo aver adottato una forma nuova rispetto alla Bufera e altro, fatta di uno stile alto e molto vicino all’ermetismo fiorentino, Diario del ’71 e del ’72 ripropone gli stessi temi di Satura (anche ne approfondisce alcuni visti sotto una luce diversa.). Per questi motivi il quinto libro Diario del ’71 e del ’ 72 è per alcuni aspetti il libro meno vivace e meno nuovo dell’ultima produzione montaliana. I temi già conosciuti, la forma già nota fanno di questo libro solo una raccolta poetica di transizione e di raccoglimento verso lo scatto finale degli ultimi tre libri nei quali Montale riprende a scrivere di nuovo altre bellissime poesie e a dare una impennata verso la bellezza poetica a lui congenita. Non per questo non mancano aspetti estetici:
- La conferma della felicità nel fuordeltempo.
- La polemica e la difesa da Pier Palo Pasolini;
- La varietà dei toni e la varietà dei nomi usati per indicare Dio,
- La conferma della vita degli uomini come morti ectoplasmi e infine
- La forma quasi realistica e il linguaggio tra prosa e poesia costituisco i soliti mortivi estetici di quest’opera poetica.