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Ostpolitik - Wikipedia

Ostpolitik

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Con il termine Ostpolitik si definisce la politica di normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) e con gli altri paesi del blocco orientale perseguita da parte di Willy Brandt, cancelliere della Repubblica Federale Tedesca, a partire dall’inizio degli anni ’60 e per la quale Brandt ottenne il Premio Nobel per la Pace nel 1971

La Ostpolitik si poneva in contrasto con la politica perseguita fino a quel momento dai governi tedeschi, a partire dal governo di Konrad Adenauer, sintetizzata nella cosiddetta dottrina Hallstein.

Il primo a teorizzare una "trasformazione tramite l’avvicinamento" fu Egon Bahr, uno dei consiglieri più vicini a Willy Brandt. In concreto, a partire dalla fine degli anni ’60 ebbero luogo una serie di incontri fra Brandt ed i leader dei paesi dell’est che, inizialmente, ebbero il merito di "riaprire" le comunicazioni fra i paesi e portarono in seguito alla stipulazione di alcuni trattati.

Il primo fu il trattato di Mosca firmato il 12 agosto 1970 con il quale la Repubblica Federale Tedesca riconosceva il confine della linea Oder-Neisse e rinunciava a rivendicazioni territoriali, l’Unione Sovietica per contro si impegnava ad aprire le trattative per la ricerca di una soluzione per la situazione di Berlino.

Il successivo fu il trattato di Varsavia del 7 dicembre 1970 nel quale la repubblica Federale Tedesca riconosceva i confini mentre la Polonia si impegnava a permettere l’emigrazione di alcuni gruppi di tedeschi che si trovavano ancora sul suo territorio.

Il clima di progressiva distensione dei rapporti permise l’inizio delle lunghe trattative che portarono alla firma del cosiddetto accordo delle quattro potenze (Viermächteabkommen über Berlin) firmato il 3 settembre del 1971 fra Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica nel quale furono stabilite, in modo più chiaro, le responsabilità delle forze di occupazione della città di Berlino ed una serie di provvedimenti per il miglioramento delle condizioni di vita e di mobilità delle persone all’interno, nonché gli accessi alla città.

Il passo successivo fu il cosiddetto accordo sui transiti (Transitabkommen) del 17 dicembre 1971 nel quale la Repubblica Democratica Tedesca riconosceva, per la prima volta, il diritto ai propri cittadini di visitare i parenti nella Repubblica Federale in caso di grave emergenza familiare.

In seguito a quest’accordo, i due paesi riconobbero la necessità di giungere ad una regolamentazione più approfondita dei reciproci rapporti. Dopo mesi di trattative si giunse il 21 dicembre 1972 alla firma del cosiddetto accordo di base (Grundlagenvertrag) nel quale i due paesi si impegnavano a garantire la reciproca integrità territoriale e riconoscevano la rispettiva sovranità.
La ratifica di questo trattato dette luogo ad un aspro dibattito politico (culminato con un appello da parte della CSU alla Corte Costituzionale), il partito d’opposizione tedesco (CDU/CSU) considerava questo trattato la fine definitiva di qualsiasi speranza di riunificazione della Germania. In seguito alla ratifica del trattato sia la Repubblica Federale Tedesca sia la Repubblica Democratica Tedesca furono ammesse all’ONU (1973).

L’ultimo paese con il quale venne raggiunto un accordo fu la Cecoslovacchia con la firma del trattato di Praga, 11 dicembre 1973.

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