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Successione apostolica - Wikipedia

Successione apostolica

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La successione apostolica è una dottrina teologica cristiana secondo la quale gli apostoli avrebbero trasmesso la loro autorità a dei successori, i vescovi, attraverso l'imposizione delle mani, costituendo quello che sarebbe divenuto l'ordine sacro. L'accettazione di questa dottrina è alla base della struttura episcopale delle maggiori chiese orientali e occidentali.

[modifica] Teologia cattolica

Per ciò che concerne la teologia cattolica possiamo affermare che la successione nella funzione episcopale si presenta come continuità del ministero apostolico, garanzia della perseveranza nella Tradizione apostolica affidata dal Signore: l'apostolicità della Chiesa non si realizza soltanto nella "identità dottrinale del suo insegnamento con quello degli Apostoli", ma attraverso la continuazione del compito degli apostoli mediante la struttura della successione, in forza della quale la missione apostolica dovrà durare sino alla fine dei secoli. Il legame fra il Collegio dei Vescovi e la comunità originaria degli Apostoli è inteso innanzitutto nella linea della continuità storica: ai Dodici viene associato prima Mattia, poi Paolo, poi Barnaba, poi altri, fino alla formazione, nella seconda e terza generazione, del ministero del vescovo. Quindi la continuità si esprime in questa catena storica. E nella continuità della successione sta la garanzia del perseverare, nella comunità ecclesiale, del Collegio apostolico raccolto intorno a sé da Cristo. Ma questa continuità, che vediamo prima nella continuità storica dei ministri, è da intendere anche in senso spirituale, perché la successione apostolica nel ministero viene considerata come luogo privilegiato dell'azione e della trasmissione dello Spirito Santo.


Una chiara eco di queste convinzioni la si ha, ad esempio, nel seguente testo di Ireneo di Lione (seconda metà del II sec.): La tradizione degli Apostoli, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi... (Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo (Adversus haereses, III, 3,1: PG 7,848).

Quello che rappresentano gli Apostoli nel rapporto fra il Signore Gesù e la Chiesa delle origini, lo rappresenta analogamente la successione ministeriale nel rapporto fra la Chiesa delle origini e la Chiesa attuale. Non è una semplice concatenazione materiale; è piuttosto lo strumento storico di cui si serve lo Spirito per rendere presente il Signore Gesù, Capo del suo popolo, attraverso quanti sono ordinati per il ministero attraverso l'imposizione delle mani e la preghiera dei vescovi.

Alcuni studiosi del Novecento che negano il principio della successione hanno poi proposto ipotesi di successione. O. Cullmann, ad esempio, si pronunciò con grande chiarezza contro l'idea di successione; riteneva tuttavia di poter dimostrare che Pietro sarebbe stato sostituito da Giacomo e che questi avrebbe esercitato il primato di colui che in precedenza era stato il primo degli apostoli (cf. Mt 10,2). Bultmann, a partire dalla menzione delle tre colonne in Gal 2,9, crede di poter concludere che da una direzione personale si sarebbe passati a una direzione collegiale e che un collegio sarebbe subentrato nella successione di Pietro. Il fondamento di queste teorie è piuttosto debole. Tuttavia si dimostra che l'idea della successione non può essere elusa, se si considera la parola tramandata davvero come uno spazio aperto al futuro.

Sempre per i cattolici la concezione protestante secondo cui la "successione" si trova solo nella Parola come tale, ma non in "strutture" di qualsiasi genere, si rivela anacronistica, sulla base della forma effettiva della tradizione neotestamentaria. La Parola è legata ad un testimone: il sacramento designa il triplice intrecciarsi di Parola ­ testimone - Spirito Santo e Cristo, che descrive la struttura specifica della successione neotestamentaria. La generazione apostolica ha dato a questo reciproco intrecciarsi di persona e parola, nella presenza creduta per fede dello Spirito e di Cristo, la forma dell'imposizione delle mani (si vedano gli Atti degli Apostoli e le Lettere Pastorali, nel Nuovo Testamento).

Ben presto con l'insorgere della Gnosi non fu più sufficiente il rimando a singoli testimoni. La Gnosi innalzò a suo principio la libera interpretazione e lo sviluppo speculativo della Parola. Diventarono necessari dei punti di riferimento per la testimonianza, che vennero trovati nelle cosiddette sedi apostoliche, cioè in quei luoghi in cui gli apostoli avevano operato. Le sedi apostoliche diventano i punti di riferimento della vera communio. All'interno di questi punti di riferimento, tuttavia, si dà ancora un preciso criterio, che riassume in sé tutti gli altri (con chiarezza presso Ireneo di Lione): la Chiesa di Roma, in cui Pietro e Paolo hanno sofferto il martirio.

Scrive Ireneo di Lione:

  • A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata... (Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848).

Con la Chiesa di Roma ogni singola comunità deve essere in accordo, essa è veramente il criterio dell'autentica tradizione apostolica. Del resto Eusebio di Cesarea, nella prima redazione della sua Storia ecclesiastica, ha fatto una descrizione dello stesso principio: il contrassegno della continuità della successione apostolica si concentra nelle tre sedi petrine di Roma, Antiochia e Alessandria, dove Roma, quale luogo del martirio, è ancora una volta, delle tre sedi petrine, quella preminente, quella veramente decisiva.

La missione iniziale di Gerusalemme è passata a Roma, ragion per cui Gerusalemme non solo non fu "sede patriarcale" ma non fu mai neppure sede metropolitana: Gerusalemme "risiede" ora in Roma e il suo primordiale titolo di preminenza si è trasferito, con la partenza di Pietro, nella capitale del mondo pagano.

Il luogo del martirio apparirà chiaramente come il detentore principale della suprema autorità petrina e giocherà un ruolo preminente nella formazione della nascente Tradizione ecclesiale e, in particolare, nella formazione del Nuovo Testamento come Bibbia. Potremmo affermare che il primato romano, cioè il riconoscimento di Roma quale criterio della fede autenticamente apostolica, è più antico del canone del Nuovo Testamento, della Scrittura: la Scrittura è più recente degli scritti da cui è costituita. Per lungo tempo l'esistenza dei singoli scritti non diede ancora luogo al Nuovo Testamento come Scrittura, come Bibbia. La raccolta degli scritti nella Scrittura è piuttosto opera della Tradizione, che cominciò nel II secolo, ma che solo nel IV e V secolo giunse in qualche misura a conclusione.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • O. Karrer, Um die Einheit der Christen. Die Petrusfrage, Frankfurt 1953; Apostolische Nachfolge und Primat, in Feiner - Trutsch - Bockle, Fragen der Theologie heute, Freiburg 1957, pp. 175-206; Das Petrusamtin der Fruhkirche, in Festgabe J. Lortz, Baden-Baden 1958, pp. 507-525; Die biblische und altkirchliche Grundlage des Papsttums, in Lebendiges Zeugnis 1958, pp. 3-24.
  • O. Karrer, Begegnung der Christen, a cura di Roesle-Cullmann, Frankfurt 1959; in particolare K. Hofstetter, Das Petrusamt in der Kirche des 1. und 2., Jahrhunderts, pp. 361-372.
  • R. Bultmann, Die Geschichte der synoptischen Tradition, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 8.Aufl. 1970 (= 2. Aufl. 1931)
  • Joseph Ratzinger, La Chiesa, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 1992, 2 ed.
  • O. Cullmann, Petrus – Junger – Apostel – Martyrer, Zurich, 1952.
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