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Storia dell'Egitto fatimide - Wikipedia

Storia dell'Egitto fatimide

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Con la presa di potere del fatimide ‘Ubayd Allāh al-Mahdī l'Egitto si distaccò politicamente e religiosamente dal resto del mondo islamico sunnita.

Malgrado la popolazione non fosse obbligata ad abbracciare la fede dei suoi nuovi padroni (come invece faranno secoli dopo i Safavidi in Persia), la dinastia ismailita - pur mantenendo giudici qadi malikiti, sciafeiti e hanbaliti che potessero venire incontro ai bisogni dei suoi sudditi sunniti - si premurò ovviamente di attribuire quasi tutte le cariche politiche e religiose più importanti a Ismailiti fedeli al regime.

Massimo responsabile spirituale (a parte lo stesso Imām) fu un dā‘ī al-du‘āt, cioè un responsabile supremo della macchina propagandistico-missionaria ( da‘wa ) e come luogo dove impartire l'insegnamento teologico più avanzato fu prescelta la nuova moschea di al-Azhar (la Fiorita), edificata nella nuova capitale del Cairo, a NE del sito tulunide di al-Qatā’ī‘.

Nel 969 "la Città trionfante" ( al-madīnat al-Qāhira ) accolse l'Imām che, al riparo delle sue mura, visse distaccato dal resto della popolazione, ammettendo alla sua presenza solo quanti fossero passati al vaglio dei suoi funzionari, il principale dei quali era il wāsita, l'intermediario fra Imām e sudditi che svolgeva le funzioni del hājib omayyade e del vizir abbaside.

Liberatosi del suo mentore Abū ‘Abd Allāh al-Shī‘ī, cui doveva il suo successo, l'Imām spese ogni sua energia per realizzare il piano strategico che sarà anche quello della sua discendenza: la coqnuista di ciò che restava dei domini abbasidi per scalzare dal potere il califfo di Baghdād e affidare l'unico califfato universale nelle mani della famiglia fatimide (è presumibile che la recente titolatura califfale degli Omayyadi di al-Andalus non avesse fatto più di tanto impressione o, forse, al-Mahdī immaginava di trovare nella dinastia di Cordova un'avversaria meno impegnativa di quella abbaside).

Tutto fu messo quindi in atto per conquistare la Siria, dopo la quale sarebbe venuto il turno finale della Mesopotamia. L'intera Ifrīqiya conquistata agli Aghlabidi fu affidata alla gestione degli Ziridi che a lungo infatti agirono come longa manus del Cairo in Maghreb.

In Siria però l'azione fatimide s'impantanò. La regione infatti, abbandonata a sé stessa dopo la caduta del califfato omayyade, aveva conosciuto un parziale processo di ri-beduinizzazione, frutto anche dello spostamento del baricentro economico islamico califfale più a Oriente, nell'area dell'Iraq-Iran: cosa che avvantaggiò fra l'altro non poco il sorgere dei primi Stati marinareschi italici nel Sud della Penisola.

I Fatimidi riuscirono a conquistare il meridione e il centro della Siria, ivi compresa Gerusalemme e Damasco, ma nulla o quasi poterono per quanto riguardava il settentrione siriano e la regione della Jazīra che inglobava all'epoca città oggi ospitate da nazioni diverse, dalla Aleppo siriana, alla Mossul (Mawsil) irachena, alla Harrān turca.

La politica dell'Imām al-Hākim ebbe riflessi importanti nell'intero sviluppo storico e culturale del Mar Mediterraneo perché - se pure meritevole di ricordo per aver sovvenzionato nel 1005 al Cairo la costruzione di una Dār al-Hikma (Casa della Conoscenza) che fu arricchita di oltre 600.000 volumi - nella sua intollerante politica espressa nei confronti dei suoi sudditi musulmani, ebrei e cristiani, al-Hākim volle distruggere nel 1009 la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, inducendo i pellegrini (per lo più cristiani orientali) che vi si recavano a sospendere per un certo numero di anni l'espressione della loro fede in quella Città Santa. Il fatto fu preso a pretesto 80 anni più tardi per mostrare all'inconsapevole mondo cristiano occidentale quanto radicate fossero la malvagità e l'intolleranza dei musulmani nei confronti dei cristiani ma si trascurava opportunamente di dire che la stessa città vecchia di Fustāt era stata data alle fiamme dall'Imām per punire i sudditi musulmani della circolazione di libelli a lui ostili e che la stessa Basilica di Gerusalemme era stata ricostruita dai Bizantini dopo la morte (quasi certamente per assassinio) di al-Hākim nel 1021.

Dopo il suo imamato la politica fatimide cominciò a conoscere un lento processo di declino che si esaurirà però parecchi anni più tardi. L'Egitto - a pochi anni appena da una descrizione assolutamente lusinghiera della civiltà fatimide lasciataci dal viaggiatore ismailita Amīr Khosraw - conobbe otto anni consecutivi di gravissime e devastanti carestie, accompagnate da una virulenta epidemia di peste che ebbero come risultato di decimare la popolazione e di impoverire e demoralizzare i sopravvissuti. Ne fu infiacchita inevitabilmente anche l'azione di governo che, fino ad allora, era stata tutto sommato meritevole di ogni considerazione.

Al degrado - che attizzò fra l'altro feroci dispute fra le componenti berbere, africane e turche delle forze armate - gli Imām reagirono investendo di ogni potere militare e politico il governatore armeno di Acri Badr al-Jamālī che riuscì a raddrizzare nel corso di numerosi anni la periclitante macchina amministrativa e l'economia del Paese. La sua opera di "vizir militare" e quella del figlio (suo successore nella carica tutta speciale di Amīr al-juyūsh "Comandante degli eserciti") riuscirono in parte a salvare la situazione e a prolungare la vita dell'Imamato per altri lunghi decenni ma l'arrivo dei Crociati in Siria-Palestina dette il colpo finale alla dinastia. Nel quadro del confronti fra forze cristiane e forze musulmane, fra alleanze di musulmani con cristiani contro altri cristiani e altri musulmani, lo zengide Norandino inviò al seguito del suo comandante curdo Shīrkūh il nipote di questi Saladino che, morto lo zio, ne ereditò il comando delle truppe, imponendosi agli ultimi deboli Imām fatimidi come vizir dello Stato islamilita malgrado la sua fede sunnita. Fu Saladino a non consentire più alcuna successione dopo la morte dell'ultimo Imām fatimide al-‘Ādid e a far proclamare l'allocuzione religiosa (khutba) in onore del califfo abbaside nel 1171, a 262 anni dalla presa di potere di al-Mahdī.

[modifica] Lista degli Imām fatimidi

  1. ‘Ubayd Allāh al-Mahdī bi-llāh (909-934)
  2. Muhammad al-Qā’im bi-amri llāh (934-946)
  3. Ismā‘īl al-Mansūr bi-nasri llāh (946-953)
  4. Ma‘ad al-Mu‘izz li-dīni llāh (953-975)
  5. Abū Mansūr Nizār al-‘Azīz bi-llāh (975-996)
  6. al-Hākim bi-amri llāh (996-1021)
  7. ‘Alī al-Zāhir (1021-1036)
  8. al-Mustansir (1036-1094)
  9. al-Musta‘lī (1094-1101)
  10. alĀmir bi-ahkāmi llāh (1101-1130)
  11. al-Hāfiz (1130-1149)
  12. al-Zāfir (1149-1154)
  13. al-Fā’iz (1154-1160)
  14. al-‘Ādid (1160-1171)


[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Yahya al-Antākī, Cronache dell’Egitto fatimide e dell’impero bizantino (937-1033), a cura di B. Pirone, Roma, Jaca Book, 1998.
  • al-Maqrīzī, 2002: Kitāb al-mawā‘iz wa l-i‘tibār bi-dhikr al-khitat wa l-āthār (Il libro degli ammonimenti e delle riflessioni sulle planimetrie e i monumenti), Ayman Fu’ād Sayyid (ed.), Londra, Mu’assasat al-furqān lil-turāth al-islāmiyya, 2002.
  • Carl F. Petry (ed.), The Cambridge History of Egypt, Cambridge, Cambridge U. P., 1998.
  • P.M. Holt, The Age of the Crusades, London-New York, Longman, 1986.
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