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Spedizione germanica di Germanico - Wikipedia

Spedizione germanica di Germanico

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La campagna condotta da Germanico in Germania, svoltasi dal 15 al 17 DC era volta a riprendere il controllo dei popoli ribellatisi al potere romano in quelle terre. Dopo la disfatta di Varo a Teutoburgo, i romani avevano abbandonato tutta la Germania oltre il Reno (tranne alcuni forti costieri a nord); Tiberio che era succeduto ad Augusto proseguì la politica del suo predecessore e volendo evitare altre perdite (in un periodo in cui era già difficile arruolare nuovi soldati) aveva condotto una politica pacifista verso i germani. Utilizzando la diplomazia Tiberio era riuscito ad ottenere discreti risultati oltre il Reno ma Arminio e gli altri ribelli continuavano a resistere e questo era già di per se un pericolo. Così Tiberio finì con l'accettare la proposta di Germanico, che secondo il volere di Augusto aveva adottato come proprio erede designato, di riprendere una politica militare attiva contro la ribellione delle tribù germaniche.

Indice

[modifica] L'impresa

A Roma la situazione era complessa e la lontananza dell'erede designato avrebbe indebolito la sua posizione ed era dunque necessario che questa non si prolungasse troppo e che a breve termine si ottenessero buoni risultati nella campagna militare.

[modifica] Anno 15

Germanico si rese conto che attaccare i ribelli per terra era troppo rischioso e fece costruire una flotta per trasportare le truppe direttamente nelle terre germaniche. I ritardi nella realizzazione della flotta, con il pericolo che nel frattempo il suo incarico di governatore scadesse senza essere rinnovato, lo indussero tuttavia, ad attraversare il Reno avanzando verso l'Ems. Mise a ferro e fuoco il territorio tra questo fiume e la Lippe, scatenando la reazione dei Butteri: questi tentarono di assalirlo alla sinistra, ma furono attaccati e sconfitti da Lucio Stertinio che si riuscì a rientrare in possesso dell'insegna della XIX legione, caduta in mano dei Germani sei anni prima, nella disfatta di Varo.

Ottenuti questi successi, Germanico volle vedere i luoghi dove le tre legioni erano state massacrate e si inoltrò nella foresta di Teutoburgo. Il terreno era disseminato per chilometri dei resti dell'esercito distrutto e Germanico diede l'ordine di seppellire i corpi. Decise poi di ritirarsi, temendo che i Cherusci si stessero preparando a circondare le sue truppe. La ritirata non fu delle più fortunate e rischiò di conlcudere la spedizione con un nuovo disastro. Una parte dell'esercito, comandata da Publio Vitellio, costretto a marciare lungo la costa, fu sorpresa dall'alta marea, riuscendo a stento a salvarsi, ma con la perdita di tutti i bagagli; un'altra parte, comandata da Aulo Cecina cadde in un'imboscata presso i "ponti lunghi" ma venne salvata dalla pronta reazione della I Legione. La situazione dei Romani era tuttavia talmente critica che circolarono voci sulla morte di Cecina: temendo un'invasione dei Germani vincitori, alcuni soldati tentarono di tagliare il ponte che collegava le due rive del fiume, fortunatamente senza riuscirvi: in caso contrario la via della ritirata per il corpo di spedizione sarebbe stata tagliata. Nel frattempo Cecina riusciva invece a tenere testa agli assalti dei Germani e a costruire un campo trincerato in una posizione favorevole. Assalito qui da Arminio, passò alla controffensiva, sconfiggendo i Germani in una sanguinosa battaglia, nella quale uno dei loro capi, Inguiomero, rimase gravemente ferito.

Tornato l'esercito oltre il Reno e sopraggiunto nel frattempo l'inverno, si attese che la flotta fosse pronta per riprendere le operazioni di guerra.

[modifica] Anno 16

Arrivata la primavera Germanico decise di riprendere le operazioni e un corpo di spedizione fu trasportato dalla flotta, finalmente pronta, alla foce dell'Ems: otto legioni e molte migliaia di ausiliari invasero il territorio degli Angrivarii devastandolo. Successivamente l'esercito marciò verso il fiume Weser, raggiunto nell'estate dello stesso anno: i Romani sulla riva sinistra fronteggiavano i Germani su quella destra e le vicende della battaglia ci sono raccontate dallo storico Tacito:

Scorreva tra i Romani e i Cherusci il fiume Visurgi. Arminio con altri capi si fermò sulle rive Arminio e domandò se Cesare Germanico fosse giunto. Alla risposta affermativa, chiese di poter parlare col fratello. Costui militava nell'esercito col nome di Flavio, soldato di straordinaria fedeltà e privo di un occhio, perduto, in seguito ad una ferita pochi anni prima, sotto il comando di Tiberio. Dopo l'autorizzazione al colloquio del comandante, Stertinio lo accompagnò alla riva e, fattosi avanti Flavo, viene salutato da Arminio, il quale, allontanata la sua scorta, chiese il ritiro dei nostri arcieri, schierati lungo la riva. Dopo il loro arretramento, chiese al fratello l'origine di quello sfregio al volto. Quest'ultimo gli illustrò il luogo e la battaglia; e allora vollel sapere quale compenso ne abbia avuto. Flavo rammentò lo stipendio accresciuto, la collana, la corona e gli altri doni militari, tra il dileggio di Arminio per quegli insignificanti compensi alla sua servitù.

Il fiume di cui parla Tacito "Visurgi" non è altro che il Weser. Sempre Tacito narra come si mossero gli eserciti e cosa i comandanti dissero per incitare i soldati:

Si mossero, da quel momento, su due linee opposte: gli argomenti dell'uno sono la grandezza di Roma, la potenza di Cesare, le pene severe destinate ai vinti, la clemenza assicurata a chi accetta la resa, il trattamento tutt'altro che ostile riservato alla moglie e al figlio di Arminio; l'altro ricorda il valore sacro della patria, l'avita libertà, gli dèi della nazione germanica, la madre che si univa a lui nelle preghiere, perché non abbandonasse parenti e amici e, in una parola, tutta la sua gente, e non preferisse di essere un traditore invece che il loro capo. Scesi quindi, a poco a poco, agli insulti, rischiavano di lasciarsi trascinare allo scontro, nonostante che li dividesse il corso del fiume, se Stertinio, accorso, non avesse trattenuto Flavo, che, in preda all'ira, chiedeva armi e cavallo. Si scorgeva dall'altra parte Arminio, minaccioso, in atto di lanciare la sfida; inframmezzava infatti espressioni in latino, per aver prestato servizio nel campo romano a capo della sua gente.

Quindi Tacito continua spiegando il momento della battaglia:

Il giorno dopo i Germani si schierarono a battaglia al di là del Visurgi. Cesare, ritenendo un gesto da pessimo comandante mandare le legioni allo sbaraglio, senza aver prima gettato i ponti e disposti i presidi, fece passare a guado la cavalleria. La guidavano Stertinio ed Emilio, uno dei centurioni primipili, che scesero in campo in luoghi distanziati, per dividere l'esercito nemico. Là dove era più violenta la corrente, balzò a terra Cariovaldo, il capo dei Batavi; i Cherusci, fingendo la fuga, lo attirarono in una piana circondata da boschi, poi, balzati fuori, si riversarono da ogni parte, travolsero i nemici che stavano loro dinnanzi, li incalzavano nella ritirata, portando ripetute cariche sugli avversari, raccoltisi nel frattempo in cerchio, mentre altri li scompigliavano con lanci da lontano. Cariovaldo resse a lungo la furia nemica, poi esortò i suoi a sfondare, in gruppi serrati, le schiere che li investivano, e, gettatosi nel folto della mischia, trafittogli dal basso il cavallo, s'abbatté sopraffatto dai dardi, e attorno a lui cadevano molti nobili; gli altri si salvarono o col proprio valore o col soccorso della cavalleria di Stertinio e di Emilio.

I Batavi una volta caduti nell'imboscata dei Cherusci vennero dunque salvati solo dall'intervento della cavalleria romana. Tacito ci racconta che alcuni disertori Cherusci raccontarono a Germanico che per la nottata era previsto un attacco al campo romano. Questo attacco ebbe effettivamente luogo, ma vista la preparazione dell'esercito romano i Germani fuggirono.

Il giorno dopo i Germani e i Romani si prepararono per una battaglia campale che si svolse presso la pianura di Idistaviso. Tacito parlando della preparazione alla battaglia ci parla dell'armamento dei Germani e di come si comportavano in caso di sconfitta e vittoria in una battaglia:

I Germani non avevano corazza né elmo e neppure scudi rinforzati con ferro o cuoio, bensì intrecci di vimini e leggere tavole dipinte; solo la prima fila, se così la si vuole chiamare, era armata di lance, gli altri impiegavano dardi corti o induriti in punta col fuoco. E avevano, si, il corpo di feroce imponenza all'aspetto e adatto a brevi assalti, ma incapace di resistere alle ferite: si davano alla fuga insensibili al disonore, senza curarsi dei capi, pavidi nella disfatta, dimentichi di ogni legge umana e divina nel successo.

La decisione di Arminio di dare battaglia in campo aperto fu dunque un grave errore: di fronte alla preparazione dell'esercito romano, perfettamente armato e addestrato i Cherusci avrebbero dovuto continuare con la tattica della guerriglia, usata fino a quel momento. Tacito giudica la scelta di Arminio con la seguente frase:

Se i Romani, stanchi di marce per terra e di viaggi per mare, ne desideravano la fine, ecco l'occasione con questa battaglia.

Tacito continua con il racconto della battaglia:

Così, accesi e impazienti di lotta, vennnero condotti nella piana detta Idistaviso, che si stende, varia, tra il Visurgi e le colline, secondo il rientrare delle rive e il protendersi dei colli. Alle spalle dei Germani svettava una foresta con rami altissimi e col terreno sgombro fra i tronchi degli alberi. L'esercito dei barbari occupò la piana e il margine della foresta; solo i Cherusci si stabilirono sulle alture, per buttarsi dall'alto sui Romani, impegnati a combattere. Il nostro esercito avanzò così disposto: gli ausiliari Galli e Germani in testa, seguiti dagli arcieri appiedati; poi quattro legioni e, con due coorti pretorie e cavalleria scelta, Cesare; da ultimo le altre quattro legioni, la fanteria leggera, gli arcieri a cavallo e le altre coorti alleate. Attenti, i soldati si tenevano pronti a conservare l'ordine di marcia in identico assetto di combattimento. Viste le orde dei Cherusci precipitarsi giù con furia selvaggia, Germanico diede ordine ai migliori cavalieri di caricare i nemici sul fianco e a Stertinio, cogli altri squadroni, di aggirarli e attaccarli alle spalle: lui sarebbe intervenuto al momento migliore. Frattanto - presagio bellissimo - otto aquile attrassero l'attenzione del comandante: le vide volare verso la foresta e poi entrarvi. Gridò ai suoi di andare avanti, di seguire gli uccelli di Roma, divinità protettrici delle legioni! E subito avanzarono i fanti schierati, mentre i cavalieri, già lanciati all'attacco, investirono le spalle e i fianchi nemici. Allora, cosa strabiliante, due squadroni nemici fuggirono in senso opposto: quelli disposti nella foresta si lanciavano allo scoperto e quelli schierati in campo aperto nella foresta: nel mezzo i Cherusci, ributtati giù dai colli. Tra questi, ben visibile, Arminio, coi gesti, con le grida e mostrando la ferita, cercava di rianimare il combattimento. S'era lanciato sugli arcieri, che stava per sfondare, se non l'avessero fronteggiato i reparti dei Reti e dei Vindelici e le coorti dei Galli. Tuttavia grazie alla prestanza fisica e all'impeto del cavallo riuscì a passare, imbrattandosi il volto col proprio sangue, per non essere riconosciuto. Sostengono alcuni che i Cauci, impegnati tra gli ausiliari romani, pur avendolo riconosciuto, l'abbiano lasciato fuggire. Il valore o un analogo inganno consentirono a Inguiomero la fuga. Gli altri, su tutto il campo, furono trucidati. Molti, nel tentativo di passare a nuoto il Visurgi, s'inabissarono sotto il lancio dei dardi o per la violenza della corrente, oppure ancora nella calca degli uomini in fuga e sotto il franare delle sponde del fiume. Alcuni, arrampicatisi in turpe fuga sulle cime degli alberi e nascosti fra i rami, divennero, tra lo scherno, il bersaglio di arcieri richiamati a tale scopo; per gli altri fu la fine nello schianto degli alberi abbattuti. Quella vittoria fu grande e non ci costò molto sangue. Dalla quinta ora del giorno fino a notte, i nemici trucidati ingombrarono con cadaveri e armi un tratto di dieci miglia; fra le spoglie si trovarono le catene che, sicuri della vittoria, avevano portato per i Romani.

In breve si può dire che la battaglia durò diverse ore che entrambi gli eserciti erano grandemente motivati e che i Germani prima di fuggire combatterono eroicamente. Alla fine la vittoria dei Romani fu dovuta alla loro superiorità tattica, d'addestramento (con una maggiore resistenza) e di armamento. I Romani innalzarono sul campo di battaglia un trofeo con il nome dei popoli vinti.

La sconfitta di Idistaviso, tuttavia, anziché scoraggiare i barbari li irritò: i Cheruschi, radunate nuove forze, si posero in agguato presso una foresta per la quale i Romani dovevano transitare. Tuttavia Germanico, informato delle loro mosse, attaccò l'esercito nemico, infliggendo ai Germani una grave sconfitta con molte perdite, aumentate dall'ordine che aveva dato di non fare prigionieri. In seguito a questa nuova vittoria, Germanico fece innalzare un altro trofeo con l'iscrizione: "L'esercito di Tiberio Cesare, vinte le popolazioni tra l'Elba e il Reno, consacrò questo monumento a Marte, a Giove e ad Augusto".

Sopraffatti i Cheruschi, Germanico mandò parte delle truppe verso il Reno per la via di terra, poi con il resto dell'esercito raggiunse l'Ems e con la flotta discese il corso del fiume fino al mare, dove una furiosa tempesta causò perdite, fortunatamente non gravi, di uomini e di navi. La campagna si chiuse con una incursione nella regione dei Catti e dei Marsi, i quali però, all'apparire delle legioni, si dispersero nelle foreste.

[modifica] Conclusione della spedizione

A Roma fu accolto con grande favore il seppellimento dei legionari morti nella disfatta di Varo, ma i seguenti successi di Germanico suscitarono la diffidenza dello stesso imperatore, preoccupato della crescente popolarità del nipote presso il popolo. Tiberio pur permettendo la celebrazione del suo trionfo richiamo quindi Germanico dai territori conquistati e lo mandò nelle province orientali, dove morì nel 19 DC.

Tiberio decise quindi di sospendere le attività militari oltre il Reno e iniziò una politica diplomatica per portare la pace su tutto il nord dell'Europa.

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