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Carè Alto

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Carè Alto

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Località: Pelugo
Altezza: 3.463 m s.l.m.
Catena: Adamello
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Nomi e significati:  
Data prima ascensione: 5 agosto, 1865
Autore prima ascensione: S.T. Taylor, e H.F. Montgomery
Si invita a seguire lo schema del Progetto Montagne



Indice

[modifica] Cima Carè Alto

Immagine:Cima_carè_alto.jpg

Cima Carè Alto dalla Casina Dosson in Val di San Valentino.


Cima m. 3.463 (3.465 m. nella carta al 50.000 del 1903). Questo toponimo è relativamente antico se pensiamo che già alla fine del 1600 il Mariani, che per primo descrisse il paesaggio della Val Rendena, dopo aver visitato le convalli di San Valentino, Borzago e Val Genova definiva il Carè Alto con il nome incerto di «Monte di Ghiaccio verso la Val di Fumo». Nel 1786 poi, il frate storese Cipriano Gnesotti nella sua Storia delle Giudicarie non diede alcuna importanza e tantomeno un nome alle montagne più alte, che si profilavano ignote ed inaccessibili, salvo chiamate semplicemente «vedrette» (vidreti, nel gergo rendenese) gli alti siti ghiacciati.

Altri antichi storici, allorché vollero ricordare il transito attraverso il nostro territorio di popoli ed eserciti, non risulta abbiano dato importanza alle convalli della Rendena o ai passi d'alta quota coperti per la maggior parte dell'anno da nevai, fatti salvi quelli che toccando i 2.800 m. erano usati per farvi transitare il bestiame.

A tale proposito ricordiamo che le tre antiche autonome comunità di Javrè, Darè e Vigo Rendena - come risulta da vecchie pergamene (datate fin dal 1384 e custodite di Javrè) possedevano in Val di Fumo vaste proprietà pascolive alle quali accedevano attraverso la «Forcola delle Vache» (m. 2.854) riconoscibile nell'attuale Passo delle Vache, ai piedi del lato sud del Carè Alto. Sembra essere questa la quota più alta conosciuta ab immemorabilis alla quale fu legato, per fini utilitaristici, un ben preciso ed antichissimo toponimo vicino al Carè Alto.

Con un salto di alcuni secoli, arrivando a fine 1700, il raggiungimento di alte quote (esclusi i ghiacciai), attorno al Carè Alto, fu dettato dalla caccia al camoscio, ma praticata da pochi in quanto in Val Rendena i primi fucili in dotazione ai seguaci di Nembrotte non giunsero prima di tale epoca: detti antesignani cacciatori, disponendo comunque di armi rudimentali ed a corta gittata, furono i primi a scalare qualche impervia cresta per portarsi più vicini e di nascosto, alla preda.

Per questo motivo i cacciatori, oltre che diventare i primi diretti conoscitori di più alti spazi improduttivi fin'allora sconosciuti, si impadronirono di nuovi orizzonti, ove svettavano alte rocce, altri ghiacciai, altri impensabili immaginifici panorami e magnificenze naturalistiche: così a valle oltre al carniere pieno, furono i cacciatori, che agli albori del 1800, nelle lunghe serate invernali, raccontarono di aver avuto visioni fantastiche, a volte di streghe, a volte di fate, danzanti tra nebbie, burroni e guglie infuocate.

In una prima fase le cime ed i ghiacciai furono così descritti con denominazioni soggettive e con variabili che si sovrapponevano assecondando l'intuito più o meno acuto dell'osservatore, ma senza un riferimento documentale (non vi era modo di catturare immagini non essendovi ancora la macchina fotografica, l'uso della pellicola sensibile risale al 1880 con George Eastman).

Per completare la breve ricerca sulla derivazione del toponimo Carè Alto, e dare diverse interpretazioni e conoscenze, agli stessi Satini, pensiamo sia giusto far osservare che un riferimento a detta cima e massiccio appare sconosciuto in Rendena fino ai primi dell'ottocento, mentre in Val di Fumo era detto Cop Carè. La derivazione esatta sembra aver radice nella parola latina carex festuca, che invade il terreno paludoso dei due laghetti in estinzione di Conca e di Niscli, situati nella Valle di Borzago, al piede est della cima.

Resta comunque anche il dubbio, che detto toponimo, in comprensione più popolare, possa derivare dall'arcaico francese "karé" - carré - in italiano, corrispondente a - lombata di bestia macellata, ma anche allo sprone nelle camicie da uomo e negli abiti femminili.

[modifica] Interesse militare e confine politico

Se è vero che le Alpi nei massicci più alti sono state nel passato barriere naturali per i più giudicate invalicabili e impraticabili il loro attraversamento per passaggi in vallate alpine da parte di popoli più o meno armati ha avuto ben conosciuti episodi.

La storia ci ha lasciato scritto che prima Annibale (ancor 200 anni a.C.) e poi emulo, Napoleone, furono giudicati strateghi insigni, perché osando oltre il prevedibile, sorpresero e batterono i nemici arrivando alle loro spalle, calando dai più alti valichi.

Memori di tali avvenimenti, già nel 1799 (memorie e notizie di Rendena e Giudicarie nell'epoca napoleonica di Giuseppe Antonio Ongari), gli austriaci in guerra con i francesi, temendo qualche sorpresa da parte di quell'esercito, tennero picchetti anche nelle Valli di Genova, di Borzago e di S. Valentino. In una precisa annotazione è poi scritto che il 30 settembre del 1800 il gen. austriaco S. Julien, presente in Rendena, andò nella Valle di Genova per vedere se da quella parte potevano penetrare i francesi.

Un fatto della guerra garibaldina del 1866 fu di ulteriore allarme per l'affidabilità fin allora consolidata e legata alla barriera che si credeva invalicabile tra la Val Camonica e le Giudicarie: 3000 garibaldini erano risaliti da Val Saviore al Lago d'Arno e dal Passo Campo arrivarono in Val del Chiese.

Furono tali notizie storiche che sollecitarono gli austriaci ad un rilevamento topografico meticoloso, specialmente da parte dell'ormai esperto Payer, con finalità di conoscenza per gli strateghi militari austriaci di turno.

[modifica] Conoscenza topografica dell'Adamello, motivazioni

La reale conoscenza su base documentale descrittiva dell'Adamello e quindi del Carè Alto, indubbiamente si può far risalire al lavoro di Anich e Huber con la pubblicazione dell'atlante del Tirolo, in scala 1:104.000 apparso nel 1774 ove:

«le chiare tavole dell'atlante, incise in rame, introducono parecchi oronimi rilevati in sito... Pure senza dare quota dei monti più alti, l'atlante fornisce una graduatoria sommaria delle altitudini, rilevate, a quanto pare, da stazioni di controllo circostanti, piazzate in basso, a mezzo cannocchiali. Nell'atlante sono raffigurate per la prima volta le vedrette d'Amola e di Lares, poste giustamente l'una ad est e l'altra ad ovest del solco di Val Genova. Vi si legge anche il nome di Presanella e quello del monte Palù, entrambi situati alquanto più a ovest rispetto alla realtà... Varie altre cime del gruppo figurano anonime nell'atlante, talune delle quali, tra cui il Carè Alto, sono contrassegnate da un asterisco nel punto di ubicazione approssimativa...»

Sarà infine l'Istituto Geografico Militare Austriaco (fondato nel 1814 a Milano e poi trasferito a Vienna) a stampare la prima carta in scala 1:144.000 che verso il 1825 è divulgata con riportate in posizione pressoché definitiva le tre cime principali Adamello, Presanella e Carè Alto.

[modifica] Rilevazioni trigonometriche

Per tutta la prima metà dell'ottocento, l'Adamello e quindi la zona del Carè Alto, non ebbe né in letteratura né in alpinistica d'escursione, qualche particolare interesse ma già a partire dal 1838 «allo scopo di adeguare la fiscalità alle reali risorse, l'autorità imperiale dispose il censimento della popolazione ed il rilevamento catastale delle proprietà comunali e private».

Per quanto riguarda le Giudicarie, già nel 1854 erano state comunque già terminate le reti di triangolazioni e punti trigonometrici volte alla verifica delle singole aree catastali comunali, tanto che su quella base si fissarono i parametri di tassazione per pagare i lavori delle «concorrenze stradali della Rendena e Val di Sole per il collegamento con Trento».

Per dette operazioni i rilevatori militari austriaci si portarono anche alla base del Carè Alto, ma non ebbero scalatori validi per salire la cima, nonostante fosse stato previsto un considerevole premio di Fiorini 20. Eravamo nel 1859 e fra chi non poté incassare il premio ci fu anche Giovanni Catturani «Pirinel» di Strembo, che aveva già raggiunto le cime dello Stablèl e della Lobbia Bassa per porvi segnali e piramidi di pietre, quali riferimenti e segnali topografici: per tale lavoro, fu giustamente sempre rimunerato e fu tra le prime persone rendenesi ad arrotondare con qualche fiorino il magro reddito di pastore-alpigiano della Val di Genova.

[modifica] Alla conquista della Cima «Carè Alto»

Come storicamente provato e fatto presente nel capitolo precedente furono i rilevatori catastali austriaci i primi alpinisti, debitamente assunti e pagati, a svolgere un lavoro di conoscenza e documentazione sui più alti picchi e cime esistenti a corona del gruppo glaciale dell'Adamello, ma la quota di vetta del Carè Alto, in quelle prime cartografie, fu riportata solo in via approssimativa, la sommità restò irraggiungibile da piede umano ancora per oltre un decennio.

Le informazioni fino allora raccolte dai rilevatori, furono tematiche di immediata conoscenza per una schiera di appassionati geologi, glaciologi e naturalisti che più o meno camuffati da alpinisti studiosi si mossero subito sulle tracce di percorsi segnati dai funzionari militarizzati.

Così ben presto la scoperta di un mondo alpino di fantastiche bellezze fino allora ignorate, trovò modo di farsi conoscere ed attirare curiosità, attenzione ed ammirazione da parte di personaggi d'oltralpe, pervasi da una visione culturale nuova: furono gli illustri alpinisti d'indole indomita, protesi a confrontarsi fisicamente ed idealmente con la romantica visione della vita. Le tre più alte cime dell'Adamello, Presanella e Carè Alto divennero tra il 1864 ed il 1865 mete da conquistare ad ogni costo ed al più presto, per orgoglio ed audacia onde dimostrare con fatti concreti, la superiorità dell'uomo sulle stesse forze contrastanti della natura e delle stesse leggi fisiche. La volontà e creatività intelligente, doveva e poteva sopperire alla debolezza fisica e trasformarsi in forza tale da sconfiggere ovunque e comunque pericolo, avversità e paura: la cima doveva essere conquistata e con essa il massimo della felicità cui può aspirare la mente umana.

Rispetto ad altre cime delle Alpi, il gruppo dell'Adamello fu interessato all'alpinismo esplorativo una decina d'anni in ritardo, e ciò è dipeso molto dalla mancanza di adeguati collegamenti stradali con l'esterno. Sta di fatto che una viabilità accettabile per le Giudicarie si ebbe solo con la realizzazione, tramite Consorzio tra tutti i Comuni, dei tronchi Sarche-Tione 1832-1852 e poi della Rendena da Tione a Spiazzo 1845-1848; ma sembra che solo nel 1860 ebbe realtà il collegamento con Pinzolo. Nel 1874 poi, a spese di G. B. Righi, si realizzò il tronco Pinzolo-Madonna di Campiglio.

Questo secolare isolamento decentrato e privo di normali vie di comunicazione fu aggravato da altri fattori quali scarsità di buone aree agricole coltivabili, clima condizionato dai vasti e vicini ghiacciai, montagne impervie ed improduttive, tutte situazioni che condizionarono nei secoli la Rendena ad una vita dura tanto da far considerare l'emigrazione, stagionale, ma spesso definitiva, l'unica risorsa per la sopravvivenza di una popolazione peraltro assai prolifica.

La speranza che dai migliori collegamenti stradali la locale economia ne traesse vantaggio fu affossata con la pace di Zurigo del 10.11.1859 che divise il Regno Lombardo Veneto (di cui faceva parte anche il Trentino) in due settori penalizzando al massimo anche le Giudicarie e la Rendena, che senza più sbocchi commerciali con la Lombardia imboccò un periodo di crisi sociale e politica veramente inaccettabile: restarono invece in più e più pesanti di prima i gravosi debiti contratti dalle Concorrenze Stradali.

Molti Comuni, oltre a dover applicare imposte straordinarie, addirittura del 300%, delle normali aliquote, dovettero vendere pascoli ed altri beni patrimoniali per far fronte alle annualità d'ammortamento dei mutui.

Nel 1859 assieme ai rilevatori militari che segnarono i nuovi confini tra Italia ed Austria, troviamo per la prima volta un nome degno di fregiarsi del titolo di primo alpinista-guida rendenese: è quello di Giovanni Catturani, «Pirinello o Pirinel» di Strembo, singolare cacciatore proprietario di un fienile a Ragada e della segheria dei Strolegh, entrambe in Val Genova.

Della conoscenza dei luoghi e specifica esperienza di vita del pirinel in alte quote, fece tesoro il glaciologo K. Sonklar, che nell'estate del 1863, in compagnia di Antonio Ferrari di Pinzolo pure cacciatore, salì dalla Lobbia Bassa sulla cima Stablél.

«Nell'estate del successivo 1864 il Catturani accompagnò J. Ball, primo presidente del club alpino inglese: passano la notte al Plan di Venezia. Malgrado il cattivo tempo, i due valicano il Passo Pisgana e scendono fino alla sorgente del rio Narcanello; poi Ball prosegue da solo per Pontedilegno mentre Catturani ritorna alla Ragada». (testo a pag. 54 Dante Ongari).

Fino al 1864, comunque, possiamo considerare la storia delle escursioni sul gruppo Adamello, quale fase pionieristica dell'esplorazione e conoscenza dettata principalmente da ragioni politiche (definizione dei confini) poi entrarono in scena ricercatori scientifici e naturalisti, spinti da quello spirito di entusiasmo che ben si concilia e si addice più all'animo dell'avventuriero che dello studioso: in ogni modo la presenza di tali personaggi, certamente carismatici, ha dato uno scossone al secolare standard di vita delle locali comunità e dei suoi rappresentanti, da secoli abbandonati ad una magra convivenza con una natura considerata più che madre matrigna.

[modifica] Antica precarietà della viabilità ed accoglienza rendenese.

Anche se già accennato ritorniamo sul maggior fattore negativo che frenò l'esplorazione dell'Adamello rispetto ad altri meno importanti gruppi di monti e ghiacciai delle alpi occidentali: si tratta non solo della mancanza di adeguati collegamenti stradali ivi esistenti ma anche di stabili punti base di ricovero sicuro e di pernottamento sulle direttrici di scalata alle cime.

Douglas William Freshfield che percorse la Rendena nel 1865 per attraversare nella giornata del 26 agosto l'Adamello - dalla Val Borzago a Temù (alta Val Canonica) onde conoscere la vastissima area glaciale, poté valersi, come unico esistente e più alto ricovero lo storico masso di Val di Conca, condividendo il pernottamento in detto tugurio con la famiglia di pastori; così descrisse la panoramica del profilarsi del Carè Alto:

«Uno splendido pomeriggio di agosto, percorremmo in carrozza la strada fra Pinzolo e Borzago, da dove un sentiero alpestre porta alla valle alla quale il villaggio ha dato il nome. In cima alla prima salita si apre uno splendido panorama felicemente equilibrato. I fianchi della Valle sono rivestiti di leggero fogliame. In alto, sopra di essi, splendono le bianche onde dei ghiacciai, mentre il Carè Alto, metà roccia e metà una brillante cresta di ghiaccio, è al centro del paesaggio...» (segue lo storico pernottamento alla Malga Conca).

Ma se Douglas William Freshfield si estasiava nella visione poetica della montagna che aveva per regale corona il Carè Alto, di ben diverso sentimento era l'approccio di chi per lavoro doveva salire fin sugli alti pascoli. La realtà dell'economia locale basata sullo sfruttamento delle risorse di magra agricoltura e pastorizia lasciava ben poco spazio all'apprezzamento e godimento delle bellezze estetiche del panorama e della visione romantica della vita. Per chi sudava nel recarsi ai fienili, alle malghe per erte mulattiere e stretti sentieri, sotto pesanti carichi di attrezzi o foraggi, parlare di montagna condizionava a pensieri di fatica, di pena e non certo di svago. La forza fisica doveva essere risorsa posta a servizio utilitaristico e non sprecata in esercizi dilettantistici: solo dei signorotti perdigiorno potevano permettersi lo sfizio ed il lusso di equipaggiamenti, cibo e tempo da sprecare in marce e arrampicate forzate in luoghi dove non arrivavano nemmeno le capre; e tutto questo per guardarsi attorno. Tutte cose veramente inconcepibili alla stragrande maggioranza della popolazione locale. E poi, che senso aveva per quei signori, arrivati dall'Austria, Svizzera, Francia e persino dall'Inghilterra, sobbarcarsi disagi d'ogni genere, tanto da mettere a repentaglio la salute e... la vita, quando invece potevano godersi il beato riposo di casa loro... Un modo nuovo di pensare per sfruttare il potenziale naturalistico della montagna, si era già affacciato, ma non poteva essere che marginalmente capito da chi ancora non aveva né cognizioni, né maestri, né cultura, né istruttori fidati e credibili da cui attingere le novità già presenti od in prospettiva, e che si sarebbero trasformate in linfa incommensurabile di valore aggiunto per l'economia di tutta la Rendena.

[modifica] I nostri pionieri

Ma tra l'indifferenza dei più, c'è sempre una minoranza, più accorta, sensibile ed al posto giusto e nel momento giusto. Notizie certe ci dicono che nel 1859 - anno della demarcazione dei nuovi confini politici, con la posa di segnali topografici (rizzamento di croci e costruzione di piccole piramidi di pietra) attraverso l'area dell'Adamello, Giovanni Catturani «Pirinel» di Strembo partecipò su pagamento al collocamento di alcuni di detti segnali sulla cima Stablél e Lobbia Bassa: pensiamo di citare detto nominativo quale antesignano rendenese che ha goduto dei primi benefici finanziari legati all'avvento di attività volte alla conoscenza di nostre inviolate vette.

Nel 1861 il Sig. F. Suda di Rovereto, allora ispettore forestale a Pinzolo, si era portato fin ai terminali del ghiacciaio Lobbia e Mandrone per l'osservazione degli stessi: fu il primo glaciologo. Nel 1862 il cacciatore di camosci Bortolo Depero di Vermiglio accompagnò A. Ruthner, professore viennese, e Kuenz nel primo tentativo per la conquista della cima Presanella.

Quindi nell'estate 1863 troviamo Antonio Ferrari di Pinzolo, pure cacciatore, ad essere ingaggiato dal glaciologo e nobile K. Sonklar per ispezionare il ghiacciaio della Lobbia. Nel 1864 il famoso cacciatore di orsi Luigi Fantoma «Martanel» ma più conosciuto quale Re di Val Genova (come amava lui stesso proclamarsi) intraprese, partendo dalla Ragada, con il bolzanino A. Wachtler il primo tentativo di raggiungere la cima Adamello, ma senza riuscirci.

Con intenti di osservazione naturalistica fanno la loro comparsa nel 1864 i botanici tedeschi A. Holler e Lorenz per cui possiamo puntualizzare come siano state le ricerche scientifiche-culturali, ad anticipare quelle di natura prettamente alpinistica-agonistica, che si manifestarono in modo alquanto esaltante e concorrenziale nel biennio 1864-1865 proprio per la conquista delle tre più importanti vette Presanella, Adamello e Carè Alto.

[modifica] L'avvento dell'era pionieristica-alpinistica intorno al Carè Alto.

Il passaggio tra l'interesse puramente ambientalistico, naturalistico e politico (difesa dei confini) a quello di conquista alpinistica, intesa come confronto e sfida dell'uomo con le massime difficoltà della montagna, avvenne con la presenza e richiamo sul territorio di una particolare categorie di personaggi.

Furono cartografi, geologi e loro aiutanti che ammaliati dalle bellezze ed incantesimi delle alte quote furono sospinti dalla voglia, di maturare altre esperienze, di contatti sempre più intensi. Avvinti dal richiamo di salite e conquiste sempre più difficili e temerarie, fino a far della conquista della vetta l'unico mezzo per placare l'incontenibile sete di sfida e di orgoglio, insita nel potente, come nell'umile.

A far meglio comprendere detto stato d'animo non troviamo di meglio che riportare le storiche parole di Girolamo Botteri: «vincer la bruta bèstia rastada 'n dré...» tutto il resto poi poteva avere valore relativo.

Importante era «montar su la bèstia» e finalmente sottometterla. Quale potrebbe essere migliore e più sintetica frase, molto sapiente seppure arcaica, per ricordare il biblico invito del Creatore all'uomo ed alla donna: «...riempite la terra; soggiogatela e dominatela...».

L'appassionante gara per «soggiogare» le nostre più amate tre alte cime si è poi conclusa nel seguente ordine di date:

  • Presanella m. 3.588 - 27 agosto 1864, con l'inglese Douglas William Freshfield e la guida Depero di Vermiglio. Il 17 sett. dello stesso anno sulla vetta arrivarono pure G. Pajer e G. Botteri.
  • Adamello m. 3.554 - 15 sett. 1864, con J. Pajer con Girolamo Catturani e Botteri (che resterà poi indietro).
  • Carè Alto m. 3.462 - 4 agosto 1865 H.F. Montgomery e S. Taylor.

[modifica] Insigni alpinisti intorno al «Carè Alto»

Nell'affrontare questa tematica, più che mai sentiamo i limiti delle nostre conoscenze per un possibile qualche nuovo apporto, dopo che «nel voler effettuare un siffatto impegno» lo stesso accademico Marino Stenico - nel capitolo della pubblicazione «La SAT cento anni 1872-1972» giudicò tale compito presuntuoso anche per la sua grande conoscenza ed esperienza.

Le poche righe di questa nostra sintesi, ci sembrano comunque dovute, per lasciare almeno un elenco, possibilmente in ordine di comparsa, nell'arco di molti decenni, i nomi di figure che già appartengono alla storia delle montagne che ci sovrastano e come stelle brillano di luce propria e diamantina che solo la figura del pioniere può riflettere per illuminare sempre tutto ciò che costituisce valore ed amore condensato nelle parole «cime», «ghiacciai» ma anche semplicemente «montagna».

Pur tralasciando la ricerca su coloro che ancora ad inizio dello scorso secolo (e forse anche prima) affrontarono l'alta alpe delle convalli da Val di Fumo e Val Genova per la caccia o pastorizia, possiamo iniziare dal 1864 ricordando il cacciatore d'orsi Luigi Fantoma «Martanèl», ovvero il «Re di Val Genova» ingaggiato in quell'estate dal bolzanino A. Wachter nel tentativo (non riuscito) di conquistare per primo la Cima Adamello.

(A Casina Muta, nel 1864, J. Payer rilascia a Botteri la patente di guida; che è in assoluto la prima rilasciata nel Trentino. Dallo stesso Payer è dedicata e battezzata Cima Botteri a mt. 3.272, già Cresta Nardis).

Girolamo Botteri «Fio» (gestore dell'alpeggio a Casina Muta) di Strembo unitamente al famiglio Antonio Bertoldi detto «Orso» ed al compaesano Giovanni Catturani accompagnano Julius Payer nella prima scalata all'Adamello.

Dal biennio 1864-1865 che vide la gara (tutta tirata da inglesi ed austro-tedeschi) per la scalata dei tre alti monti dell'Adamello, l'interesse anche straniero si spostò su altri settori e vette inviolate delle Alpi, per cui non ci furono subito altri impegni e quindi arruolamenti di nostri montanari oltre ai pochi su citati, fino a tanto che con la fondazione della SAT (Madonna di Campiglio, 2 settembre 1872) non si iniziò a capire come le risorse naturali collegate a quelle alpinistiche potevano essere reali e non solo potenziali ricchezze per i residenti.

[modifica] Sviluppo

Con la nascita della SAT (i cui soci fondatori non nascosero d'essere pervasi da spirito ed intenti irredentisti) si innescò un generale maggior richiamo alla conoscenza delle montagne trentine con conseguente maggior frequentazione sulle stesse, ma anche la necessità di controbilanciare, con strutture italiane ad alte quote, i molti rifugi già realizzati dalle varie sezioni del D. Oe A.V.

Tanto per restare nell'ambito del gruppo Adamello-Presanella, ripercorrendo la storia delle spedizioni del 1864-1865 di Julius Payer, risulta come gli unici ricoveri della stessa Val di Genova fossero oltre Casina Muta e Ragada, solo cadenti baite di pastori al Mandrone, al Matarot e il Baito Alto delle Rocchette. Per quanto riguarda le vie d'accesso al Carè Alto dalla Val Borzago, oltre alle casine di Zucal e Niscli esisteva funzionante la casina del Sass di Conca, battezzata da Douglas William Freshfield «abituro omerico».

Sembra giusto poi precisare che a quell'epoca non esistevano ancora vocaboli quali «bivacco» e tantomeno «rifugio alpino». Non sono prese in considerazione altre malghe o fienili, di più bassa quota, poiché le stesse non potevano fungere da basi utili per l'ultimo assalto alla cima!

Se tale era la situazione logistica in cui si trovarono ad operare i primi scalatori del Carè Alto, non meglio funzionale era l'equipaggiamento dei nostri primi alpinisti che spesso e volentieri affrontarono vette e ghiacciai con scarpe e calze rotte, vestiti ed attrezzatura inadatta.

Vogliamo pur ricordare (anche se non rendenesi) le guide ante litteram Bortolo Depero di Vermiglio con Douglas William Freshfield nella prima scalata della Presanella. Bonifacio Nicolussi di Molveno che accompagnò John Ball (primo presidente dell'Alpine Club di Londra) a conoscere ed attraversare la Bocca di Brenta dando così il via all'alpinismo del gruppo dolomitico.

[modifica] Il primo elenco ufficiale di guide rendenesi

Come già premesso l'attività di guida, riconoscibile in una mansione ufficiale e di gruppo organizzato e con proprio regolamento, fu promosso ed ebbe poi sviluppo con la nascita della Sat a Madonna di Campiglio nel 1872. Nel 1881 le guide alpine della Sat già erano già 38.

La prima vera attività, sia formativa che organizzativa, si sviluppò di conseguenza, dapprima più sul Brenta che sull'Adamello, almeno fino a tanto che, iniziando dalla Val di Genova, non si costruirono i primi rifugi.

La presenza umana sull'Adamello e Carè Alto per alcuni decenni successivi al 1865 restò poi solo di prevalente interesse militare e comunque poco frequentata e praticata dai veri alpinisti. Invece, una più forte espansione di quella esplorativa e classica si concentrò e si sviluppò, subito dopo la nascita della SAT a Madonna di Campiglio, attorno a detto centro alpino ed in Val di Genova. Quivi si costruirono anche i primi rifugi "italiani" ed iniziarono ad operare le prime guide.

Costruzione in ordine di data dei rifugi:

  1. Casina Bedole, anno di inaugurazione 1874
  2. Rifugio Tosa, anno di inaugurazione 1882
  3. Rifugio Lares, anno di inaugurazione 1882
  4. Rifugio Presanella, anno di inaugurazione 1886
  5. Capanna Dos del Sabion, anno di inaugurazione 1881
  6. Rifugio Grostè, anno di inaugurazione 1892
  7. Rifugio Stavel, anno di inaugurazione 1899
  8. Rifugio Amola, anno di inaugurazione 1901
  9. Rifugio Tuckett, anno di inaugurazione 1906
  10. Rifugio Dodici Apostoli, anno di inaugurazione 1908

Il Rifugio Carè Alto fu inaugurato nel 1912 e fino allora una qualche possibilità di accoglienza venne di fatto così preclusa anche a coloro che avrebbero voluto frequentare la zona per scalare la cima.

Non dobbiamo inoltre dimenticare che gli alpinisti tedeschi di Lipsia avevano già stabile base nel rifugio Mandron costruito nel 1879 e massiccia presenza con il gruppo Berliner alla Tuckettpasshütte inaugurata il 20 agosto 1906 a solo pochi metri di distanza dal rifugio italiano.

La prima base logistica per un susseguirsi di salite alla cima Carè Alto fu, sia per inglesi e tedeschi che per qualche italiano, il rifugio del Lares per cui presumiamo che dal 1865 al 1882 la cima rimase priva di qualche altro conquistatore.

Sfogliando la Bibliografia del Trentino (1475-1903) di Filippo Largaiolli (ed. dalla S.A.T. - 1977 - Arnaldo Forni S.p.A. Editore) troviamo che una salita sulla cima Carè Alto, fu effettuata con successo dalla coppia Boni Domenico, socio fondatore S.A.T. 1872, e Marchetti Carlo nel 1882 (IX A.A. tr. 1882, p. 49-61).

Come invece confermato da Dante Ongari (Storia dell'Esplorazione dell'Adamello e della Pressanella) fu partendo dal Rifugio Lares nel 1883 che il trentino d'elezione Alberto Falkner con le guide A. Dallagiacoma e Angelo Ferrari «Spalla» compì la prima salita italiana del Carè Alto, la quinta assoluta.

Nel 1898 anche O. Bonapace di Pinzolo ne raggiunse la vetta accompagnando K. Schultz.

Le salite alla Cima Carè Alto fino alla nascita e gestione del Rifugio furono considerate imprese di eccezionale sforzo e valore alpinistico ove la temerarietà doveva prevalere rispetto all'incentivo di un pur dovuto diretto guadagno anche per le guide più titolate. E qui sembra giusto ritornare al ricordo del momento in cui i primi rilevatori catastali che posero un segnale su Cresta Croce, non salirono anche sul Carè Alto, sebbene fosse stato previsto un premio straordinario di ben 20 Fiorini (20 Fiorini di quell'epoca dovrebbero corrispondere a non meno di un milioncino).

L'inaugurazione del Rifugio Carè Alto fu occasione per riproporre una sfida a premio per la salita alla Cima del canalone est: il premio fu vinto nel 1913 dalla coppia Andrea Zaniboni Susat di Riva con la Guida Amanzio Collini, e ciò risulta dal verbale del 6 settembre del 1913.

Il primo elenco di guide rendenesi lo abbiamo rilevato nel ripercorrere la storia della costruzione del Rifugio stesso.

Infatti il 2.3.1913 a Spiazzo si riunirono su invito della S.A.R.C.A. le guide alpine della Rendena per esaminare le tariffe proposte per la salita al Carè Alto, via Valle di Borzago e ricevere in consegna la chiave del Rifugio.

Firmarono il tariffario le guide:

Il documento fu pure firmato dal dottor Tomaso Bruti, delegato di Pinzolo della SAT e da Rodolfo Chesi presidente della S.A.R.C.A..

Se riflettiamo sui nomi su elencati non possiamo non constatare come, anche con il passare del tempo e con il ricambio generazionale, la passione per la montagna e professione di guida alpina sia stata incarnata trasmessa ed, in gran misura praticata, dai figli e poi nipoti discendenti dalle menzionate famiglie.

La storia del glorioso sodalizio delle guide alpine quale braccio forte dell'avvicinamento, conquista e difesa della montagna e soccorso alpino, anche quale sublime racconto delle esperienze vissute e condivise dal gruppo rendenese, non può essere raccolta e trovar posto in questi nostri pochi appunti e di ciò ci dispiace.

Nell'intento di lasciare un piccolo ricordo e dimostrazione di sensibilità, richiamo e riconoscenza per coloro che sono stati protagonisti, spesso eroici, nella delicata missione di guida e soccorso in montagna, sulla scorta di una vecchia ed inedita foto, ricordiamo la tragedia di una delle tante guide.

[modifica] La fine della guida alpina Silvio Agostini di Trento.

Per portare a termine la sua missione di servizio sulle rocce che stava perlustrando, onde scoprire pericoli e dare sicurezza agli altri, ha finito ancor nel vigore della giovinezza la sua esistenza.

Sessanta anni sono trascorsi da quella tragica estate 1937: Silvio Agostini era partito con un gruppo di clienti in escursione verso la Val Brentei. Considerato che il tempo era propizio si era proposto presumibilmente di tracciare una nuova via sulle cime di Campiglio.

Ad un certo momento, staccatosi dalla comitiva di turisti-apinisti che in lui avevano riposto la loro fiducia, disse loro di attendere poiché sarebbe salito per verificare la possibilità di passaggio in roccia su di un punto non ancora ben conosciuto.

I clienti, dopo pochi minuti, udirono un urlo ed un tonfo: il povero Silvio, per circostanze mai completamente accertate, era caduto da almeno una trentina di metri, battendo il capo e rimanendo morto sul colpo. Non sono state lasciate testimonianze dettagliate, essendo la caduta avvenuta fuori dalla visuale dei singoli componenti la comitiva.

I soccorritori non poterono poi che recuperare la salma e portarla a Madonna di Campiglio. La guida Silvio Agostini non appare nella lapide di Madonna di Campiglio in quanto appartenente al gruppo di Trento. Fu seppellito nel locale, allora esistente, piccolo cimitero.

Tutto ciò è stato raccontato da Ernesto Alimonta al figlio Gilio che, nell'estate del 1937, era assente dalla Rendena in quanto militare in Etiopia, presso Addis Abeba.

La foto che ricorda il tragico evento è stata scattata sulla strada proveniente dal Rifugio Brentei nella piana del Palù. La guida Ernesto Alimonta è riconoscibile in quella con divisa chiara che regge, davanti sulla destra, la barella sulla quale giace la salma recuperata di Silvio Agostini, in mesto corteo formato da tutte le guide alpine in quel momento presenti a Madonna di Campiglio.

Gilio Alimonta in una sua accurata indagine di memoria visiva ha poi individuato nella mesta istantanea i seguenti nominativi di alpinisti o guide. Partendo da sinistra:

  • Andrea Bonapace
  • Gino Collini
  • Natale Vidi
  • Onorio Gasperi
  • Ernesto Alimonta
  • Gilio Chesi
  • Guglielmo Ferrari «Spala»
  • Antonio Dallagiacoma
  • Cornelio Collini
  • Oscar Collini
  • Giulio Dallagiacoma.

Sforzandosi al massimo nella ricostruzione con memoria storica della situazione esistente a Madonna di Campiglio in quel lontano 1937 così ha proseguito Gilio Alimonta:

«La stirpe di alpinisti della famiglia Agostini era composta dai tre fratelli Mario, che fu anche presidente della S.A.T. nel 1945, Silvio e Giulio... Silvio in quel tempo stava costruendo e già gestiva il rifugio Pradalago, chiamato anche Rifugio Agostini.

Detto rifugio fu poi completato e gestito dal fratello Giulio e consorte...

Anche il rifugio in Val d'ambiez è chiamato "Agostini" in memoria e ricordo del fratello Mario che sembra ne fosse stato anche il costruttore».

Fin qui la testimonianza raccolta, ma in un contesto di maggiore conoscenza, senz'altro avrebbe bisogno di ben altre ricerche di approfondimento.

Approfondimento: il 30 luglio del ‘36 Silvio, che sta per compiere 33 anni, vive gli ultimi istanti della sua breve esistenza. Di buon mattino parte dal rifugio insieme al commercialista di Milano dott. Aldo Agati e al notaio romagnolo Virgilio Neri, giovane accademico del CAI, già molto noto per avere, fra le altre imprese, salito il canalone della Tosa. Vorrebbero aprire un nuovo itinerario sulla Cima Brenta ma, raggiunta la parete e osservandola dal basso, non riescono a decidere quale possa essere la via migliore.

Per valutare il da farsi Silvio e Neri decidono di arrampicarsi per un tratto sul Campanile dei Brentei, che si trova di fronte. Silvio procede, poi assicura il compagno che lo raggiunge. Al secondo tratto di corda improvvisamente Silvio cade all’indietro, batte forse contro la parete del camino, precipita senza emettere un grido, tocca una cengia, precipita ancora e resta infine a penzoloni nel vuoto, appeso alla corda trattenuta da Neri. E’ morto.

Ciò che accade dopo dà il segno della solidarietà, della stima, degli affetti. Ma non ci sarà consolazione per la mamma Fanny, che da quel giorno in ogni atto della sua vita porterà il ricordo doloroso di Silvio.

La prima decisione della famiglia sarà quella di costruire egualmente il rifugio a Pradalago, intitolandolo al nome di Silvio. Lo gestirà la mamma Fanny con il figlio Giulio, subito rientrato da Asmara, da quell’Eritrea facente allora parte dell’Africa Orientale Italiana.

Gli amici più cari di Silvio decidono di dedicargli un altro rifugio, nel gruppo di Brenta in Val d’Ambiez, si uniscono in cooperativa e riescono a costruirlo e ad inaugurarlo un anno dopo, nel 1937.

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