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Dialetto piacentino - Wikipedia

Dialetto piacentino

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, in seguito a discussione, si è deciso di usare nella nomenclatura delle pagine il termine lingua per quelle riconosciute come tali nella codifica ISO 639-1, ISO 639-2 oppure ISO 639-3, approvata nel 2005. Per gli altri idiomi, viene usato il termine dialetto. (elenco ufficiale)

Dialetto piacentino ()
Creato da: {{{creatore}}} nel {{{anno}}}
Contesto: {{{contesto}}}
Parlato in: Italia
Regioni:Parlato in: Provincia di Piacenza
Periodo: {{{periodo}}}
Persone: ~150 mila
Classifica: Non in top 100
Scrittura: {{{scrittura}}}
Tipologia: {{{tipologia}}}
Filogenesi:

Indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Occidentali
     Galloiberiche
      Galloromanze
       Galloitaliche
        Emiliano
         
          Dialetto piacentino
           
            
             
              

Statuto ufficiale
Nazioni: -
Regolato da: nessuna regolazione ufficiale
Codici di classificazione
ISO 639-1 {{{iso1}}}
ISO 639-2 roa
ISO 639-3 {{{iso3}}}
SIL EML  (EN)
SIL {{{sil2}}}
Estratto in lingua
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo - Art.1
Il Padre Nostro
Traslitterazione
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Lingua - Elenco delle lingue - Linguistica
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Il dialetto piacentino (dialët piasintëin) è un dialetto della lingua emiliana, appartenente al gruppo linguistico gallo-italico, parlato nella provincia di Piacenza. Risente di forti contaminazioni dovute alla lingua lombarda (soprattutto nel lessico e in diverse espressioni idiomatiche), a quella piemontese e, in forma minore, a quella ligure. Presenta vistose somiglianze con il lombardo occidentale o insubre.

E' nato dal latino volgare innestatosi sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli che popolavano il Nord Italia. Come gli altri dialetti gallo-italici, nella storia ha subito diverse influenze, tra cui quella longobarda (la città fu sede ducale longobarda nel Medio Evo). In epoche più recenti è stato influenzato dal francese e dal toscano. Ad esempio tramite il francese è stato introdotto il vocabolo gudron e successivamente catràm dal toscano, entrambi col significato di catrame.


Indice

[modifica] Diffusione

Il piacentino, con qualche diversità lessicale o legata alla pronuncia delle vocali, è parlato nella città di Piacenza, in Val Nure approssimativamente fino a Ponte dell'Olio incluso, in Val Trebbia approssimativamente fino a Travo incluso, in Val Tidone e nella tributaria Val Luretta dove si registra qualche marcato cambio vocalico, nei comuni di Carpaneto Piacentino e Cadeo. Fino a qualche decennio fa (probabilmente intorno alla fine della Seconda Guerra Mondiale) esistevano ben quattro varianti nella sola parlata della città di Piacenza, mentre nelle frazioni era diffusa la pronuncia vocalica della campagna, quella che viene parlata fino in collina e che i piacentini definiscono "dialetto arioso" (dialët ariùs).

In Val d'Arda e nella Bassa Piacentina il dialetto è comunque da ritenersi collegato al piacentino anche se presenta proprie particolarità, sia lessicali che fonetiche. In alcuni comuni della pianura nord-orientale come Monticelli d'Ongina e Castelvetro Piacentino sfuma nel dialetto cremonese.

Sull'Appennino (nelle alte valli del Nure, della Trebbia e dell'Aveto) la parlata si avvicina maggiormente alla lingua ligure, ad una sua variante o comunque ad una forma transitoria tra piacentino e genovese. Quanto più si abbandona il fondovalle raggiungedo frazioni distanti dai capoluoghi comunali o ci si avvicina al confine con la Liguria, quanto più sono percepibili le cadenze liguri. Ad esempio al gat (il gatto) in piacentino, diventa u gat a Ferriere e u gattu nelle frazioni ferrieresi. Ad Ottone le somiglianze col genovese sono ancor più marcate ed il dialetto locale è indubbiamente ligure. I dialetti dell'Appennino Piacentino spesso risultano difficilmente intelliggibili per i piacentini della collina e della pianura. Esempio: malä (malato, ammalato) in piacentino, marottu nel comune di Farini.

In alcuni dialetti della provincia di Parma, parlati in comuni confinanti con quella di Piacenza quali Fidenza o Salsomaggiore Terme, si rintracciano forti legami col piacentino. Lo stesso avviene nel Basso Lodigiano dove a San Rocco al Porto, Caselle Landi e Guardamiglio, vicinissimi alla città di Piacenza, la parlata non si discosta eccessivamente da quella qui analizzata, almeno non più di quanto non lo sia quella della Bassa Pianura piacentina.

[modifica] Caratteristiche

Un fenomeno linguistico tipico del piacentino è la prostesi della a per cui molti vocaboli aggiungono questa vocale alla forma tradizionale. Bsont (unto) può diventare absont e sporc (sporco) asporc se la parola precedente termina per consonante: piat absont; tüt asporc.

Altro tratto comune del piacentino e tipico in tutte le parlate emiliane è la sincope delle vocali non accentate, specialmente e. Ad esempio il sostantivo rèsega (sega), diffuso in Lombardia, nel territorio piacentino perde la seconda e per diventare rësga; il verbo lombardo lecà diventa lcä, ma per prostesi è molto comune la forma alcä. Il verbo milanese resentà (risciacquare) nel Piacentino diventa rsintä per sincope in quanto la prima vocale non è accentata e poi arsintä per prostesi. La sincope non è però così accentuata come in altre parlate di tipo emiliano.

[modifica] Fonetica e norme di pronuncia

Il piacentino manca di una definitiva codificazione della grafia. Per esempio non è stato chiarito se il suono della s sonora (come nell'italiano rosa) debba essere scritto con s o z (cesa o ceza?); nella compilazione di un importante dizionario piacentino-italiano si è deciso di scrivere le vocali doppie -nonostante non siano pronunciate doppie ma semplici- sulla base di un'analogia con l'italiano, così come comune ai due principali poeti dialettali di Piacenza; incertezza vi è anche riguardo al suono k in finale di parola (pratic o pratich?).

Le convenzioni qui utilzzate sono ricavate da fonti diverse e non hanno alcuna pretesa di essere corrette (per questo alcune parole sono state trascritte sia con le vocali doppie che con una semplice). Sono escluse le forme dialettali appenninniche, sensibilmente diverse dal piacentino e dalle varianti più simili.


a in finale di parola appare sfumata, poco accennata;

ä è pronunciato come un suono intermedio tra a ed è, oppure come una e molto aperta (è). In Val Tidone è una a lunga, mentre in Val d'Arda e nella Bassa Pianura nord-orientale è pronunciata come a. Peculiarità della zona di Vigolzone e Ponte dell'Olio è quella di pronunciarla come una semplice a esclusivamente nel dittongo -äi o nel trittongo -äia (mäi, caväi, tuäia);

e vi sono delle differenze nel piacentino parlato entro le mura urbane e quello delle campagne. In città è quasi sempre una e chiusa (suréla), mentre in campagna la vocale si apre (surèla). Vi sono comunque parole in cui il suono chiuso è mantenuto anche fuori città (vérd);

ë in città (e a Cortemaggiore dove il dialetto si discosta dal piacentino) viene pronunciata come una o chiusa (biciclëta, vëd). Più frequentemente, al di fuori della città, è una semivocale (come nel dittongo –ëi), ma si potrebbe dire che in alcuni casi arriva ad assumere un suono intermedio tra a e o. Spesso vi sono ambiguità ed incertezza tra ë ed a, tant'è che un noto dizionario riporta alcune parole scritte con entrambe le versioni (bëgulëin o bagulëin);

ö in città (e a Cortemaggiore) non vi è distinzione tra questa vocale e la ë analizzata precedentemente che non si discostano da una o chiusa: pertanto le vocali nelle parole pont, biciclëta e vöia assumono quasi lo stesso suono (solo in parole come pont la vocale risulta più aperta tra i soli parlanti del centro storico di Piacenza). Al di fuori delle mura cittadine è la classica vocale di origine celtica e si pronuncia come la ö tedesca (skandalös), il dittongo francese eu (beurre), la i inglese di girl oppure la o inglese di world;

ü un’altra vocale di origine celtica, il cosiddetto ü lombardo corrispondente alla u francese di but o alla ü nel tedesco brüder;

n in finale di parola è nasale come in francese, ma talvolta questo fenomeno si riscontra anche all’interno delle parole. Quando è seguita dal dittongo –ëi non si pronuncia;

r per un difetto molto comune tra i piacentini, soprattutto della città, che col passare del tempo sembra estinguersi è moscia, ma ha una sua peculiarità rispetto a quella francese, parmigiana o alessandrina.

c' : ha un suono palatale di c di cena (snocc', ciacc'ra, cavicc' ecc.)

gg' (o g): ha un suono palatale di g di gelo (arlogg' , magg' , sgagg' ecc.)

s'c : s+c palatale e disgiunte (s'ciüss, s'ciappa, s'cianc, brus'ciä)

gl : suona g+l (disgiunte) se di fronte a ë

cc (o c) : k davanti ad a, o, u e in posizione finale (cicch o cich, ciacc o ciac, cicca o cica, bislacc o bislac)

ch : k (chippia, simpatich, alfabetich)

[modifica] Confronto con l’italiano

  • Il piacentino ha una maggiore ricchezza vocalica dell’italiano. La pronuncia delle vocali, inoltre, cambia da una zona all’altra risultando più aperta o più chiusa.
  • Le sillabe latine ce/ci/ge/gi sono diventate sibilanti: gingiva ha dato zinzìa;
  • Al contrario dei pronomi soggetto dell’italiano che derivano direttamente dal latino, quelli del piacentino derivano dai pronomi oggetto del dativo latino. Per questo i pronomi oggetto del piacentino assomigliano ai pronomi oggetto dell’italiano (fatto che in tempi di minor scolarizzazione e diffusione dell’italiano creava problemi e confusione): me/mi (io), te/ti (tu), (egli), le (ella), nuätar/noi (noi), viätar (voi), lur (essi, esse).
  • A differenza dell’italiano dove la negazione precede il verbo (es: non bevo), nel piacentino avviene il contrario e la negazione segue il verbo: bev mia. La negazione miga, utilizzata, dai due principali poeti dialettali piacentini sembra ormai un arcaismo scomparso, sostituita da mia.
  • Sono molto frequenti i verbi seguiti da una preposizione o da un avverbio che ne modifica il significato, come avviene in inglese con i "phrasal verb" (es: "to take", "to take off", "to take up"). Ad esempio il verbo lavä (lavare) può diventare lavä zu (lavare i piatti); tirä (tirare, trainare) può diventare tirä via (togliere); trä (tirare, lanciare) può diventare trä sö (oppure )/indré (vomitare), trä via (gettare, buttare), trä zu (buttare giù, demolire). Specialmente trä sö/ e lavä zu ricordano curiosamente le forme inglesi "to threw up" e "to wash up".
  • E’ più diffuso l’uso del modo finito del verbo (forma esplicita) al posto dell’infinito: so di scrivere male è reso con so ca scriv mäl

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