Borgo di Arquata
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Borgo di Arquata è una frazione del Comune di Arquata del Tronto in provincia di Ascoli Piceno. Fu un antico centro dedicato al commercio e seguì le vicissitudini storiche di Arquata, rimanendo sempre soggetto al suo dominio.
Borgo di Arquata | |||
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Stato: | Italia | ||
Regione: | Marche | ||
Provincia: | Ascoli Piceno | ||
Comune: | Arquata del Tronto | ||
Coordinate: |
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Altitudine: | 600 m s.l.m. | ||
Abitanti: |
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CAP: | 63043 | ||
Pref. tel: | 0736 | ||
Nome abitanti: | Borghiciani | ||
Santo patrono: | |||
Giorno festivo: | {{{valFestivo}}} | ||
Indice |
[modifica] Toponimo
Il suo toponimo deriva dal latino "borgus" , inteso come piccolo insediamento urbano.
Sorge immediatamente sotto l'abitato di Arquata, seguendo il percorso della vecchia Salaria verso Ascoli.
[modifica] Luoghi di interesse
Tra le costruzioni di maggior interesse storico ci sono la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, la chiesa di San Salvatore, la chiesa e il convento di San Francesco.
[modifica] Chiesa dei SS. Pietro e Paolo
Percorrendo un breve tratto della strada provinciale della Valfluvione, un po’ fuori dal centro abitato, nel luogo di mezzo tra Piedilama, Camartina, Arquata e Borgo, si erge la chiesa dei SS. Pietro e Paolo.
L’interno della chiesa si sviluppa in una sola navata centrale di forma rettangolare, senza alcuna fisionomia stilistica.
Decorata da diversi dipinti, il più interessante è una tavola dipinta ad olio, tagliata a forma di lunetta, metri 2.5 per 0.89, collocata sotto il rosone raffigurante la "Pietà". Nella deposizione sono raffigurati la Vergine che sorregge il corpo di Cristo Morto con le due Marie e i Santi Giovanni e Pietro, con abiti rossi, verdi e violacei. Questa lunetta doveva far parte come centina di una pala che con il trascorrere del tempo è andata perduta. Il dipinto viene attribuito da alcuni a Nicola Filotesio, noto come Cola dell'Amatrice, che fu particolarmente attivo in questa zona.
Anche il Vasari lo commentò così: “ gli acquistarono fama di maestro raro e del migliore che fusse mai stato in què paesi”.
Un altro dipinto è collocato sopra l’altare maggiore e rappresenta la Madonna in trono con il Bambino con ai lati, in piedi, San Pietro e San Paolo, ai quali la chiesa è dedicata. L'opera è del secolo XVII, misura m. 3 per 1,57, attribuita ad uno sconosciuto artista locale influenzato dallo stile del Filotesio.
Permane in un discreto stato di conservazione anche il ciborio, del XVII secolo. Realizzato in legno dorato, a forma di tempietto, con due ordini sovrapposti di colonnine e nicchie, a restringersi verso l'alto, misura in altezza metri 0,86.
In sagrestia sono custoditi anche due angeli portacandelieri lignei dorati, con vesti svolazzanti alti m. 1,10, catalogati come arte popolare del XVII secolo.
Sulla vela del campanile, vi sono due campane di bronzo di diverse dimensioni e tipologia.
La più antica risulta fusa a Norcia nel 1632, misura cm. 56 per 56, e vi si legge questa iscrizione: "BENEDITTUS ANTELLI DE NURSIA FECIT. DA NOBIS DOMNE AUXILIUM TUUM."
La più grande del 1700, misura cm 78 per 78, si fregia di innumerevoli riproduzioni di medaglie dell'epoca, la sua iscrizione recita così: "DEO DEIPARE ET APOSTOLORUM PNCI DICATA, TPRE R.D. FRANC. CALVELLI 1713 CAROLUS MANZETTI ME FECIT".
La chiesa dei SS. Pietro e Paolo apparteneva all'Abbazia di Sant'Eutizio di Norcia.
I monaci eutiziani risalendo i valichi appenninici, estesero la loro presenza nella Valle del Tronto. Nel giugno del 1115, il vescovo di Spoleto mons. Enrico Gualfredi, con il consenso del giudice Rainaldo, cedette a Sant'Eutizio alcune chiese che erano sotto la sua giurisdizione, con tutti i proventi, decime e diritti funerari. Come segno di autorità impose l'offerta simbolica di due ceri per la festa dell'Assunta. Tra quelle elencate nel diploma dell'atto, è citata la "ecclesiam sancti petri in Arquata cum sui pertinentiis", cioè tutto il circondario occupato dai paesi di Borgo, Camartina, Piedilama, Trisungo e buona parte del distretto di Arquata.
A metà del secolo XIII, Norcia dominava su Arquata, Accumoli, Tufo e Capodacqua. I monaci eutiziani, temendo l’espansionismo della cittadina umbra, sollecitarono l’intervento della Santa Sede nella persona di mons. Bartolomeo Accoramboni. Successivamente, il 12 novembre 1253, una lettera del papa Innocenzo IV, confermò il possesso dei beni ceduti dall’imperatore Enrico IV. Nel 1444 Frate Eutizio Corradi di Abeto, nominato Vicario Generale per i benefici eutiziani nel Piceno, volle riordinare i beni e i privilegi spettanti all’Ordine. Questi inviò al preposto di San Pietro, Barnaba di Benedetto Fusconi, la richiesta di restituire alcune tazze in argento al loro proprietario Tommaso Martini di Norcia. Quattro anni dopo, il nuovo abate Anastasio, ingiungeva a frate Angelino Antonio Ambrici di Arquata, residente in San Pietro, di lasciare la sua residenza e di osservare più rigidamente la Regola dell’Ordine.
Secondo i dettami del "Liber Censuariarum" del 1478, risulta che San Pietro doveva all’Abbazia di Sant’Eutizio un censo annuo di "cento piatti, cinquanta coltelli, e una libra di pepe per un canonicato", letteralmente "scudellas et tagliera".
L’importanza della chiesa di Borgo si connotava di essere conferita a canonici che si distinguevano "per pietà, dottrina e nobiltà di casato." Tra loro Frate Barnaba, 1446, Francesco Berardelli, 1528, Adriano Fusconi, nella seconda metà del sec XVI, fu eletto vescovo di Aquino.
Gli atti di una visita pastorale, del 1573, da parte del vescovo della diocesi al rettore don Benedetto Bonamico di Arquata, permettono di sapere che questa chiesa, ancora di dipendenza eutiziana, aveva una rendita annuale di cento aurei, gravata di una tassa di cinquanta scudi da versare al vescovo di Aquino, beneficio iniziato nel 1565.
Nel 1853 la chiesa necessitava di interventi di restauro, non avendo buona parte del soffitto, pareti malridotte e finestre che non fornivano abbastanza luce. Il parroco del tempo tale don Giovanni Saladini con una lettera, del 5 dicembre 1853, indirizzata al vescovo Zelli Iacobuzzi si attivò per ristrutturare l’edificio della chiesa. Il vescovo autorizzò gli interventi di recupero su progetto dell’ingegner Proclo Baldassarri.
I lavori di ripristino furono commissionati a Nicola Trocchi che, obbligandosi per 230 scudi, riconsegnò i lavori dopo tre mesi. Il tetto fu abbattuto e rialzato per avere una maggiore pendenza. Fu costruita la volta in mattoni sostenuta da una robusta centinatura inframmezzata da archi in mattoni poggianti su pilastri addossati alle pareti. Furono murate le finestre anteriori e sostituite dall’apertura del rosone centrale.
[modifica] Chiesa di San Francesco
Per approfondire, vedi la voce Arquata del Tronto#Luoghi di interesse. |
Fa parte del complesso del convento di San Francesco.
Di origine romanica, a due navate, conserva un portale del Cinquecento, cantoria, pulpito e altari lignei del XVI-XVII secolo.
All'interno vi è conservata anche la cosiddetta "Sindone di Arquata".
[modifica] Il Convento di San Francesco
Il Convento di San Francesco di Borgo, probabilmente fondato nel 1251, era uno dei 90 presenti nelle Marche nell’anno 1334 e di proprietà dell’Abbazia Benedettina di San Pietro dello stesso luogo. Costruito addossato alle pendici di una collinetta, in un secondo momento fu completato con la costruzione della chiesa dedicata sempre a San Francesco. Entrambi gli edifici furono restaurati e rimaneggiati più volte e ricostruiti durante il Rinascimento. La sua esistenza si lega spesso con il nome della famiglia Bucciarelli che più volte, attraverso lasciti testamentari, donazioni e pagamento di spese per migliorie dell’edificio, è intervenuta nella vita del convento. I monaci francescani, rigidamente osservanti la regola della povertà, cedettero il convento ai frati conventuali della provincia umbra che annoverava anche le terre di Tufo ed Arquata. Padre Illuminato di San Severino, docente di teologia, che si trovava ad Ascoli Piceno, nella Casa di Sant’Antonio, prese possesso del convento di Borgo. Nei primi anni del 1800 il monastero versava in critiche condizioni di conservazione. L’edificio era costituito da due piani ed un chiostro a pianta quadrata. Al primo piano c’erano: il refettorio, la cucina, la cantina e qualche altro locale. All’esterno una vasca di pietra che raccoglieva le acque di una piccola sorgente che i frati utilizzavano per il loro fabbisogno. Al piano superiore un modesto appartamento, per ospitare visitatori, e le celle dei religiosi. La famiglia Bucciarelli, nel 1837, si caricò la spesa dell’ampliamento e della ristrutturazione del convento, il comune di Arquata donava la somma di 100 scudi ogni anno, tutto ciò per il miglioramento delle condizioni di vita dei frati. Nel 1854 il convento contava la presenza di 10 religiosi che furono molto attivi durante l’epidemia di colera del 1855. Ercole Saladini, parroco di Borgo, lo annota nel Liber Mortuorum.
[modifica] Voci correlate
- Comune di Arquata del Tronto
- Provincia di Ascoli Piceno
[modifica] Bibliografia
- N. Galiè G. Vecchioni, Arquata del Tronto, Società editrice Ricerche s.a.s. Via Faenza 13, Folignano (AP), Stampa D’Auria Industrie Grafiche s.p.a., Sant’Egidio alla Vibrata (TE), Edizione marzo 2006, pp 18, 87, 91-92, 94;
- Adalberto Bucciarelli, Dossier Arquatano, Grafiche D’Auria di Ascoli Piceno, febbraio 1982, pp 48-53;