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Architettura normanna in Sicilia - Wikipedia

Architettura normanna in Sicilia

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Studi recenti hanno dimostrato l’originalità e l’autonomia dell’arte e dell’architettura normanna rispetto alle culture a cui chiaramente s’ispirano, senza tuttavia negare gli apporti del mondo maghrebino ed egiziano, documentati tra l’altro dalle fonti: “Superata la prima fase di sperimentazione d’età ruggeriana , l’architettura normanna aveva sintetizzato, in forme riconoscibili, tecnologie ed espressioni figurative di diversa provenienza, ormai sintatticamente fuse in un linguaggio originale e caratterizzante”, che sarà ancora riconoscibile nelle manifestazioni artistiche dell’età sveva. Infatti, l’architettura normanna è stata distinta in tre grandi momenti cui corrispondono precisi caratteri architettonici: il periodo della ‘Contea’ (1061-1130), quello del Regno (1130-1154) e l’età guglielmina (1154-1195). In particolare i sollatia d’età guglielmina, la Zisa e la Cuba, ancorché mostrino nella concezione dello spazio, nei volumi stereometrici, nei modelli iconografici, nelle soluzioni strutturali e nelle aggettivazioni decorative molte affinità con quel poco che c’è noto dell’architettura nordafricana, si qualificano come creazioni originali dell’architettura tardo normanna di Sicilia per la quale, dal momento che dell’architettura fatimida resta qualche edificio ridotto alle sole fondamenta, gli unici confronti possibili sono quelli con i palazzi Ziridi e Hammaditi di X secolo inizi di XI secolo, anteriori di più d’un secolo ai palazzi siciliani. Il rapporto con chiese quali S. Cataldo (1154-1160), la Trinità di Delia (1140-1160), S. Nicolò Regale a Mazara del Vallo, recentemente attribuito ad età guglielmina si riscontra la stessa presenza di modanature aggettanti, di cornici d’attico con iscrizioni, di motivi decorativi e di arredi di chiara matrice islamica ricorrente negli edifici civili. Anche per gli esempi illustri di pittura d’età normanna la critica recente ha proposto l’attribuzione a botteghe siculo-islamiche capaci d’elaborare un complesso e colto programma pittorico come quello della Cappella Palatina o le raffinate decorazioni delle travi dipinte del Duomo di Cefalù. Per quanto riguarda poi la tradizione nel solco della quale queste botteghe locali operano, sia nell’elaborazione del programma iconografico, sia per lo stile pittorico del soffitto ligneo dell’Aula Regis della Cappella Palatina, recentemente sono state proposte quella fatimida e maghrebina, e quella persiana.

Il perdurare della tradizione islamica nelle officine isolane, arricchita di nuovi apporti culturali e stilistici dalla Spagna andalusa e dal Maghreb si ravvisa anche in numerosi oggetti di lusso voluti da una committenza legata alla corte o, comunque, d’alto livello. Gli esempi più noti sono i pannelli lignei della chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio (1140 c.), quelli appartenenti alle porte di casa Martorana (metà XII secolo) e il soffitto di porta proveniente dal Palazzo Reale; i prodotti dell’arte della metallurgia, conosciuta in Sicilia fin dai tempi più remoti; un gruppo, dalle caratteristiche ben definite, costituito dai cofanetti in avorio, attribuibili a botteghe siciliane operanti nel XII secolo, che impreziosiscono i tesori delle chiese d’Italia e d’Europa. Essi presentano delle iconografie tratte dal repertorio palatino islamico, quali le scene di caccia, ma anche dell’iconografia cristiana; i pannelli di stucco, impiegati in zone particolari delle costruzioni quali le nicchie, i raccordi e le finestre, secondo un uso attestato nell’architettura musulmana, per i quali è stata ipotizzata una produzione locale sin dal tempo dell’emirato. Per il periodo normanno sono documentati parecchie esempi, quali i frammenti di transenne di finestre provenienti dalla Martorana, da San Giovanni degli Eremiti (1142), e dalla Cappella Palatina, le muqarnas in stucco scolpito della Cuba, confrontate già dal Marçais con il mihrab della grande moschea di Tlemcen, tipico monumento d’arte d’ispirazione andalusa, nonché i notevoli frammenti di decorazione parietale dalla chiesa di San Giuliano a Caltagirone, datati alla prima metà del XII secolo, il cui partito decorativo e l’ornato deriverebbero dai tessuti mesopotamici ed egiziani di X-XI secolo. Un pavimento del pannello a tarsie marmoree di S. Cataldo è stato avvicinato, per stile e composizione, a manufatti del Marocco e, quindi, della Spagna andalusa piuttosto che alle coeve elaborazioni cosmatesche. Pavimenti di simile fattura sono noti nella Cappella Palatina in Santa Maria dell’Ammiraglio e nel Duomo di Monreale. Un posto di rilievo spetta alle stoffe tra cui l’esempio più illustre è il manto di Ruggero datato dall’iscrizione al 1133-1134. Lo stile l’iconografia rimandano alla tradizione orientale anche se il progetto e l’esecuzione sono opera d’artisti siculo-arabi, operanti nel tiraz reale. Più arduo è inquadrare cronologicamente l’attività del laboratorio palermitano ed individuare il contesto culturale in cui inserire i prodotti, considerati derivazioni delle manifatture arabe della Palermo islamica, oppure opere di tessitori greci fatti giungere in Sicilia e in Italia meridionale da Ruggero II dopo il 1147. Dalle lettere dei commercianti ebrei della Genizia del Cairo datate fra la prima metà del XI secolo e l’età normanna sappiamo che le sete, i cotoni e il lino prodotti in Sicilia, considerati molto pregiati, venivano esportati in tutta l’Africa settentrionale. Risulta dunque più verosimile la tesi di M. Amari circa le influenze “saracene” sull’industria tessile normanna. Infine, recentemente è stata avanzata l’ipotesi che accanto all’intaglio di pietre dure, in età normanno-sveva, si sia sviluppata nell’isola una produzione locale di cristalli di rocca, sulla scia delle esperienze fatimide. Poco si conosce della produzione ceramica durante la dominazione araba, pur fiorente nell’isola. È stata recentemente scoperta una fornace di ceramica invetriata della fine del X secolo a Mazara del Vallo, mentre una rilettura dl materiale ceramico della fornace di Piazza Armerina ha permesso di datarla al periodo della dominazione araba. Infatti, sulla base dei contesti stratigrafici libici e della datazione dei bacini inseriti nelle chiese medievali, è stato proposto di rialzare la cronologia di alcune forme della ceramica invetriata tra cui il bacino carenato, prodotto nella Sicilia occidentale entro la fine del XI secolo. Per l’età normanna la continuità col passato risulta evidente, sia per il repertorio morfologico che per i motivi decorativi. Scarti di produzione o fornaci messi in luce da recenti scavi dimostrano che Palermo e Agrigento furono centri di produzione sia di ceramica invetriata – i cui ornati caratteristici comprendono gli elementi a ‘mandorla’, le zoomachie, figure isolate di animali o uomini e la cosiddetta pavoncella, dal corpo campito a reticolo, attribuita ad officine isolane – sia di ceramica comune come le anfore rinvenute nelle volte degli edifici normanni palermitani, in prevalenza scarti di fornace, decorate a bande o, talvolta, con motivi pseudo-epigrafici o le anfore e lo olle prodotte dalle fornaci d’Agrigento. Sempre ad Agrigento, nel corso del XII secolo erano prodotti dei bacini in monocroma verde con decorazione solcata, presenti anche nelle chiese pisane.

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