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Olimpo (mitologia) - Wikipedia

Olimpo (mitologia)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'Olimpo era la dimora degli dei della mitologia greca.

Sulla vetta, perennemente circondata da nubi, vi erano le abitazioni degli dei (detti olimpi) costruite da Efesto.

A capo della numerosa famiglia era Zeus.

[modifica] La congettura mairaniana sull'origine del mito dell'Olimpo quale sede degli dèi

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La congettura forse più interessante sul perché l'Olimpo sia stato considerato sede degli dèi della Grecia, non la si trova tra i filologi, gli scoliasti e i commentatori di Omero, Esiodo e Pindaro. La si trova piuttosto in un ponderoso lavoro scientifico settecentesco, il Trattato fisico-storico dell'Aurora Boreale, del 'geometra' francese Jean Jacques Dortous de Mairan, discepolo 'eretico' del Padre Malebranche, nonché successore di Fontenelle quale segretario dell'Accademia delle Scienze di Parigi. Per capire come Mairan sia arrivato a formulare la sua sorprendente congettura sull'origine del mito dell'Olimpo, bisogna tener presente un fenomeno fisico, inconsueto alle nostre latitudini, che tuttavia occupò di sé per alcuni anni le gazzette europee primo-settecentesche. A far data dal 1716, infatti, per oltre un decennio nei cieli europei fu ben visibile il fantastico spettacolo dell'Aurora boreale. Al fenomeno della "luce settentrionale" Fontenelle riservò per cinque anni consecutivi l'apertura dell'Annuario dell'Accademia parigina delle Scienze, sottolineando tra l'altro da subito come il fenomeno potesse chiarire anche una serie di credenze popolari: «Quei combattimenti che alcune storie riportano esser stati visti in cielo, quei soldati, quei carri, quelle lance infuocate potrebbero benissimo non essere che questo tipo di fenomeni raccontati a partire da testimonianze popolari o abbelliti dagli storici». Ancora nel 1726 Fontenelle e l'Histoire de l'académie royale des sciences tornarono ad occuparsi del fenomeno in questi termini: «La luce settentrionale che era stata così rara, almeno per noi, in tutto il secolo precedente, e nel cominciamento di questo, non è mancata di apparire tutti gli anni a partire dal 1716 e sia perché essa diventava comune, senza alcun mutamento considerevole, sia perché pareva indebolirsi, l'Accademia non ne ha quasi più parlato nei suoi ultimi volumi. Ma questo fenomeno, di cui si attendeva l'intera cessazione, è riapparso quest'anno con più splendore, forza e durata come mai prima d'ora, e con alcune circostanze del tutto nuove: è stato il più bello spettacolo che il Teatro del Cielo ci abbia mai donato e, se non fosse stato preparato da dieci anni a questa parte con scene meno brillanti, la sorpresa dei fisici e il terrore del popolo avrebbero raggiunto il culmine». «Il sig.de Mairan e il sig.Godin hanno fornito ciascuno una descrizione esatta di questa magnifica rappresentazione della notte dal 19 al 20 ottobre. Un grande Arco, o piuttosto un grande segmento di cerchio oscuro, attraverso il quale tuttavia si vedevano talora le stelle, posato sull'orizzonte dal lato nord, era la base, e come il deposito della luce, da cui nasceva una zona concentrica luminosa e da cui si slanciavano delle colonne verticali, della chiarità ordinaria in questo fenomeno. Ma in più esse si slanciavano da quasi tutta la circonferenza dell'orizzonte, anche dalla zona quasi in prossimità del mezzogiorno, con un'estensione che esse non hanno l'abitudine di occupare e, ciò che è anche più singolare, tali colonne si elevavano vicinissime allo Zenith, pur senza raggiungerlo, e tutte lasciavano uno spazio circolare vuoto verso lo Zenith in cui non penetravano, di modo che, succedendosi rapidamente le une alle altre, facevano un effetto pressoché continuo e sembrava che tutto il cielo fosse una volta sostenuta o formata da archi circolari luminosi che tendevano tutti al centro, ma per fermarsi in prossimità, facendogli corona. Era come se fosse l'apertura della cupola di un Duomo. Il fenomeno, iniziato prima delle otto di sera, durò diverse ore con questa grande forza e alcuni osservatori hanno sostenuto che non era dissolto neppure al nascere del giorno."

Come si ricava dal resoconto accademico di Fontenelle, insieme con molti suoi confratelli in arte, tra cui gli italiani Maraldi, Conti, Zanotti, Zendrini, Baldini, Bianchi, Sguario,Jean Jacques Dortous de Mairan fu spettatore attento del fenomeno e, dopo aver presentato all'Accademia parigina una relazione, dedicò il quinquennio successivo ad approfondirlo in tutti i suoi aspetti. E' nel contesto di questa ampia ricerca «fisica e storica» che Mairan formula la '«congettura sull'origine del mito dell'Olimpo». Per Mairan è proprio l'Aurora Boreale, vista incombere dai greci pre-omerici sulle pendici della catena montuosa dell'Olimpo ad aver determinato la nascita del mito che vi localizza la sede degli dèi. La luminosità a cui l'Olimpo dovrebbe il suo nome non è il consueto bagliore delle nevi inondate dal sole, o lo splendore di una cima che emerga improvvisa al di sopra delle nubi, ma la più sorprendente e fantastica luce che l'Aurora boreale accende nel cuore della notte. Convinto assertore con Fontenelle, Bayle, Boulanger, Dupuis del fatto che la mitologia costituisca in notevole misura la «fisica dei popoli fanciulli», in cui l'immaginazione poetica fa premio sull'osservazione e la deduzione scientifica, Mairan considera il presentarsi del fenomeno metereologico alle diverse latitudini e le reazioni da esso destate nelle menti umane. Passa quindi in rassegna la forma che l'aurora boreale aveva se vista dalle terre artiche e circumpolari; la forma che le vediamo avere noi in Europa, nei paesi di latitudine media, come Francia, Inghilterra, Germania e parti settentrionali d'Italia e Spagna; e infine l'aspetto che l'aurora boreale assume nei paesi meridionali, come quelli del sud della Spagna e dell'Italia e in Grecia. Questi ultimi paesi, compresi tra il 30° e il 40° grado di latitudine, si allontanano di poco dai limiti al di là dei quali il fenomeno non si manifesta più. Mairan rileva che gli abitanti del Nord, per cui il fenomeno è consueto, furono sempre poco allarmati dall'aurora boreale, mentre nei paesi di latitudine media, dove sono molto meno frequenti e dove esistono lunghissimi intervalli in cui non si manifestano, nei fenomeni particolari e nelle circostanze che accompagnano le grandi aurore boreali le reazioni di spavento sono state invece prevalenti. Ma nei paesi meridionali, come la Grecia, in cui l'aurora boreale non è apparsa per interi secoli e dove appare solo per intervalli «non si è fatto dell'aurora boreale che uno spettacolo ridente, bello a vedersi e ammirevole, come dicono ancor oggi i Cinesi. E nei secoli passati, in cui il gusto mitologico e magico era padrone delle menti, gli abitanti della città di Reggio e del sud della Calabria vi hanno riconosciuto la loro Fata Morgana, che si presentava loro nei suoi palazzi brillanti di cristalli e di pietre preziose, ornati di archi e colonne. E infine, gli antichi Greci nell'Aurora boreale non hanno visto se non Giove e gli Dèi intenti a tenere il loro Consiglio sull'Olimpo, mito in voga per lo meno dai tempi di Omero ed Esiodo e che può risalire in tal modo sino all'antichità più remota."

[modifica] Bibliografia

  • J.J. Dortous de Mairan, Traité physique et historique de l'Aurore Boreale, Paris 1733; 2^ ediz. 1754.
  • Id., Conjectures sur l'origine de la fable de l'Olympe, en explication et confimation de ce qu'en a été dit dans l'un des éclaircissemens au Traité physique et historique de l'Aurore boreale in: Mémoires de l'Acadèmie Royal des Inscriptions et Belles-Lettres (t. XXV), 1761.
  • Della congettura mairaniana esiste in italiano la traduzione dell'abate Melchiorre Cesarotti comparsa con il titolo "La conghiettura del Signor Mairan sopra la favola dell'Olimpo " nel tomo V de “L'Iliade d'Omero” per i tipi della Stamperia Penada, Padova 1790, pp.255-271.

Per l'interesse del primo Settecento alla questione dell'origine dei miti cfr.

  • G. Cantelli: "Mito e storia in Le Clerc, Tournemine e Fontenelle" in: "Giornale critico di storia della filosofia"III,1972, 385-401;
  • Id: "Nicolas Fréret: tradizione religione e allegoria nell'interpretazione storica dei miti pagani" in: "Giornale critico di storia della filosofia", III, 1974, pp.264-284 e IV, 1974, pp.386-407.



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