Conoscenza tacita
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Il termine conoscenza tacita o implicita, o anche sapere tacito (in inglese, tacit knowledge), viene utilizzato nel campo delle discipline che studiano il funzionamento delle organizzazioni (sociologia del lavoro e delle organizzazioni, teoria di impresa, economia aziendale, management science, ecc.) e nel campo delle prassi consulenziali, per identificare «una conoscenza non codificata, non contenuta in testi o manuali, non gestita attraverso flussi comunicativi strutturati; ma una conoscenza che esiste nella testa degli individui, che nasce dall'esperienza lavorativa e che - come tale - si collega alla capacità di comprensione dei contesti di azione, intuizioni, sensazioni che difficilmente possono essere comprese da chi non condivide tale esperienza».
[modifica] La storia del concetto
Il termine "conoscenza tacita" diventa popolare con il testo dei due studiosi e consulenti giapponesi, Nonaka e Takeuchi, intitolato The Knowledge Creating Company (1995), scritto con l'intento di mettere in evidenza le complesse dinamiche sociali che stanno alla base della creazione della conoscenza nelle organizzazioni.
I processi generativi di conoscenza sono ricondotti dai due autori a processi dinamici di combinazione / conversione di conoscenza tacita e conoscenza implicita che possono aver luogo nelle organizzazioni, (vedasi figura).
La esternalizzazione, vale a dire la conversione di conoscenza tacita in conoscenza esplicita, messa a disposizione dell'organizzazione, è particolarmente complessa, non riconducibile a prassi gestionali codificabili una volta per tutte, ma al verificarsi di forme di interazione sociale che consentono di creare opportune forme comunicative. Attraverso il contributo di Nonaka e Takeuchi il termine conoscenza tacita diventa focale rispetto alle prassi aziendali di gestione della conoscenza (in inglese knowledge management).
Il modello di Nonaka e Takeuchi ispira anche soluzioni informatiche che aspirano a diventare enabler della riorganizzazione dei processi di combinazione / conversione delle conoscenze tacite ed esplicite.
Il termine conoscenza tacita, tuttavia, prima di Nonaka e Takeuchi, era stato utilizzato dal filosofo della conoscenza Michael Polanyi nel testo The Tacit Dimension (1966). A partire dall'affermazione che «noi sappiamo più di quanto sappiamo dire» lo studioso ungherese riconosce la esistenza di due dimensioni interdipendenti della conoscenza, nel senso che la dimensione esplicita della conoscenza si fonda sempre su una dimensione tacita precedentemente interiorizzata. Nonostante la conoscenza possa indubbiamente essere sempre opportunamente articolata e spiegata, la dimensione esplicita include sempre anche quella implicita.
Su un piano analogo si era già mosso anche il filosofo della conoscenza inglese Gilbert Ryle (The Concept of Mind, 1949) operando una distinzione tra "sapere come" ("know how") e "sapere che" ("know that"), essendo il primo fondato sull'esperienza ed il secondo su regole e procedure operative.
L'abilità di un investigatore, per fare un esempio, si fonda non solo sulla (necessaria) conoscenza di regole e di procedure operative, ma anche sulla capacità di adottare strategie di azione basate su capacità cognitive complesse (frutto di esperienza, di capacità di riflessione critica sulle esperienze effettuate, di intuito, di comprensione della specificità dei contesti, ecc.), non facili da verbalizzare e trasmettere ad altri. In questo senso è esatto dire che «noi sappiamo più di quanto sappiamo dire».
[modifica] I rilievi critici
Il concetto di conoscenza tacita, così come viene proposto da Nonaka e Takeuchi è generalmente accettato dalla comunità di coloro che si occupano di knowledge management, anche se sono state avanzate riserve sull'utilizzo che ne è stato fatto, oscillando tra la collocazione di tale concetto in una dimensione ineffabile della conoscenza (ripresa dalla cultura Zen) e l'attribuzione ad esso di una connotazione banalmente pragmatica di "conoscenza non ancora codificata".
Si preferisce in generale oggi - come già sembrava suggerire Polanyi - raggruppare le due dimensioni, tacita ed esplicita, della conoscenza nella categoria del "sapere pratico", elaborato da una comunità di attori sociali sulla base di risorse cognitive ed orientamenti comportamentali "situati", non contrapposto al sapere esplicito di natura tecnico professionale di cui la comunità dispone, ma costruito a partire da esso, attraverso esperienze condivise nella vita della comunità.
Tale impostazione, che mette al centro dell'attenzione, il concetto di comunità di pratica, ha trovato tra i principali interpreti lo studioso e consulente aziendale di origine svizzera Etienne Wenger ed è diventata un nuovo punto di riferimento per la pratica del knowledge management.