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Rivolta di Nika - Wikipedia

Rivolta di Nika

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Mosaico bizantino, che rappresenta un auriga
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Mosaico bizantino, che rappresenta un auriga
L'obelisco di Teodosio, vicino all'ippodromo di Istanbul
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L'obelisco di Teodosio, vicino all'ippodromo di Istanbul

La Rivolta di Nika fu una sanguinosa sommossa svoltasi all'interno dell'Impero Bizantino, durante il governo di Giustiniano I. La turbolenta rivolta scoppiò nell'ippodromo di Costantinopoli, l'11 gennaio 532.
I tafferugli tra i ribelli scoppiarono al grido di "Nika, Nika", che significa "vittoria, vittoria" grido con cui il popolo era solito incitare i propri campioni nelle corse di carri.

Indice

[modifica] I Verdi e gli Azzurri

All’epoca, Costantinopoli era un’autentica babilonia di mercanti, artigiani, giocolieri, prostitute, cantastorie, soldati di ventura, contadini rintronati dal trambusto cittadino, monaci, santoni e guaritori. Una marmaglia multietnica, nevrotica ed irrequieta, divisa in due fazioni sportive: Verdi ed Azzurri.
Fazioni che non si limitavano a contrapporsi fisicamente nel tifo all’Ippodromo ma si accapigliavano fanaticamente anche in dispute religiose, fomentate dal clero, delle quali non capivano nulla.
Fazioni che nella prima età bizantina assunsero una forte colorazione politica, organizzandosi in una sorta di partiti, in parte anche militarizzati.
I Verdi" avevano notevole propensione verso il monofisismo e radunavano i sostenitori di due nipoti di Anastasio, divenuti i capi di una forte opposizione legittimista: in un certo senso formavano il partito aristocratico.
Gli Azzurri, invece, formavano il partito popolare (dei Miserabili) e furono favoriti in ogni modo da Giustiniano, al punto di poter compiere impunemente i peggiori atti di arbitrio.

Azzurri e Verdi, tradizionalmente rivali, si coalizzarono contro il fiscalismo e l'autocrazia giustinianei e, per cause occasionali, diedero l'avvio a un moto durato 6 giorni di incendi e saccheggi. Verdi ed Azzurri prima si azzuffarono tra loro. Poi, gridando la parola d’ordine ‘Vittoria!’, fecero fronte comune contro Giustiniano I.

[modifica] La politica fiscale di Giustiniano I

Entrambi i gruppi dei Verdi e degli Azzurri già da tempo manifestavano insofferenza e malcontento: sia i "miserabili" che i "contribuenti" si sentivano vessati, soprattutto da parte di due ministri delle finanze. Questi due, con spregiudicata abilità, riuscivano con gabelle varie a estorcere tutti quei soldi che il "palazzo" ingoiava con le sue spese di magnificenza che Giustiniano pretendeva; ma anche per le enormi spese che l'avida sua sposa Teodora non lesinava per sé con i suoi capricci.

Questi due funzionari(Triboniano e Giovanni di Cappadocia (praefectus praetorio per Orientem, un grande statista, ma anche crudele quando si trattava di estorcere denaro per l'erario), che furono i padri di quel codice detto Codex Giustinianeo, anche loro non erano immuni dalla avidità, ed erano pronti sia a mercanteggiare la giustizia sia a modificare le leggi per accontentare il riccone di turno. E come succede in tutte le amministrazioni pubbliche corrotte, i dipendenti di tali ministri, i funzionari di ogni rango dell'amministrazione e fino all'ultimo capo degli spazzini, pensavano solo ad imitare i propri capi, con la conseguenza che le entrate erano appena sufficienti a distribuire il denaro fra di loro, visto che le finanze pubbliche dovevano alimentare così tante spese e riempire così tante tasche.

Era la "dazione ambientale", la "bustarella" che si era diffusa così tanto che non vi era più nulla di pubblico che non si pagasse due volte: allo stato la tassa e all'esattore "la mancia" per non essere da lui tassati maggiormente o per evitare le loro minacce di controlli rigorosi.

Tutto questo dava anche un senso di generale insicurezza nella giustizia oltre che provocare buchi enormi nelle finanze, sia nello Stato che nell'economia del singolo.

[modifica] Gli eventi della rivolta

Ed ecco che la protesta portò la popolazione della città e dei dintorni di Costantinopoli ad assediare il "palazzo", contro "la malvagità dei funzionari".
La sommossa iniziò al circo la mattina dell'11 gennaio, all'inaugurazione dei giochi.
All'entrata dell'imperatore al braccio della sua "Onoratissima moglie che Dio gli aveva dato", si levarono dei fischi, delle proteste, degli slogan di ribellione, ed infine lo slogan divenne solo uno: "Nika"; la rivolta si trasformò ben presto in una rivoluzione che dall'ippodromo si estese nelle vie e nelle piazze. Scontri, barricate, incendi e saccheggi distrussero diversi quartieri della città per 6 interi giorni.

Giustiniano si sentiva perso; prima si barricò nel palazzo per tre giorni, poi assunse dei provvedimenti immediati, cioè la prevedibile promessa di riduzione delle tasse e la minaccia di sanzioni ai caporioni di entrambi gli schieramenti.
Furono abbattuti i cancelli del palazzo imperiale: Giustiniano, atterrito da cinque giorni d’incendi e saccheggi, progettò di abbandonare la capitale. Aveva già ceduto ai rivoltosi, che chiedevano a gran voce la cacciata dei due odiati ministri, ma la concessione arrivava tardi, perché ora i rivoltosi volevano la sua destituzione proclamando imperatore il nipote Ipazio.
L'impero sembrava sull'orlo della guerra civile e Giustiniano in gran segreto mise insieme tutto il tesoro imperiale, ordinando di caricarlo su una nave pronta a salpare per la fuga.

[modifica] L'intervento di Teodora

Teodora, prendendo la parola in seno al consiglio, affermò che sarebbe rimasta al suo posto, pronta anche a morire. Teodora, ex ballerina di circo (dove probabilmente non voleva tornare), era stata avviata giovanissima alla prostituzione dalla madre, vedova di un domatore d’orsi. Aveva completamente soggiogato con le proprie arti erotiche Giustiniano I, più anziano di una quindicina d’anni. Il discorso fece effetto e perciò fu deciso di resistere alla folla inferocita che già abbatteva le cancellate del palazzo.

Da alcune fonti è stato ricostruito un verosimile intervento di Teodora: "Anche se con la fuga mi dovessi salvare, non vorrò vivere senza essere salutata da imperatrice, tanto vale morire qui; se vuoi, hai il denaro e la nave è pronta, vai pure; quanto a me, sapevo già che la mia porpora sarebbe stato il mio sudario, quindi non fuggirò con te, io resto!".

Tali parole diedero energie e coraggio ai suoi fidi funzionari che gli rimasero accanto. Poi impartì loro un ordine: di prelevare il tesoro, portarlo all'ippodromo e distribuirlo ai capi rivoltosi, al popolo, a tutti quelli che erano ancora nelle strade.

[modifica] Il ruolo di Narsete

Al comando della resistenza del palazzo reale vi era il generale eunuco Narsete in situazione di grave difficoltà; se non fossero arrivati al più presto dei rinforzi, il palazzo sarebbe stato invaso, e l'Imperatore con la sua corte uccisi. Abile amministratore e devotissimo della Madonna, Narsete rabbonì i capi della ribellione con l’argomento persuasivo del denaro, lo strumento più efficace della diplomazia bizantina. Egli distribuì ai ribelli della fazione degli Azzurri una parte del tesoro di Giustiniano. Lo stratagemma funzionò: Narsete ottenne di riconciliarsi personalmente con alcuni membri degli Azzurri (e con coloro che opportunamente avevano cambiato partito), e di far convergere sull'ippodromo tutti i rivoltosi.

[modifica] La strage dell'ippodromo

Dopo tre giorni di rivolta, il generale Belisario al comando dell'esercito imperiale era giunto alle porte della città, reduce dalla guerra persiana seguito da molti mercenari. Entrarono nell'ippodromo ognuno con i propri uomini, Narsete dalle porte, Belisario attraverso la sphendone, altri attraverso la porta a un unico battente del Kathisma imperiale raggiungendo l'arena, altri ancora passando dalla porta di Antioco e da quella chiamata Nekra.
Cominciarono a uccidere i popolani come capitava e nessuno fra i cittadini o gli stranieri che si trovavano all'ippodromo ebbe scampo. Morì fra questi anche Antipatro il vindix (un magistrato cittadino addetto alla raccolta delle tasse) di Antiochia di Teopoli.
Gli uomini del generale Belisario, aperte le porte, irruppero sul Kathisma imperiale con gli spatari catturando Ipazio assieme al patrizio Pompeo, suo cugino, e li portarono dall'imperatore. Quando furono introdotti alla sua presenza, caddero a terra dicendo: «Signore, abbiamo fatto molta fatica per radunare all'ippodromo i nemici della vostra maestà». L'imperatore rispose loro: «Avete fatto bene; ma se essi ubbidivano ai vostri ordini, per quale motivo non lo avete fatto prima che tutta la città bruciasse?». Disse quindi agli eunuchi, ai suoi spatari, a Eulalio il barbuto e ai candidati: «Prendete costoro e incarcerateli». Essi li portarono nei sotterranei del palazzo e rinchiusero Pompeo e Ipazio da soli. In quel giorno vennero massacrate a Palazzo circa 35.000 persone fra cittadini e stranieri. E non si vide più in giro neppure un popolano, ma vi fu calma fino a sera.

[modifica] La reazione di Giustiniano I

Il giorno dopo, 19 dello stesso mese di gennaio, i patrizi Ipazio e Pompeo furono uccisi e i loro corpi gettati in mare. Il cadavere di Ipazio fu ritrovato sulla spiaggia e l'imperatore ordinò che fosse sepolto assieme agli altri condannati a morte e che sopra il suo corpo fosse posta una placca con su scritto: «Qui giace l'imperatore della lupa».
Dopo alcuni giorni, però, ordinò ai parenti di prendere il corpo e seppellirlo. Questi lo portarono via deponendolo nella chiesa di s. Maura. Il corpo di Pompeo al contrario non fu più ritrovato. I loro beni vennero confiscati. Gli altri patrizi passati dalla parte di questi fuggirono chi in monasteri chi in edifici sacri. Alcuni subirono la confisca dei beni e l'esilio. Si ebbe grande paura del sovrano.

Belisario, venne ricompensato dall'Imperatore per la sua fedeltà, diventando generale di tutte le forze bizantine.

Ripreso possesso del trono, fatti giustiziare alcuni elementi del "Palazzo", che si erano subito schierati con i rivoltosi (Ipazio, nipote di Anastasio, nella rivolta si era proclamato imperatore), Giustiniano con i Persiani di Cosroe raggiunse un accordo, firmando una "pace perpetua" . In effetti, risolse il problema "pagando", cioè consegnandogli annualmente 110.000 libbre d'oro.
Una prezzo esoso, ma Giustiniano aveva eliminato il pericolo ad est e si era assicurato libertà di movimento in Occidente, dove doveva affrontare due grosse questioni: quella dell'Africa e soprattutto dell'Italia, che in pratica con Ravenna era il centro di tutto l'impero dell'Occidente ormai alla deriva.

[modifica] La ricostruzione del sito

Per volere di Teodora, la basilica di Santa Sofia in Costantinopoli nasce proprio sul terreno dell'ippodromo che si era inzuppato di sangue, e sull'area di una vecchia basilica che dai dimostranti era stata incendiata e completamente distrutta.
Iniziata subito in questo stesso anno, spianando tutto il sito, i lavori termineranno nell'anno 537.

Nasce con l'ambizioso intento di edificare il più grandioso e magnifico santuario della cristianità che mai fosse esistito (ed infatti rimase per lungo tempo una delle chiese bizantine più rappresentative). L'architetto Antemio di Tralle non badò a spese, e i materiali da costruzione pregiati furono fatti venire da tutto l'impero, comprese le colonne verdi provenienti dal famoso tempio di Artemide in Efeso, le colonne di porfido sottratte al tempio di Zeus ad Eliopoli, altre ancora di granito fatte arrivare dall'Egitto. Molti capitelli di queste colonne recano sempre il monogramma di Giustiniano e sua moglie Teodora. Il più grande capolavoro dell'arte bizantina fu inaugurato con grande pompa. Giustiniano fece questa affermazione "Sia lodato Dio che mi ha giudicato degno di realizzare quest'opera; o Salomone, ho superato la tua arte!". In effetti per anni fu il centro della cristianità bizantina, facendo concorrenza a Roma.
Nel 1453 Maometto il Conquistatore, il giorno stesso che mise piede nella città di Costantinopoli dette immediatamente ordine di trasformare questo santuario della cristianità in un moschea.
Mentre oggi. come stabilito dall'ultimo governante della Turchia, Ataturk, è stata trasformato in un grande museo.

Se oggi lo visitiamo, da alcuni ciceroni locali, ci viene indicata "la colonna piangente". Da secoli si narra che da una colonna di marmo stillino le lacrime di tutti quei 50.000 morti che erano stati massacrati barbaramente su quel terreno dove sorge la basilica, e che da quella colonna che affonda nel terreno venga su in superficie il pianto che vi hanno versato. La credenza è che toccando queste lacrime, esse compiono dei miracoli; eliminano le malattie della vista quando con quelle "lacrime" ci si inumidisce gli occhi.

Più verosimilmente è che questa colonna di marmo poroso -forse in profondità appoggiata su una falda acquifera- assorbe per capillarità l'acqua fino a portarla in superficie e a farla trasudare dalla parete della colonna.

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