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I soliti ignoti - Wikipedia

I soliti ignoti

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


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Pausa sul set de I soliti ignoti, (da sinistra: Renato Salvatori, Carlo Pisacane, Tiberio Murgia, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e il giovane operatore Erico Menczer)
Titolo originale: I soliti ignoti
Lingua originale: {{{linguaoriginale}}}
Paese: Italia
Anno: 1958
Durata: 111'
Colore: B/N
Audio: sonoro
Ratio: {{{ratio}}}
Genere: commedia
Regia: Mario Monicelli
Soggetto: Age & Scarpelli
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Suso Cecchi D'Amico
Produzione: {{{nomeproduttore}}}
Art director: {{{nomeartdirector}}}
Animatori: {{{nomeanimatore}}}
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Episodi:
Fotografia: Gianni Di Venanzo
Montaggio: Adriana Novelli
Effetti speciali:
Musiche: Piero Umiliani
Scenografia: Vito Anzalone
Costumi: {{{nomecostumista}}}
Trucco: {{{nometruccatore}}}
Sfondi: {{{nomesfondo}}}
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I soliti ignoti è un film di Mario Monicelli del 1958.

Indice

[modifica] Il film

Con questa pellicola del regista toscano si usa generalmente sancire l'esordio ufficiale di un nuovo genere cinematografico che solo successivamente verrà definito come commedia all'italiana e che con il neorealismo, il peplum e lo spaghetti-western rappresenterà uno dei generi più prolifici del cinema italiano del dopoguerra, e certamente uno dei più importanti dal punto di vista artistico.

Con I soliti ignoti nasce in Italia un nuovo tipo di commedia comica che abbandona i canoni praticati nel cinema sino a quel momento, che risalivano sostanzialmente alla florida tradizione dell'avanspettacolo, del varietà o del Caffè Chantant, e che ereditando il testimone del neorealismo si apre alla quotidianità, alla realtà e innesta i suoi caratteri su precisi riferimenti sociali, chiari al pubblico che li vive spesso in prima persona.

I comici de I soliti ignoti cessano per la prima volta di essere delle marionette, delle maschere che giocano la comicità esclusivamente in chiave di gag, giochi di parole, gesti buffi o nonsense, e articolano i dialoghi e le trovate umoristiche su prove definite, a volte anche macchiettistiche e caricaturali, ma riferite sempre ad una sceneggiatura chiara.

Molti critici vedono nel personaggio di Dante Cruciani, interpretato da Totò, sulla famosa terrazza del film, un ipotetico passaggio di consegna della comicità: dalle mani del geniale attore napoletano, principe della risata e dell'improvvisazione, a quelle di un gruppo agguerrito di sapienti sceneggiatori (Sergio Amidei, Rodolfo Sonego, Age e Scarpelli, Ettore Scola, Ruggero Maccari), che la utilizzeranno per raccontare la realtà in un momento di passaggio importante per la storia nazionale, ricco di contraddizioni, di incompatibilità tra vecchio e nuovo, di identità fallaci e passeggere, costruite spesso su condizionamenti sociali e culturali provenienti da oltreoceano o da oltralpe.

L'ideazione de I soliti ignoti nasce in chiave caricaturale. Come lo stesso Monicelli ammette, si voleva in principio parodiare un certo genere di film noir francese o di gangster americano, particolarmente in voga nelle sale cinematografiche italiane di quegli anni, e apprezzato dal pubblico che frequentava le terze visioni. Il riferimento è senz’altro a Du Rififi chez le hommes di Jules Dassin del 1955, dove una banda di quattro criminali professionisti progetta un colpo perfetto che purtroppo si rivelerà un fallimento. A riprova di ció lo stesso regista ci informa che uno dei titoli provvisori del film, in fase di produzione, doveva essere Rifufu, una evidente storpiatura del titolo francese.

Ma sarebbe un grave errore credere che I soliti ignoti esaurisca i suoi contenuti nella parodia di un genere. Il film si arricchisce di novità importanti e di contesti originali nel corso della sua produzione, tanto da lasciare in secondo piano la sua genesi parodistica. È di nuovo lo stesso regista che ci informa come il film fosse stato concepito anche in chiave drammatica e fortemente tragica.

I soliti ignoti, come afferma Carlo Lizzani, porta il comico fuori dei confini consueti della farsa, e acquisisce una propria consistenza cinematografica. Per la prima volta in un film comico italiano si assiste alla morte tragica di uno dei protagonisti (Carlo Lizzani, "Il cinema italiano", Parenti, 1961). La morte o comunque il fallimento di un'impresa è una tematica fondamentale nella cinematografia di Monicelli. Il regista la spiega con le radici stesse della commedia. La storia della commedia, della commedia dell'arte, è popolata dalla morte, da presenze sinistre e maligne, da fallimenti di imprese maldestre, da miserabili morti di fame che nella imitazione di Arlecchino e Pulcinella, si arrabbattano tutto il giorno in cerca di un espediente definitivo, di una trovata finale. Il cinema di Monicelli rispecchia in pieno questa vena tragica della nostra commedia, e si inserisce nel solco della sua tradizione.

Ma non è solo questo elemento tradizionale-narrativo che si esaurisce la vena drammatica della pellicola. È la Roma che viene descritta, quella dei quartieri popolari, dei grandi "casermoni" della periferia degradata, la Roma del sotto-proletariato urbano estraneo ai processi economici del boom, che fa da sfondo tragico alle gesta della miserabile banda del buco rappresentata dai vari Pantera, Capannelle, Tiberio, Ferribotte. È la stessa Roma che descrive Pier Paolo Pasolini in Ragazzi di vita, intesa anche in senso topografico. È significativo a riguardo il dialogo breve che Capannelle sostiene con un ragazzino incontrato per caso e al quale si rivolge per chiedere informazioni su un certo Mario. Il dialogo potrebbe avere perfettamente luogo in una delle pagine del romanzo pasoliniano.

La fotografia fu particolarmente curata da questo ultimo punto di vista. Le immagini dovevano restituire l'idea di una Roma drammatica, per cui furono evitati volutamente i toni eccessivamente luminosi, si preferirono i contrasti e i tagli decisi e nei costumi si evitarono le concessioni al vezzo e alla comodità, curando invece quello che doveva fornire l'estemporaneità di un abbigliamento dettato solo dallo stato di indigenza (vedasi i pantaloni da cavallerizzo che Capannelle indossa per tutto il film).

Il film per la sua novità non fu accolto favorevolmente dalla critica ufficiale che aveva ben chiari i riferimenti. Da principio non fu apprezzata la scelta di sostituire i comici d'arte con degli attori seri già affermati in contesti drammatici (Vittorio Gassman); Totò, notoriamente non amato dalla critica colta ma fortemente caldeggiato dai produttori, fu giudicato eccessivo nonostante la sua interpretazione limitata. In sostanza, l'ambiente ufficiale non era pronto ad accogliere quella che si rivelerà la trovata ad effetto del film, la trasformazione di attori seri in "caratteri" della commedia, dotati di una grande vis comica. La scena del set comico, nella opinione dei critici piú severi, avrebbe dovuto somigliare ancora al palcoscenico di un varietà dove i maestri solitari, coadiuvati da abili spalle, si avvicendavano nell'intrattenimento del pubblico.

Gli stessi produttori contrastarono a lungo la scelta di Vittorio Gassman. La sua aria intellettuale e soprattutto il suo repertorio teatrale drammatico unito ai ruoli "cattivi" che aveva interpretato in precedenza non davano nessuna garanzia di successo. Ma regista e sceneggiatori seppero resistere alle richieste dei produttori. Avevano modellato tutti i personaggi intorno ad un baricentro realistico e li avevano poi corredati di un patrimonio farsesco sul quale si sarebbe dovuta giocare tutta la comicità. Per il "Pantera" si ricorse ad un trucco pesantissimo che abbassò l'attaccatura dei capelli, ridusse la fronte spaziosa accentuando il naso e rendendo cadenti le labbra in quell'aria da ebete caratteristica di un pugile suonato di periferia. Fu studiata l'andatura e infine concepita la balbuzie, con effetti comici esilaranti.

Al di là delle caratterizzazioni dei personaggi è importante definire quello che sarà un tema importante e ricorrente del genere, una costante che seppur trasformata rimarrà centrale nel corso della storia decennale della commedia all'italiana, dal suo nascere, alla fine degli anni '50, sino al suo tramonto, alle metà degli anni '70: la rappresentazione del sistema sociale attraverso le classi e la critica dura alla società del benessere, colta nei suoi scompensi e nelle sue contraddizioni.

I soliti ignoti da questo punto di vista è un grande mosaico storico che ci restituisce con leggerezza l'immagine complessa di un epoca. Un mondo di povertà urbana che resiste nei suoi valori tradizionali all'attacco della nuova società di massa della quale però sente un'attrazione sempre più forte. Società che viene nel film rappresentata esclusivamente dai miti di importazione americana: facile benessere economico, liberalizzazione dei costumi sessuali, comfort abitativi. La connotazione farsesca nasce sul modo di rapportarsi che i protagonisti hanno con questa doppia identità, divisi tra tradizione e innovazione. I valori tradizionali di riferimento rimangono sempre benevoli ed evidenti sullo sfondo della vicenda e sono rappresentati via via da quasi tutti i personaggi: da Carmelina Claudia Cardinale (la sicurezza del vero legame affettivo), dalla dolcissima Nicoletta Carla Gravina (l'innocenza) e dallo stesso Cruciani Totò (la saggezza della vecchiaia). Il gruppo rimane titubante per tutta la durata del film, nessuno riesce con convinzione ad abbracciare quello spirito nuovo che viene riflesso dalla società del benessere, nemmeno il protagonista, "Er Pantera", che solitario in una opera di autoconvincimento continua a ripetere: "È sciiiiieeeeentifico, è sciiiiieeeeeentifico!", quindi moderno, quindi giusto, legale, morale.

[modifica] Trama

Cinque ladruncoli della periferia romana pianificano un colpo ai danni di una agenzia del Monte dei pegni. Inesperti, si rivolgono a Dante Cruciani (Totò), un criminale incallito in libertà vigilata, che li istruisce nell´arte dello scassinare le casseforti. La preparazione del colpo va avanti tra diverse peripezie e ripensamenti sino alla sua conclusione comica e fallimentare.

[modifica] Curiosità

  • Il termine I soliti ignoti era in uso nel giornalismo del dopoguerra per descrivere gli autori di furti o rapine rimasti ancora sconosciuti alla cronaca. Grazie al successo del film, il termine è entrato nel linguaggio corrente per descrivere specificatamente gli autori sconosciuti di un furto con scasso o comunque con effrazione. È utilizzato come sinonimo di banda del buco.
  • Nonostante interpreterà a lungo il ruolo del siciliano, Tiberio Murgia (Ferribotte) è in realtà sardo, ed esordisce nel cinema proprio grazie a Mario Monicelli.
  • La giovanissima Carla Gravina, sebbene appena diciassettenne, è nel film alla sua terza apparizione cinematografica. Aveva esordito nel 1956 con Alberto Lattuada e nello stesso anno de I soliti ignoti aveva girato con Alessandro Blasetti Amore e chiacchiere, al fianco di Vittorio De Sica e Gino Cervi.
  • Claudia Cardinale, ventenne all'epoca de I soliti ignoti, giunge a Roma per partecipare ai provini del film direttamente da Tunisi dove era nata.
  • Il film esce in Francia con il titolo de Le pigeon (Il capro espiatorio), e rimane in programmazione in un cinema secondario di Parigi per diversi mesi, sottotitolato in francese. Mario Monicelli racconta che la lunga durata della programmazione, dovuta al successo di pubblico, cominciò ad incuriosire alcuni critici di alcune testate parigine che decisero di andare a vedere e che scrissero successivamente commenti molto positivi. Le critiche entusiaste dei francesi influenzarono quelle italiane che avevano fino ad allora definito la commedia spazzatura e finalmente al film fu concessa la giusta considerazione.
  • Il film incassò circa un miliardo di lire.
  • Nel 1959 il film ottiene la nomination all'Oscar come "miglior film straniero". Il premio, però, andrà a Mon Oncle di Jacques Tati.
  • Quando I soliti Ignoti incontrano per la prima volta Dante Cruciani, Ferribotte presenta le sue credenziali raccontando di aver giá lavorato in passato nei tubi di piombo. Il furto delle tubature in piombo era una attività molto diffusa tra la piccola criminalità urbana della capitale negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra. La penuria di materie prime per la costruzione infatti aveva sviluppato un florido commercio clandestino di parti in ferro, ghisa o piombo che venivano divelte o trafugate nottetempo e rivendute ad un fiorente circuito di riciclaggio.
  • Originariamente il titolo del film era Le madame, in riferimento al termine con il quale nel gergo romanesco si fa riferimento alla Polizia. Ma Mario Monicelli, reduce dagli interventi pesanti della censura su Guardie e Ladri e soprattutto su Totò e Carolina, per cautela, preferì puntare su un titolo innocuo e poco appariscente.
  • Vittorio Gassman nel suo libro autobiografico Un grande avvenire dietro le spalle, riferendosi al clima gioviale che regnava sul set, racconta: "La maggior parte delle scene non riuscivamo a finirle dal ridere"!.
  • Carlo Pisacane, che interpreta Capannelle, è in realtà uno dei migliori attori della filodrammatica napoletana. Fu scoperto dal regista. Nel film è doppiato in lingua emiliana.
  • Il successo del film, raccontano le cronache, fu enorme. Le sale erano speso gremite, anche a causa di un curioso fenomeno: le risate infatti erano a getto a continuo e chi assisteva alla proiezione in una sala affollata perdeva spesso la parte successiva del dialogo, per questo motivo molti decidevano di rimanere alla proiezione successiva, causando il sovraffollamento del locale.

[modifica] Frasi famose

  • Capannelle: Conoscete uno che si chiama Mario che abita qua nei dintorni?
Bambino: Ma qua de Mario ce ne so' cento.
Capannelle: Si, ma questo l'è uno che ruba...
Bambino: Sempre cento so'.
  • Ferribotte: Femmina piccante, pigliala per amante. Femmina cuciniera, pigliala per mugliera!
  • Ferribotte (al funerale di Cosimo): Sono sempre i piú meglio che se ne vanno!
Dante Cruciani: È la vita, oggi a te domani a lui!
  • Cosimo (alludendo minaccioso alla pistola che impugna, nel tentativo di rapinare lo sportello del Monte dei pegni): La conosci questa?
L'impiegato (serafico): Si, è una Beretta calibro nove, ma in pessimo stato; al massimo le posso dare mille lire!
  • Pantera a Ferribotte (mentre si introducono nella cantina dalla finestra): Vai tranquillo, atterri sul carbone!
Ferribotte: Ma quale carbone......funtana je!!
  • Capannelle (mentre riscalda la pasta e ceci): Ragazzoli, penso che abbiamo forato la cannella del gas.
  • Tiberio ai complici, dopo il fallimento del colpo: Rubare è roba per gente seria, mica per gente come voi! Voi, al massimo... potete andare a lavorare!

[modifica] Riferimenti

[modifica] I sequel

  • Nel 1959 per la regia di Nanny Loy e la sceneggiatura di Age - oltre alla colonna sonora firmata in parte dalla tromba di Chet Baker - esce nelle sale L'audace colpo dei soliti ignoti, un sequel gustoso e divertente interpretato dagli stessi attori, con un brillante e convincente Nino Manfredi che interpretando Piede Amaro, sostituisce il personaggio di Tiberio (Marcello Mastroianni).

[modifica] I remake hollywoodiani

Il successo de I soliti ignoti ha varcato i confini nazionali, per approdare ad Hollywood, che lo ha apprezzato al punto di girarne due remake.

Il primo dei due film è Crackers (1984), regia di Louis Malle, con Sean Penn.

La seconda pellicola ispirata al capolavoro di Monicelli è Welcome to Collinwood (2002), diretto dai fratelli Anthony e Joe Russo. La trama è stata, ovviamente, in parte rimaneggiata, modernizzata e trasportata negli Stati Uniti. Nel cast figura anche George Clooney, in quello che idealmente fu il ruolo di Totò, ovvero l'istruttore della banda.

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