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Gian Giacomo Medici - Wikipedia

Gian Giacomo Medici

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il Medeghino
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Il Medeghino

Gian Giacomo Medici, generalmente conosciuto come il Medeghino, nacque a Milano il 25 gennaio 1498, secondo alcuni autori sarebbe nato nel 1495 o nel 1497, da Bernardino Medici di Nosigia e da Cecilia Serbelloni, morì a Milano l’8 novembre 1555.

La sua famiglia era di modeste condizioni sociali ed economiche e lui, per distinguerlo dai ben più cospicui Medici di Firenze con i quali non aveva alcun rapporto di parentela, fu soprannominato con lo sminuitivo Medeghino, ossia piccolo medico, appellativo con cui è passato alla storia.

Indice

[modifica] Le prime imprese

Il Medeghino si distinse fin da ragazzo per il carattere turbolento, collerico e vendicativo, privo di alcun senso morale e pronto a qualsiasi impresa per sopravvivere ed emergere.

Subì il bando ad appena sedici anni per avere ucciso un altro giovane con cui aveva avuto una lite e fu costretto a rifugiarsi nei dintorni del lago di Como, che diventò la base di molte sue imprese, quasi sempre banditesche, assieme a un gruppo di sbandati, fuoriusciti e criminali comuni di cui divenne il capo incontrastato.
Manifestò presto, oltre alla ferocia ed efferatezza delle sue azioni, un grande acume che unito alla sua naturale spregiudicatezza gli avrebbe consentito di inserirsi da protagonista nel gioco politico-militare, che nel XVI secolo si svolgeva nello scenario italiano. Riuscì, infatti, a conquistare fama, ricchezza e un posto da protagonista tra i grandi del ‘500 italiano ed europeo, riscattando così le umili origini e le azioni criminose commesse all’inizio della sua carriera.

[modifica] Il ’500

Carlo V
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Carlo V

Il ‘500 fu il periodo in cui il Medeghino svolse la sua vicenda umana e militare. Si mise in luce fin dall’inizio in ambito locale passando, anche a seguito di alcune fortunate circostanze, a uno scenario più ampio, europeo, al servizio dell’imperatore Carlo V. Per questi compì imprese belliche memorabili e fortunate che lo proiettarono tra i grandi comandanti rinascimentali, circondato sempre di un’aura di ferocia e crudeltà che, più che strumentale, era connaturata alla sua personalità.

Il XVI secolo vedeva l’Italia o per meglio dire i principati italiani non più protagonisti della storia ma oggetto di contese internazionali tra i potenti del momento, Carlo V e Francesco I di Francia.

Dopo la Pace di Lodi del 1454 si era evidenziata in tutta la sua gravità la debolezza degli stati regionali italiani: nessuno di essi, infatti, era oggettivamente in grado di opporsi alle pretese esterne che, fra l’altro, il gioco politico del papato favoriva, appoggiando ora la Francia ora la Spagna imperiale in un’ottica di autoconservazione, senza riuscire, tuttavia, a controllare nessuno dei due contendenti ma divenendone, anche, vittima, come avvenne il 9 luglio 1527 con il Sacco di Roma ad opera delle truppe imperiali.

L’Italia era una somma di debolezze che avrebbe visto e consentito le effimere conquiste del Valentino e la inconcludente politica nepotista del padre, papa Alessandro VI. In questo quadro si inseriva la politica avventuristica di papa Giulio II che contribuì ad accrescere la presenza straniera in Italia con la Lega di Cambrai, 1508, da lui ispirata contro Venezia in un’altalenante rete di alleanze che lo vide allearsi prima con la Francia per passare poi con la Spagna di Carlo V – Lega Santa del 5 ottobre 1511 –, come se questa fosse meno pericolosa della prima. [1]

Ecco papa Innocenzo VIII che sollecitò Carlo VIII di Francia a impadronirsi del regno di Napoli a danno degli spagnoli; poi la meteora borgiana che irruppe nello scenario politico italiano. Era un quadro di generale debolezza quello che opponeva i principati italiani alle mire straniere.

Carlo VIII
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Carlo VIII

L’Italia non era riuscita a passare dai principati, le cui radici erano saldamente piantate nel medioevo, allo stato nazionale come ormai era avvenuto e si consolidava in Europa.

Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia, i re cattolici, con la reconquista avevano posto le basi di quella Spagna imperiale che Carlo V prima e ancor di più il figlio Filippo II avrebbero cercato di imporre all’Europa.

In Francia, digerita da tempo la guerra dei cento anni, si era ormai consolidato lo stato nazionale che con Luigi XIV sarebbe diventato assoluto assumendo le caratteristiche tecniche dello stato moderno.

L’Inghilterra, ancora assente dal grande scenario politico, si preparava a divenire quella grande potenza imperiale che l'avrebbe resa protagonista della storia mondiale fino al XX secolo.

L’Europa centrale viveva i fermenti dei principati tedeschi pronti ad affermare la propria autonomia nei confronti dell’impero, cosa che avverrà con la pace di Augusta del 1555 e con il riconoscimento del principio cuius regio eius religio, che sancirà la spaccatura della cristianità e le nuove realtà nazionali tedesche.

[modifica] L’occasione

Questo era il contesto in cui si muoveva il Medeghino, pronto a cogliere al balzo qualunque occasione per conquistare ricchezza e potere.

Il Medeghino aveva fatto del lago di Como la base della sua attività, vissuta e definita dai contemporanei come piratesca, e fu qui che incontrò Girolamo Morone, cancelliere sforzesco che, intuendone il valore e l’ambizione unita a grande spregiudicatezza, lo coinvolse a favore degli Sforza contro la Francia che mirava al ducato di Milano.

Allegoria degli Sforza
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Allegoria degli Sforza

Da bandito divenne guerriero, legandosi a quello che sarebbe divenuto il nuovo duca di Milano, Francesco II Sforza, imposto dall’imperatore Carlo V.

Fu l’inizio di una nuova vita e di una nuova carriera militare di successo che gli avrebbe dato potere e prestigio senza tuttavia intaccarne l’indole e l’amoralità innata.
Alle dipendenze dello Sforza, di cui era diventato una delle guardie del corpo, e per la sua causa, commise soprusi ed assassini: nel luglio del 1523 uccise l’amico Ettore Visconti, caduto in disgrazia presso lo Sforza.

Con le sue azioni riuscì a scandalizzare persino i suoi committenti, che, trovandolo a un certo punto scomodo e indifendibile, cercarono di liberarsene.

[modifica] La congiura

La corte sforzesca, nel 1524, ordì contro di lui una congiura che tuttavia non tenne conto della sua diffidenza e astuzia.

Fu inviato al castello di Musso in Valorba per esserne investito, con un messaggio sigillato per il castellano in cui in realtà si ordinava la sua uccisione. Il Medeghino intuì la trappola, lesse il messaggio senza romperne il sigillo e, dopo essersi consultato con il fratello Giovan Angelo, il futuro papa Pio IV, lo sostituì con un ordine di apertura del castello di cui si impadronì facilmente.

Pio IV
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Pio IV

Il castello di Musso divenne una sorta di centro extraterritoriale da cui, a capo di una banda che comprendeva oltre al fratello Giovanni Battista i venturieri Niccolò Pelliccione, Gasparino da Malgrate e altri soggetti della peggiore specie, scorrazzava per tutto il territorio a nord di Milano, commettendo ogni sorta di grassazione ed estorsione, manifestando sempre una feroce spietatezza.
Fra i tanti episodi delittuosi commessi è ricordato, per la particolare efferatezza, il sequestro a Cava di Val San Martino di Stefano da Birago, un ricco possidente, che tenne e seviziò, testiculis in vinculis, finché non pagò un riscatto di 1.600 scudi: questo ci dà la misura del nostro personaggio.

Musso, di fatto, divenne una piccola signoria banditesca, centro di una vasta area di azione che si estendeva a nord di Milano lungo la sponda occidentale dell’Adda fino e compreso il lago di Como.

Gli avvenimenti che si susseguirono lo riconciliarono con lo Sforza, che gli promise il governatorato di Chiavenna, del lago di Como e della Valsassina, qualora le avesse conquistate, ma gli valsero l’ostilità spagnola e il vano attacco delle truppe imperiali di Antonio de Leyva al servizio di Carlo V.

[modifica] Marchese di Musso

La tecnica militare del Medeghino, che conosceva a perfezione il territorio, era fatta di attacchi a sorpresa, di imboscate e repentine ritirate, una specie di guerriglia ante litteram contro cui il de Leyva non poté nulla.
Fino al 1528 furono anni di attività bellica frenetica contro gli imperiali; nel 1525 occupò Tre Pievi, Dongo, Gravedona e Sorico; successivamente nel tentativo di conquistare la Valtellina occupò Delebio e Morbegno causando l’intervento dei Grigioni, che assediarono e conquistarono il castello di Chiavenna.
Ottenne per metà dei prigionieri grigionesi in sua mano un riscatto di 11.000 ducati di cui la metà subito; rinforzò Tre Pievi, il castello di Ologno e quello di Musso.
Nel 1526, per conto di Venezia e del Papato contro l’impero, arruolò mercenari svizzeri facendosi pagare 6.000 ducati oltre il saldo del riscatto dei prigionieri grigionesi liberati, ma entrò in contrasto con i suoi committenti per pagamenti pretesi avanzando richieste sempre più esose, finché raggiunse un compromesso molto favorevole che prevedeva il pagamento di 5.000 ducati.
Continuava, intanto, la sua guerriglia contro il de Leyva.

Questa fu una guerriglia che il de Leyva non riuscì a vincere e lo costrinse, anzi, a risolvere con un accordo ciò che non era riuscito a fare con le armi: assoldò il Medeghino, che uscì da questa vicenda moralmente vittorioso oltre che arricchito e con un carisma enormemente aumentato.
In cambio del suo passaggio al campo imperiale, abbandonando lo Sforza, gli fu concesso il titolo di marchese di Musso, 8 marzo 1523 oltre al dominio sull’alto lago di Como e su Lecco.

[modifica] Marchese di Marignano

Questa nuova veste di capitano di ventura e di alleato dell’Impero costituì la sua legittimazione – non più avventuriero bensì militare regolarmente assoldato –, che non gli impedì però di continuare nella sua consueta attività di razziatore, questa volta in danno dello Sforza e con il fine ultimo di ingrandire i suoi possedimenti.

Presto, mutate condizioni politiche e capovolgimenti di alleanze portarono a un riavvicinamento dello Sforza a Carlo V con la conseguenza di lasciare isolato il Medeghino, che riuscì tuttavia a trasformare quest’alternarsi di alleanze, negativo per lui, in un'occasione di successo: fu infatti costretto a lasciare i territori posseduti, ma ottenne in cambio il marchesato di Marignano, l’ingente somma di 35.000 scudi d’oro a titolo di risarcimento e cosa più importante la benevolenza personale dell’imperatore, al cui servizio sarebbe rimasto.

Il Medeghino era ormai un uomo ricchissimo e potente, odiato e invidiato allo stesso tempo, che cercava di riscattare un passato da bandito con imprese militari coraggiose, a volte azzardate, sempre feroci ma anche mirabili sul piano tecnico.
Mantenne sempre il favore di Carlo V anche in situazioni difficili, come quando si congiurò contro di lui nel suo stesso campo.

Si distinse a Gand, in Ungheria, a Praga, acquistando fama e sempre maggiore ricchezza, ponendosi tra i grandi del momento. Le sue azioni militari furono sempre caratterizzate da audacia, sprezzo del pericolo e temerarietà, ma anche da caparbietà unita ad una connaturata ferocia, come avrebbe dimostrato più tardi nella battaglia di Scannagallo contro Siena.

[modifica] Il matrimonio

Nel 1545 per l’intervento del papa Paolo III oltre che del fratello Giovan Angelo, futuro papa, sposò Marzia Orsini, la vedova di Livio Attilio dì Alviano, signore di Pordenone, e figlia di Ludovico Orsini conte di Pitigliano.

Fu un matrimonio sfarzoso come si conveniva ad un grande, ormai dimentico delle ristrettezze economiche familiari in cui aveva trascorso la fanciullezza.
Il matrimonio, che testimoniava lo status raggiunto, lo immise a pieno titolo tra i ranghi dell’alta aristocrazia italiana. Il suo fu un riscatto sociale inesorabilmente perseguito e conquistato, sublimato poi il 24 dicembre 1559 con l'elevazione del fratello Giovan Angelo al soglio pontificio col nome di Pio IV.

Il Medeghino, come Gian Giacomo Medici continuava ad essere comunemente chiamato, rimase vedovo nel 1548.

[modifica] Le campagne militari imperiali

La sua attività militare non si fermò con il matrimonio, che rimase una breve parentesi, ma continuò e sempre al servizio di Carlo V.

Nel 1546 era in Germania con Carlo V contro i protestanti al comando del langravio Filippo d’Assia e di Gian Federico duca di Sassonia. A Ratisbona soccorse e salvò l’imperatore con un’azione rapida ed eroica che aumentò il favore imperiale nei suoi confronti e per questo fu premiato con il titolo di viceré di Boemia.
Nel 1547 a Praga colpì e risolse un ammutinamento di soldati tedeschi con punizioni esemplari.
Nel 1551 si distinse in Emilia, sotto il comando di Ferrante Gonzaga contro Orazio Farnese, e nel 1552 in Piemonte contro i francesi.
Nel 1553 sostituì nel comando generale Ferrante Gonzaga, destituito dal Carlo V.

Il Medeghino aveva così raggiunto l’apice della carriera militare, ammirato e temuto per la brutalità dei comportamenti che lo aveva sempre contraddistinto.

[modifica] Scannagallo

Si distinse nella campagna militare contro Siena per capacità tecnica e determinazione ma anche per brutalità e spietatezza. La sua ferocia non si era stemperata né con il passare degli anni né con i successi conseguiti.

Cosimo I de' Medici
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Cosimo I de' Medici

I protagonisti di questa campagna erano, da una parte, Piero Strozzi, capitano fiorentino fuoruscito, aiutato da truppe francesi in difesa di Siena, e dall’altra il Medeghino al comando delle truppe imperiali di Carlo V, che per il tramite di Cosimo I de' Medici voleva il controllo di Siena per la sua posizione strategica nell’Italia centrale.

La partita era impari: Siena infatti, reduce dai successi diplomatici di Pandolfo Petrucci, non aveva trovato alla sua morte, 21 maggio 1512, altri moderatori altrettanto abili che ne potessero salvare l’autonomia e la libertà. Aveva inoltre, spinta dall'antica rivalità con Firenze prestato ogni aiuto durante l'Assedio di Firenze a quello stesso esercito imperiale che ora la soffocava. Rimase, così, come vaso di coccio tra vasi di ferro, destinata a soccombere di fronte alle nuove potenze europee, in un destino comune a tutti gli altri stati regionali che nulla poterono e nulla avrebbero potuto contro le nuove realtà politiche, stati nazionali ed impero, che si avventarono sull’Italia per spartirsene le spoglie.

A Siena il Medeghino

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«ritrovò il suo spietato spirito sanguinario.»
(C. Rendina, I capitani di ventura)

La pose sotto assedio cercando di isolarla e per questo, oltre a seminare il terrore devastando la campagna circostante facendone terra bruciata, impiccò tutti coloro che dall’esterno tentavano di aiutare gli assediati senza distinguere contadini da guerrieri.

In questa impresa diede prova di particolare crudeltà e ferocia arrivando ad uccidere personalmente, con un’accetta che usava a mo’ di bastone per sostenersi, i malcapitati che cadevano nelle sue mani.

Nei primi mesi del 1554 occupò diversi castellari e villaggi del circondario di Siena, come Asinalunga, Castellina in Chianti, Torrita di Siena, impiccando decine di difensori fra quelli che si erano distinti maggiormente, ad esempio e monito per i resistenti dei paesi vicini: un fiorire di forche.

Monteriggioni
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Monteriggioni

Occupò con un espediente Monteriggioni ingannandone il capitano difensore, Giovanni Zeti, altri dissero corrompendolo.

L’episodio conclusivo di questa campagna, dopo una serie sanguinosa di scaramucce, avvenne il 2 agosto 1554 al vallone di Scannagallo presso Lucignano.
Ai bordi del vallone erano schierati per Siena, al comando dello Strozzi, soldati italiani, senesi e francesi rafforzati da mercenari tedeschi e grigionesi per un totale di circa 15.000 uomini compresi 1.200 cavalieri; dall’altra parte, variamente disposte, le truppe del Medeghino in numero equivalente, formate prevalentemente da tedeschi, spagnoli e italiani. Lo scontro violentissimo durò soltanto due ore e si risolse in maniera disastrosa per le truppe senesi, anche per il tradimento di un alfiere francese che, corrotto con una ingente quantità di monete d’oro, si diede platealmente alla fuga gettando nella confusione e nello sgomento i propri.

Rimasero sul terreno oltre 4000 morti da parte senese contro i 200 di quella imperiale: lo stesso Strozzi ferito ad un ginocchio da un’archibugiata dovette ritirarsi per non essere catturato. Un gran numero di prigionieri, carriaggi e armi fu inviato a Firenze.

Il Medeghino completò la vittoria con la conquista di alcuni castelli circostanti, quindi pose Siena sotto un più stretto assedio attuando una sanguinaria repressione per chi cercava di aiutare gli assediati e nel gennaio del 1555 bombardò la città con le proprie bocche da fuoco.

Il 17 aprile 1555 Siena cadde definitivamente, passando sotto il dominio di Cosimo de’ Medici e nella sfera d’influenza di Carlo V.

Siena uscì così dalla storia, che l’aveva vista protagonista fin dal XII secolo, lasciando a testimonianza della sua epoca d’oro opere d’arte di universale bellezza tra le quali spicca il duomo ed ancor più i resti giganteschi del suo mancato ampliamento. Vedere questi resti e immaginare cosa avrebbe potuto essere il duomo ampliato fa intendere la potenza, la capacità imprenditoriale e la forza politico-diplomatica di una comunità che era riuscita a diventare protagonista e arbitra del proprio destino nello scenario geopolitico italiano.

[modifica] L’epilogo

La campagna militare di Siena fu la sua ultima importante impresa che, per quanto orrore frammisto ad ammirazione suscitasse presso i contemporanei, contribuì ad aumentarne la fama e la ricchezza.

Il Medeghino non riuscì tuttavia a coglierne i frutti: l’8 novembre 1555 morì improvvisamente nel suo palazzo di Milano, forse avvelenato.

Il suo feretro riposa nella cappella dell’Assunta e San Giacomo del duomo di Milano in un grandioso monumento marmoreo di Leone Leoni su disegno di Michelangelo Buonarroti voluto dal fratello Giovan Angelo, divenuto papa Pio IV.

[modifica] Note

  1. Tenenti A. – L’età moderna


[modifica] Voci correlate


[modifica] Bibliografia

  • E. Bartolozzi , Episodi di storia milanese: l'assedio del Medeghino in Lecco. - Lecco, 1960 - SBN SBL0026829
  • Ivano Bettin, La donazione di Pio IV a risarcimento dei danni delle guerre del Medeghino - Cattaneo editore, 2005 Oggiono - SBN LO11047547
  • Peter Burke, Cultura e società nell'Italia del Rinascimento. - Il Mulino, 2001 Bologna - ISBN 8815081100
  • Peter Burke, Il Rinascimento - Il Mulino, 2001 Bologna - ISBN 8815083979
  • B. Corio, Storia di Milano, 1856
  • John H. Elliott, La Spagna imperiale - Il Mulino, 1994 Bologna - ISBN 15014993
  • Eugenio Garin, Medioevo e Rinascimento - Laterza 2005 Bari - ISBN 8842076694
  • Eugenio Garin (a cura di), L'uomo del Rinascimento - Laterza 2000 Bari - ISBN 8842047945
  • Michael Edward Mallet, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Il Mulino, 1983 Bologna - ISBN 8815002944
  • Claudio Rendina, I capitani di ventura - Newton & Compton 1999 Roma - ISBN 8882890562
  • Alberto Tenenti, L'età moderna, il Mulino, Bologna 2005 - ISBN 8815108661
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