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Politica economica - Wikipedia

Politica economica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La politica economica è la disciplina che studia gli effetti dell'intervento dei poteri pubblici (Stato, banca centrale, autorità varie) e dei soggetti privati (imprese, famiglie) sull'economia allo scopo di elaborare interventi destinati a modificare l'andamento del sistema economico per condurlo verso obiettivi prestabiliti.

Nell'ambito della scienza economica si suole distinguere tra l'economia politica, che studia l'esistente, ciò che è, e la politica economica, che studia ciò che deve o dovrebbe essere. Pertanto lo studio della politica economica presuppone, anche didatticamente, l'analisi dell'esistente, vale a dire lo studio dell'economia politica.

Poiché l'economia risulta in continuo mutamento, sotto la spinta di interessi economici e pulsioni umane, lo scopo della politica economica è di modificare l'andamento spontaneo dell'economia, dopo averlo opportunamente studiato.

[modifica] Cenni storici

Adam Smith
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Adam Smith

Storicamente l'esigenza di una politica economica si manifesta allorché appare chiaro che l'economia lasciata in mano agli interessi egoistici dei singoli operatori non è in grado di evitare squilibri e diseguaglianze economiche capaci di rendere instabili l'economia stessa, oltre che il tessuto sociale di un paese e i rapporti tra nazioni.
Adam Smith riteneva che nel mercato operasse una mano invisibile, in virtù della quale l'interesse privato si trasformava in interesse collettivo. Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto faceva per conto suo il mercato, capace di stabilire in modo continuo equilibri tra le forze in gioco. L'interazione della domanda e dell'offerta genererebbe di continuo prezzi di equilibrio capaci di soddisfare entrambe le parti, garantendo ad esempio condizioni di pieno impiego.

Le politiche economiche liberiste, che al pensiero di Smith si ispirano, tendono quindi a promuovere la rimozione di ogni vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato e a tracciare un ruolo il più possibile ridotto per lo stato, il cui compito dev'essere quello di non intervenire o di intervenire il meno possibile nell'economia, dove devono prevalere gli "spiriti animali". Le posizioni liberiste di Smith sono state successivamente da molti criticate, man mano che si prende coscienza che esse richiedono condizioni di mercato che difficilmente si trovano nella realtà.

Karl Marx immagina un sistema economico in cui il progressivo sfruttamento dei lavoratori avrebbe condotto al collasso del sistema economico attraverso l'impoverimento crescente della classe operaia, e alla necessità di una svolta politica di stampo rivoluzionario, per poi ricostruire un sistema economico di stampo egualitario.

Secondo John Maynard Keynes, i sistemi economici non sono sempre in grado di raggiungere l'equilibrio di pieno impiego in modo automatico. Al contrario, è possibile che essi si attestino su posizioni di equilibrio di sottooccupazione, determinate da carenze nella domanda aggregata.

In questa concezione, la politica economica ha il ruolo di stimolare la domanda e permettere di raggiungere il pieno impiego delle risorse. In Italia, uno dei maggiori interpreti del pensiero keynesiano è stato Federico Caffè.

[modifica] Lo stato attuale

Mentre nella prima metà del XX secolo erano prevalse politiche economiche tese a governare l'economia tramite l'intervento pubblico (sia in termini normativi che di spesa pubblica), nella seconda metà del secolo si sono gradatamente imposte tendenze liberiste, tendenti al "lasciar fare" del mercato. Tali teorie di tipo microeconomico sono state solitamente unite ad impostazioni monetariste per l'aspetto più strettamente macroeconomico.

Il risultato delle politiche liberiste appare di gran lunga inferiore alle aspettative all'inizio del terzo millennio, per cui si ricomincia a considerare attentamente politiche di tipo Keynesiano.

[modifica] Interventi indiretti nell'economia

Norberto Bobbio parla di "fuga nel diritto privato" per indicare la contrazione dell'area del diritto pubblico dell'economia in favore del diritto privato dell'economia, la cui caratteristica principale è la presenza, nel settore dei compiti tradizionalmente pubblici, di operatori privati (tra cui il genus controverso degli organismi di diritto pubblico) e l'utilizzo di modelli contrattuali (nati nella pratica commerciale), ma soprattutto la presenza di strutture nuove preordinate alla tutela degli interessi emergenti: le cosiddette Autorità amministrative indipendenti.

Via via che si riduce il fenomeno dell'intervento diretto nell'economia, in favore di un intervento indiretto, assume una portata sempre più pregnante l'art. 41 della Costituzione, che riserva alla legge la predisposizione di programmi e controlli sulle attività economiche a fini sociali.

I programmi e i controlli devono essere opportuni, nel senso che non devono ostacolare la realizzazione del principio di uguaglianza sotteso all'art. 3 della Costituzione.

In breve, tra i "programmi" rientrano gli atti di pianificazione, le leggi finanziarie e relativi "collegati", il D.P.E.F. (Documento di programmazione economica e fnanziaria) ed altri interventi settoriali quali il Piano di edilizia residenziale di cui alla legge n. 179 del 1992, il piano per l'energia di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 9 gennaio 1991, il Piano di tutela ambientale di cui alla lege n. 305 del 1989, ed altri.

Fra i "controlli" rientrano misure eterogenee, dalle concessioni alle autorizzazioni, all'imposizione di prezzi amministrati, agli accertamenti sulla qualità di determinate merci, ecc.

La Costituzione non prevede un terzo tipo di intervento indiretto, oltre ai programmi ed ai controlli: tuttavia, la "regolazione" è un fenomeno di vasta diffusione ed in via di costante espansione. Le Autorità amministrative indipendenti svolgono un'azione di regolazione e vigilanza, imponendosi come sogetti equidistanti rispetto agli operatori economici che agiscono nei vari settori "vigilati".

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