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Battaglia di Fornovo - Wikipedia

Battaglia di Fornovo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Battaglia di Fornovo
Parte Prima guerra italiana
Data: 6 luglio, 1495
Luogo: Fornovo, sud ovest di Parma, Italia
Esito: Vittoria tattica francese; vittoria strategica italiana
Schieramenti
Francia Venezia,
Milano
Comandanti
Carlo VIII di Francia Francesco II Gonzaga
Effettivi
5000 12500
Perdite
400 morti o feriti[1] 3300 morti o feriti[2]

La Battaglia di Fornovo ebbe luogo nel luglio del 1495 durante le Guerre Italiane. I francesi sbaragliarono gli italiani durante il combattimento, ma Carlo VIII di Francia perse tutto il suo bottino e dovette abbadonare ogni pretesa in Italia, rendendo la battaglia una vittoria strategica per la Lega Santa, in particolare per Venezia.

Madonna della vittoria, Andrea Mantegna, Parigi, Louvre, ex-voto di Francesco II Gonzaga per la cappella di Santa Maria della Vittoria a Mantova per commemorare la battaglia di Fornovo
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Madonna della vittoria, Andrea Mantegna, Parigi, Louvre, ex-voto di Francesco II Gonzaga per la cappella di Santa Maria della Vittoria a Mantova per commemorare la battaglia di Fornovo

Indice

[modifica] Prologo

Carlo VIII sognava una sua crociata contro gli infedeli e la riconquista di Gerusalemme. Per attuare questo piano pensò di conquistare il Regno di Napoli, verso il quale vantava nebulosi diritti per via della nonna paterna, Maria di Angiò (14041463).

Per avere mani libere in Italia, Carlo stipuló patti rovinosi con i vicini: a Enrico VII venne dato del denaro, a Ferdinando II di Aragona venne dato il Rossiglione e a Massimiliano I venne dato l' Artois e la Franca contea. Tutto questo per avere una base nel Regno di Napoli per le crociate in terra santa.

Gli stati italiani erano abituati ad assoldare bande di mercenari tramite contratti detti "condotte", stipulati tra le signorie e i cosiddetti "Condottieri". Le tattiche di battaglia miravano quindi a minimizzare i rischi e a catturare facoltosi prigionieri; l'aspetto economico era quindi dominante. Questo modo di guerreggiare si dimostró perdente contro le motivate truppe francesi e spagnole che si apprestavano a sommergere la penisola.

[modifica] Le fonti

Alessandro Beneditti, nel suo Diaria de Bello Carolino dà uno dei migliori resoconti della battaglia. Beneditti era un medico al servizio dei veneziani e iniziò il suo diario nel maggio del 1495, e un mese più tardi fù un testimone oculare della battaglia. La battaglia è descritta nei capitoli dal 29 al 60 del libro 1.

Francesco Guicciardini descrisse la battaglia di fornovo nei capitoli 8 e 9, libro 2 della sua "Storia d'Italia".

[modifica] La campagna

Carlo VIII era in buoni rapporti con le due potenze del nord Italia, Milano e Venezia, ed entrambe lo avevano incoraggiato a far valere le proprie pretese sul Regno di Napoli. Cosí assunse di avere il loro supporto contro Alfonso II di Napoli, e contro il pretendente rivale che era Ferdinando II di Aragona, Re di Spagna. Alla fine di agosto del 1494 Carlo VIII condusse un potente esercito francese con un grosso contingente di mercenari svizzeri e la prima formazione di artiglieria mai vista in Italia. Ottenne il libero passaggio da Milano, ma venne osteggiato da Firenze, Papa Alessandro VI, e Napoli.

Lungo la via per Napoli, Carlo distrusse ogni piccolo esercito che il Papa e Napoli gli mandarono contro e massacró ogni città che gli resistette. Questa brutalità scioccó gli italiani, abituati alle guerre relativamente poco sanguinose dei condottieri.

Il 22 febbraio 1495 Carlo VIII, col suo generale Louis II de La Trémoille, entró a Napoli praticamente senza opposizione. La velocitá e violenza della campagna lasciarono attoniti gli italiani. Specialmente i veneziani e il nuovo duca di Milano, Ludovico Sforza, capirono che se Carlo no fosse stato fermato, l'Italia sarebbe presto diventata un'altra provincia della Francia. Il 31 marzo venne procalamata a Venezia la Lega Santa; i firmatari erano la Repubblica di Venezia, il Duca di Milano, il Papa, il re spagnolo, il re inglese, e Massimiliano I. La lega ingaggió un codottiero veterano, Francesco II di Gonzaga, Duca di Mantova per raccogliere un esercito ed espellere i francesi dall'Italia. Dal 1 maggio questo esercito incominció a minacciare i presidi che Carlo aveva lasciato lungo il suo tragitto per assicurarsi i collegamenti con la Francia. Il 20 maggio Carlo lascia Napoli lasciando un presidio e proclamando che il suo unico desiderio era un sicuro ritorno in Francia.

Come se non bastasse, l'esercito di Carlo venne colpito da un misterioso morbo a Napoli. Mentre non è chiaro se la malattia provenisse dal nuovo mondo o fosse una versione più virulenta di una già esistente, la prima epidemia conosciuta di sifilide scoppiò nella città. Il ritorno dell'esercito francese verso nord diffuse la malattia in tutta Italia, e alla fine in tutta Europa. La malattia venne quindi conosciuta in quasi tutta Europa col nome di "Mal francese".

[modifica] Preparazione

Il 27 giugno i veneziani e i loro alleati stabilirono il campo vicino a Fornovo di Taro, circa 30 km a sud ovest di Parma, alla badia della Ghiaruola. Secondo il Guicciardini l'esercito dei cosiddetti "collegati" era composto per tre quarti da forze veneziane comandate da Francesco da Gonzaga e dai due provveditori del senato veneto Luca Pisano e Melchiorre Trevisan. A capo delle forze milanesi c'erano Galeazzo da Sanseverino e Francesco Bernardino Visconti. L'esercito era composto da 2500 cavalieri, 8000 fanti, 2000 Stradiotti, una forza mercenaria greco-albanese.

Oltre alla sifilide, Carlo stava ritornando in Francia con un ricco bottino raccolto tra Firenze, Roma e Napoli quando il 4 luglio i francesi raggiunsero il villaggio di Fornovo discendendo lungo la valle del Taro e trovarono il passaggio bloccato dall'esercito della lega accampato a nord del villaggio.

Il 4 luglio, Ercole d'Este, Duca di Ferrara, l'alleato più forte di Carlo in Italia, gli comunicò che il senato veneziano non aveva ancora autorizzato il provveditore di entrare in battaglia. I francesi erano ansiosi vedendo il numero dei nemici crescere di giorno in giorno senza avere la possibilitá di ricevere rinforzi. Carlo allora chiese libero passaggio. Come riferisce il Guicciardini, la risposta dei collegati si fece attendere; venne mandata una richiesta su come procedere a Milano, dove risiedeva il duca Ludovico il Moro e un rappresentante per ogni componente della lega:

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«Nella quale consulta essendo diversi i pareri de' capitani, dopo molte dispute determinorono finalmente dare della domanda del re avviso a Milano, per eseguire quello che quivi concordemente dal duca e dagli oratori de' confederati fusse determinato.»
(Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, libro 2, cap. 9)

Ludovico ed il rappresentante veneto erano più propensi per lasciar passare il re francese:

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«che all'inimico, quando voleva andarsene, non si doveva chiudere la strada, ma piú presto, secondo il vulgato proverbio, fabbricargli il ponte d'argento;»
(Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, libro 2, cap. 9)

Il rappresentate spagnolo invece era per l'attacco; per questo si decise di scrivere a Venezia.

Nel frattempo Melchiorre Trevisan, sapendo che la risposta non sarebbe arrivata in tempo, decise che appena l'esercito francese si fosse mosso sarebbe stato attaccato.

Carlo, dopo aver sentito i suoi consiglieri italiani , Gian Giacomo Trivulzio e Francesco Secco, assieme ai nobili decise di combattere, e mandò quaranta soldati per fare una ricognizione in campo nemico. Questi vennero intercettati dagli Stradioti.

L'esercito della lega era sul lato destro del fiume Taro a difesa di Parma mentre i francesi decisero di stare sul lato sinistro. La posizione francese era considerata buona per la difesa perché i veneziani non avevano pulito il campo, e la pioggia aveva reso impraticabile le rive del fiume per la cavalleria.

[modifica] La battaglia

All'alba del 6 luglio, Carlo decise di muoversi perché i francesi stavano scarseggiando in provviste. Carlo divise l'esercito in tre gruppi. Mise Gian Giacomo Trivulzio al comando dell'avanguardia, che consisteva in trecento cavalieri, duecento fanti leggeri, duecento soldati tedeschi dotati di picche circondati da uomini con archibugi e ascie. A breve distanza il conte Niccolò di Pitigliano e Franceso Secco cavalcavano assieme, il primo prigioniero, il secondo al servizio del re francese. Poco dopo il secondo gruppo, comandato dal re. Consisteva in seicento cavalieri, arcieri a cavallo e fanti tedeschi, la parte migliore dell'esercito francese. Infine la retroguardia, comandata dal conte di Fois, con quattrocento cavalieri e un centinaio di soldati. Il resto delle picche componevano una falange non molto distante dalla linea dei cavalieri. L'artiglieria proteggeva la prima linea sul davanti e la seconda verso il Taro.

Melchiorre Trevisan promise ai soldati della lega che il bottino sottratto al regno di Napoli e trasportato dai francesi sarebbe stato loro in caso di vittoria. Francesco Gonzaga divise le forze in 9 linee. Il suo piano di battaglia era di distrarre i primi due gruppi francese, attaccare in forze il gruppo di coda, generare confusione tra i francesi e attaccare in fine con le tre linee di riserva il rimanente dell'esercito francese.

L'attacco frontale della cavalleria leggera fu intralciato dalle condizioni del terreno, come previsto dai francesi, ed il risultato incerto. Nel momento più delicato della battaglia, gli Stradioti videro che la guardia francese al bottino era impeganta dalla cavalleria italiana e si gettarono alla ricerca di un facile guadagno lasciando le posizioni assegnate loro. Quella che era una battaglia che stava evolvendo lentamente verso il successo veneziano, si trasformò in uno scontro sanguinoso. L'artiglieria francese era fuori gioco a causa del terreno. La riserva veneziana entrò in battaglia. I francesi erano demoralizzati dal numero dei nemici, ma i veneziani subirono molte diserzioni; molti mercenari cercarono solo il guadagno personale scappando appena raggiunto; significativo a tal proposito il comportamento del mercenario italiano Vistallo Zignoni. I provveditori veneziani e il conte Niccolò di Pitigliano, che approfittò dell'occasione per liberarsi dai francesi, cercarono di convincere molti fuggitivi a tornare dicendo che la battaglia era quasi vinta:

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«Ma le fermò molto piú la giunta del conte di Pitigliano, il quale, in tanta confusione dell'una parte e dell'altra, presa l'occasione se ne fuggí nel campo italiano, dove confortando, ed efficacemente affermando che in maggiore disordine e spavento si trovavano gl'inimici, confermò e assicurò assai gli animi loro.»
(Francesco Guicciardini, Storia d'Italia, libro 2, cap. 9)

Dopo più di un ora di combattimento, i francesi cercarono rifugio su una collina. I veneziani disposti ad inseguirli erano troppo pochi ed entrambi i contendenti si accamparono. I francesi persero più di un migliaio di uomini, mentre i veneziani più di duemila uomini, ma i nobili di entrambe le parti erano isolati o morti. Re Carlo perse tutto il suo bottino, valutato in più di 300000 ducati. Venne dichiarata una tregua di un giorno per seppellire i morti. I morti e anche i feriti vennero spogliati dalla fanteria italiana e dagli abitanti locali.

La sera seguente, il Doge Agostin Barbarigo ed il Senato ricevettero un rapporto nel quale veniva detto che l'esercito veneziano non aveva perso, ma che il risultato della battaglia era incerto perché c'erano state molte perdite e molti disertori e non erano conosciute le perdite del nemico. L'intera cittá pensò al peggio, ma il giorno successivo un ulteriore rapporto descrisse l'estensione del saccheggio e la paura dei francesi che supplicarono ora la tregua ora la pace. Comunque fu concesso a Carlo di lasciare l'Italia indisturbato.

[modifica] Le conseguenze

Carlo lasciò l'Italia senza alcun guadagno. Morí due anni e mezzo dopo lasciando alla Francia un grosso debito e perdendo provincie che ritornarono francesi solo dopo secoli. La spedizione promosse però contatti culturali tra Francia e Italia dando energia alle arti e lettere francesi.

Per l'Italia le conseguenze furono catastrofiche. Ora l'Europa intera sapeva, tramite i soldati francesi e tedeschi, che l'Italia era una terra incredibilmente ricca e facilmente conquistabile perché divisa e difesa soltanto da mercenari. L'Italia si trasformò in un campo di battaglia per decenni e perse la propria indipendenza ad esclusione di Venezia.

[modifica] Note

  1. Trevor Dupuy, Harper Encyclopedia of Military History. p. 462
  2. Trevor Dupuy p. 462

[modifica] Referenze

  • Dupuy, Trevor N., Harper Encyclopedia of Military History. New York: HarperCollins, 1993. ISBN 0-06-270056-1

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