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Dialetto abruzzese

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Indice

[modifica] Classificazione

I dialetti abruzzesi sono i dialetti parlati nei diversi comuni e villaggi che costituiscono la regione amministrativa Abruzzo. Secondo criteri scientifici, questi dialetti possono essere suddivisi in 6 macro-aree:

  • l'Ascolano, parlato nei comuni della Val Vibrata a confine fra le provincie di Teramo e Ascoli Piceno
  • l'Abruzzese adriatico, relativamente omogeneo fino alla dorsale appenninica, parlato nel grosso delle provincie di Teramo, Pescara e Chieti
  • l'Aquilano, parlato a nord e ad ovest della città dell'Aquila
  • il Marsicano-Aquilano orientale, parlato nella Marsica e ad est della città dell'Aquila
  • il Peligno, parlato nel circondario di Sulmona (L'Aquila) e nell'area appena ad est delle gole di Popoli
  • numerose aree di transizione, per lo più coincidenti con zone conservative e arcaicizzanti della provincia dell'Aquila, come Pescocostanzo ed Ateleta, alcune aree attorno a Sulmona, Barisciano e la sua Baronia, oppure zone dove il turismo (in questo caso partenopeo) negli anni ha alterato alcuni vocaboli d'uso comune come a Roccaraso e Castel di Sangro.

[modifica] Fonetica

[modifica] Metafonesi

Questo fenomeno colpisce le vocali toniche é, è, ó, ò (chiuse/aperte) del sistema romanzo comune, quando la vocale finale della parola originaria latina è i oppure u. In particolare, ciò avviene per i sostantivi e gli aggettivi maschili singolari (terminazione latina -um) e plurali (terminazione latina -i), rispetto ai corrispondenti femminili singolari e plurali (terminazioni -a, -ae).

La metafonesi é tipica dell'Italia centro-meridionale, che include le Marche fino alla provincia di Macerata, l'Umbria al di quà del Tevere con Spoleto, Foligno, Terni, e la Sabina fino alle porte di Roma. Invece nel toscano, così come nell'italiano standard, la metafonesi non esiste. L'Abruzzo adriatico costituisce una zona a sé stante, in quanto vi si presenta solo la metafonesi da u finale. Gli esiti delle vocali alterate sono però diversi a seconda della zona.

La é e la ó passano normalmente a i e, rispettivamente, u. Facendo qualche esempio tratto dalla parlata di Ortona (Chieti), si ha così: nìrë 'neri', ma nérë 'nero', e gëlùsë 'gelosi', ma gëlósë 'geloso'. Le vocali aperte è, ò possono invece avere due esiti differenti. Il primo tipo di metafonesi, talvolta detto "sabino" perché tipico, tra le altre zone, della Sabina ivi compresa L'Aquila, prevede la chiusura di dette vocali a é, ó. Così, all'Aquila si ha: bégliu 'bello', ma bèlla 'bella', e bónu 'buono', ma bòna 'buona'. L'altro tipo di metafonesi è quello "napoletano" o "sannita", tipico di larga parte dell'Italia centro-meridionale. Essa prevede la dittongazione, generalmente con esito ié, uó. Nel dialetto napoletano si ha, ad esempio: viécchjë 'vecchio', ma vècchja 'vecchia', e nuóvë 'nuovo', ma nòva 'nuova'. Molto spesso, il dittongo è ritratto sul primo componente, e così l'esito metafonetico diventa ì, ù. Ciò accade, limitatamente alla metafonesi da -i, ad esempio a Pescara: vìcchjë 'vecchi', o nùvë 'nuovi'.

La situazione in Abruzzo è quanto mai complessa. Il tipo sabino è tipico della macro-area aquilana e di quella marsicana-aquilana orientale, incluse le città dell'Aquila e di Avezzano. La metafonesi sannita domina invece la macro-area peligna, con Sulmona stessa, e quella ascolana. Nell'Abruzzo adriatico, invece, si ha solo metafonesi da -i, di tipo sannita (così a Pescara, Chieti, Teramo, Lanciano, Vasto, Ortona). La situazione è in realtà più complessa di questo semplice schema, con diverse aree di transizione ed eccezioni motivate da particolarità storiche.

[modifica] Isocronismo sillabico

Buona parte del sistema vocalico romanzo comune è stato successivamente alterato, in alcune zone, da una corrente linguistica che ha provocato l'apertura in è, ò delle vocali chiuse é, ó in sillaba complicata, ovvero nelle sillabe che terminano con una consonante, e la contemporanea chiusura in é, ó delle vocali aperte è, ò in sillaba libera, ovvero nelle sillabe che terminano con la vocale stessa. Questo fenomeno può essere anche parziale, limitato alla sola chiusura delle toniche aperte in sillaba libera. Un esempio tratto dal dialetto di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), che presenta l'isocronismo sillabico in maniera completa é: strèt-ta 'stretta', ma né-ra 'nera', e pé-dë 'piede', ma ròs-cia 'rossa'.

In Abruzzo, una zona adriatica isocronica si oppone ad una appenninica non isocronica. Ma il confine è alquanto spostato ad occidente, cosicché la macro-area peligna (con Sulmona stessa) e parte di quella marsicano-aquilano orientale vanno insieme all'area adriatica di Chieti e Pescara. Viceversa, Teramo e la macro-area ascolana condividono l'assenza di isocronismo con l'aquilano e la parte occidentale della Marsica.

[modifica] Frangimenti delle vocali toniche

Questo fenomeno consiste nell'alterazione delle vocali toniche tanto nell'apertura quanto nel timbro, dando luogo a svariati esiti, dittonghi, palatalizzazioni, ecc. Il risultato è quella "babele" linguistica che spesso porta a ritenere assolutamente diversi i dialetti di centri vicini che magari, ad un'analisi più scientifica, presentano invece caratteristiche del tutto simili. Inoltre, questo tratto dialettale è spesso avvertito dagli stessi parlanti come "arcaicizzante" e quindi sconveniente rispetto a parlate più regolari e perciò più "moderne". In alcuni centri, in cui pure si è manifestato in passato, è stato pertanto dapprima reso facoltativo, poi del tutto rimosso.

I diversi tipi di frangimenti possono essere raggruppati in poche categorie. Un primo tipo riguarda le sole vocali chiuse in sillaba libera, mentre un secondo tipo incondizionatamente tutte le toniche chiuse. Un esempio di sistema vocalico del primo tipo è quello di Roccascalegna (Chieti), nel quale le vocali é, ó, ed anche ì, ù, in sillaba libera, vengono dittongate: nèirë 'nera', ma stréttë 'stretta'; gëlàusë 'gelosa', ma róscë 'rossa'; fòilë 'filo', ma rìcchë 'ricco'; mèurë 'muro', ma brùttë 'brutto'

Come esempio del secondo tipo, si può prendere Cellino Attanasio (Teramo), dove é, ó si aprono a ò, à molto larghe (quest'ultima velare), tanto in sillaba libera che complicata: pòlë 'pelo', e stròttë 'stretto'; gëlàsë 'geloso', e ràscë 'rosso'.

Talvolta, i due tipi di frangimenti sono entrambi presenti, certo per via di due correnti linguistiche non contemporanee, come a Vasto e Monteodorisio (Chieti), dove prima si fransero le é, ó originarie, e poi anche quelle risultanti da isocronismo sillabico in sillaba libera: nàirë 'nero', e stràttë 'stretto'; gëlàusë 'geloso', e ràscë 'rosso'; fèilë 'filo', e rècchë 'ricco'; mìurë 'muro', e brìttë 'brutto'; néuvë 'nuovo'.

[modifica] Indebolimento delle vocali atone

E' sicuramente una delle caratteristiche più vistose, e più note anche ai meno esperti, dei dialetti centro-meridionali. In tutte le parlate dell'Abruzzo, tranne che in quelle della macro-area aquilana, e delle propaggini più occidentali della Marsica, le vocali atone, cioè non accentate, tendono a confluire nell'unico esito "neutro", qui rappresentato con la grafia ë. Nella Marsica e nella metà occidentale dell'area Peligna la a in posizione finale rimane esclusa da questo fenomeno, mentre nell'Abruzzo adriatico anch'essa confluisce nel suono neutro.

[modifica] Palatalizzazione

La palatalizzazione di l e ll davanti a i e u originarie latine non riguarda tutta l'Italia centro-meridionale, ma solo una sua porzione, prevalentemente appenninico-tirrenica e rivolta a sud. Consiste nella palatalizzazione dei nessi li, lu, lli, llu che hanno come esito normalmente ji, ju, gli, gliu. Altri esiti particolari sono quelli cacuminali della Valle d'Orta (ghju, ddu, ecc.) e della Valle del Sagittario nel passato (zzu), entrambi ampiamente studiati.

La palatalizzazione è il fenomeno che distingue le parlate dei contadi novertino e reatino da quelle aquilane. Queste ultime presentano infatti palatalizzazione - e all'Aquila gli articoli maschili sono ji, ju - mentre le prime ignorano tale fenomeno - e a Rieti gli articoli sono li, lu -. La Marsica è uniformemente interessata dalla palatalizzazione, mentre l'area Peligna è attraversata dall'isoglossa che divide le due zone, così come per la perdita di -a. L'Abruzzo adriatico e l'Ascolano, a parte alcune aree montane, non conoscono palatalizzazione.

[modifica] Altri fenomeni

La metafonesi di à, limitatamente alle finali in -i è tipica del versante adriatico. Come esempio, ad Ortona si ha lu cànë 'il cane', ma li chiènë 'i cani'.

I nessi formati da occlusiva + l si sono normalmente palatalizzati come in italiano: bianco da blancu(m), chiave da clave(m), piano da planu(m), fiume da flume(n). In certi casi, però, alcuni nessi si sono conservati con l e addirittura rafforzati a pr, br, fr, ecc. Ma tale fenomeno è guizzante sul territorio, e non se ne può tracciare un areale geografico. Invece nel lembo meridionale dell'Abruzzo si trova eco dell'esito pl>chj che è diffuso nell'Italia meridionale.

La caduta di v- in posizione iniziale e spesso anche intervocalica è un fenomeno tipico dell'Aquilano. Nelle frazioni dell'Aquila si ha ad esempio l'àlle 'la valle'.

La propagginazione consiste nell'inserimento della sillaba tonica, immediatamente prima della vocale accentata, della u o i della sillaba precedente, in genere quella degli articoli maschili singolare e plurale. Il fenomeno si presenta quasi sempre limitato alla sola u, ed ha un aerale guizzante.

Fenomeni generali, comuni all'intera Italia centro-meridionale sono l'assimilazione di mb, nd in mm, nn, come in sammuchë 'sambuco', mónnë 'mondo'; la sonorizzazione delle consonanti dopo n, m ed anche di s dopo r, come in fóndë 'fonte', càmbë 'campo', órzë 'orso', ecc., e la resa -r- del nesso latino -rj-.

[modifica] Morfologia

[modifica] Sostantivi

In qusi tutti i dialetti, i sostantivi sono maschili o femminili. Il neutro romanzo, anche detto "neutro di materia", interessa alcune aree, soprattutto nell'aquilano. Ad esempio, forme come lo pà(ne), lo vì(no) sono in opposizione al maschile ju quatrànu.

Le forme del plurale dei sostantivi rimangono quelle del romanzo comune: -i per i nomi maschili, -e per quelli femminili. Ma la -i dei maschili ha provocato il fenomeno della metafonesi, che si riflette sulla vocale tonica precedente. Nei dialetti dove le vocali atone finali si sono indebolite e confluite nell'unico esito ë, la metafonesi resta così l'unico marchio del plurale.

[modifica] Sintassi

Una caratteristica del dialetto abruzzese in genere è quella dell'uso particolare del gerundio. Tale forma verbale viene esclusivamente utilizzata con il verbo andare mentre è praticamente assente con l'ausiliare essere. Ad esempio va purtenne la posta 'va portando la posta' nel caso si scelga di utilizzare il verbo essere diventa sta a purtà la posta, escludendo il gerundio.

[modifica] Lessico

Tipi lessicali abruzzesi diversi dall'italiano standard:

Alcuni esempi di opposizioni lessicali fra aree omogenee:

  • it. "ragazzo": tipo bardascio (Abruzzo adriatico), tipo quatrano/quatrale (Abruzzo interno)
  • it. "bambino": tipo frechino (Teramano), cìttolo (Pescarese-Chietino), quatranetto (Aquilano)
  • it. "testa": tipo capoccia (Marsica), coccia (resto d'Abruzzo), opp. ad es. a testa (Marche, Sicilia, Settentrione), capo,-a (Meridione, Lombardia, Toscana)

[modifica] Ortografia

La caratteristica fondamentale del dialetto abruzzese è la presenza della e muta, l'e finale atona che fa terminare molti vocaboli con un suono indistinto, smorzato ma che non arriva mai alla soppressione totale della vocale (bbéne, mèrle, muntagne, cumpagne, calde, fredde). Può essere soppressa nella scrittura solo se preceduta da una i accentata (allegrìe -> allegri', Ddìe -> Diì', vìe -> vì'). L'alfabeto abruzzese comprende anche altre due lettere:

  • la j (i lunga) che sostituisce l'italiano gl (pajare, bbersajere) e raddoppia se preceduta da vocale tonica (la paglia -> la pajje);
  • la ç (c con la cediglia) nelle parole che hanno un suono strisciante simile a sci e sce, ma più smorzato. Per una maggiore chiarezza è significativo questo esempio: caçe (cacio) e casce (cassa).

Infine sono da tener presenti alcune regole di pronuncia:

  • La p, preceduta da m, si pronucia b, per esempio lu campe si legge lu cambe;
  • s e t, preceduti da n, si leggono rispettivamente z e d (la cunsèrve -> la cunzèrve, lu vènte -> lu vènde);
  • c, preceduto da n, diventa g ( 'ncòlle [addosso] -> 'ngòlle, 'n cape [sul capo] -> 'n gape)
  • s davanti a t e d, nell'Abruzzese diventa un sibilo particolare che Finamore indica con una s con accento circonflesso al contrario (vocaboli d'esempio: štanze, šdoppie, šdentate).

È utile ricordare che non esiste un solo dialetto abruzzese e quindi le regole qui brevemente esposte sono soggette a variazioni, anche di notevole entità, a seconda della zona in cui ci si muove: ad esempio molti dialetti amano i dittonghi, altri li rifiutano. Le differenze possono essere così marcate da rendere i dialetti di zone geograficamente vicine mutualmente inintelligibili.

È anche importante tener conto del fatto che non esiste un'unica regola ortografica per trascrivere l'abruzzese; tale mancanza è probabilmente dovuta al fatto che l'eredita letteraria scritta di questo dialetto è minima. Tra i poeti contemporanei che hanno prodotto testi originali in abruzzese sono da ricordare Raffaele Fraticelli e Romolo Liberale

Esempi in dialetto Abruzzese:

  • "Ji vaje all'orte" (io vado all'orto -- titolo di una canzone)
  • "Mo ti ting' 'na sardella" (adesso ti do uno schiaffo - simpaticamente)

[modifica] Blasone popolare dei singoli dialetti

  • Caratteristici e di sorprendente originalità i dialetti di Bussi sul Tirino (Pescara) e Pratola Peligna (L'Aquila); nel primo centro, evidente l'origine spagnola della "e" di congiunzione che assume la forma di "y" (cfr. mù y ttù ovvero io e te).


[modifica] Bibliografia

  • Ernesto Giammarco, Manuale ortografico dei dialetti abruzzesi, prefazione di G. Bottiglioni, Pescara, Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958;
  • Ernesto Giammarco, Grammatica dei dialetti abruzzesi, fonologia, morfologia, sintassi con l'aggiunta di poesie e racconti inediti, Pescara, Ediz. "Attraverso l'Abruzzo", 1958;
  • Ernesto Giammarco, Appunti per la classificazione dei dialetti abruzzesi e molisani, Roma, Ateneo, 1965, P. 105-116, Estr. da: Abruzzo. Rivista dell'Istituto di studi abruzzesi, n. 1-2, a. 3., (1965);
  • Ernesto Giammarco, Dizionario abruzzese e molisano, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1: A-E, 1968; 2: F-M, 1969; 3: N-R, 1977; 4: S-Z, 1979; 5: LEA, Lessico etimologico abruzzese, 1985; 6: TAM, toponomastica abruzzese e molisana, 1990;
  • Ernesto Giammarco, Lessico etimologico abruzzese, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1985, Vol. 5. del DAM, Dizionario abruzzese e molisano,
  • Ernesto Giammarco, TAM, toponomastica abruzzese e molisana, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1990, vol. 6. del DAM, Dizionario abruzzese e molisano


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