Vittorio Emanuele Orlando
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Vittorio Emanuele Orlando (Palermo, 18 maggio 1860 - Roma, 1 dicembre 1952), uomo politico e giurista italiano
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[modifica] Biografia
[modifica] Il giurista
Nato pochi giorni dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, figlio di un avvocato, si dedicò con passione agli studi giuridici; nel 1880, non ancora laureato, vinse un concorso indetto dall'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere per uno studio sulla riforma elettorale, tema in quegli anni molto dibattuto, che viene pubblicato con il titolo Della riforma elettorale nel 1881, l'anno precedente a quello in cui la riforma elettorale fu approvata dal Parlamento.
Orlando vi confutava i timori dei conservatori e anche di molti liberali che prevedevano dall'allargamento della base elettorale popolare un vantaggio per i partiti radicali e socialisti da una parte e di quello clericale dall'altro, oltre che un aumento dei fenomeni della corruzione e del voto di scambio. Per lui, l'apporto di nuove idee nella vita pubblica avrebbe potuto avere solo conseguenze positive e giudicava che l'opposizione pregiudiziale a nuovi principi fosse indizio di una calcolata faziosità.
Egli si mostra, in questa sua prima opera, di un liberalismo moderato ma aperto, che si spinge fino al radicalismo cui tuttavia non giunge mai ad aderire: nega che il diritto di voto sia un diritto naturale, si oppone pertanto al suffragio universale e non ritiene che i tempi siano maturi per concederlo anche alle donne; ritiene tuttavia che le minoranze abbiano pieno diritto di rappresentanza parlamentare.
Questo stesso studio gli permette, una volta laureato, di ottenere la libera docenza con la cattedra di diritto costituzionale all'Università di Palermo. Nel 1885 pubblica Della resistenza politica individuale e collettiva, nel 1889 pubblica i suoi Principi di diritto costituzionale e nel 1890 i Principi di diritto amministrativo, assumendo nel 1891 la cattedra nell'Università di Roma.
L'opera dell'Orlando nel campo del diritto costituzionale rimarrà la più avanzata fino alla Costituzione della Repubblica. Egli sostiene che il diritto risiede nel popolo, che è il reale depositario della sovranità nazionale e compito del Capo dello Stato è di garantire che la sovranità rimanga nelle mani del popolo anche se ad avere la funzione di esercitarla è il Parlamento che è chiamato a controllare e giudicare l'attività del governo. Il Parlamento deve farsi interprete dei sentimenti popolari e denunciare gli eventuali "arbitri che in danno della popolare libertà si commettessero" ma se esso tradisse il suo compito, l'Orlando ammette il diritto alla resistenza, fino alla rivoluzione.
Poiché le forme politiche devono sempre corrispondere alla coscienza giuridica del popolo, la rivoluzione è "uno dei modi onde la forza di quei sentimenti giuridici che si vengono formando nella coscienza popolare si manifesta e prevale". Ma prima di giungere all'estrema risorsa rivoluzionaria, esistono forme di resistenza quali si ottengono con l'esercizio dei diritti civili di opinione, di stampa, di associazione, di riunione e di protesta; alla minoranza parlamentare deve essere poi riconosciuto il diritto all'ostruzionismo. Vi sono dunque, nell'Orlando, evidenti echi della teoria settecentesca del diritto di ribellione popolare contro i sovrani che avessero violato il patto idealmente stipulato con i sudditi.
[modifica] L'uomo politico
Nel 1897 viene eletto deputato del collegio di Partinico, vicino Palermo, dove sarà sempre rieletto fino al 1925. Schierato con Giolitti, dovette subito affrontare da parlamentare, nel periodo politico più agitato e pericoloso del Regno, prima dell'avvento del fascismo, il compito di sventare, insieme con socialisti, repubblicani, radicali e giolittiani, mediante il ricorso all'ostruzionismo parlamentare, il tentativo reazionario del Pelloux.
Nel 1903 è ministro della Pubblica Istruzione nel governo Giolitti; dal 1907 regge il dicastero di Grazia e Giustizia che allora aveva anche il compito - in mancanza di rapporti diplomatici - di tenere relazioni ufficiose con la Santa Sede. Alla caduta del governo Giolitti nel 1909 ottenne l'apprezzamento di Pio X, che egli aveva appoggiato nella sua opera di repressione del movimento modernista.
Torna ad assumere un incarico ministeriale - quello di Grazia e Giustizia - nel novembre 1914 con il Gabinetto Salandra, decisamente favorevole all'entrata in guerra dell'Italia a fianco delle potenze dell'Intesa. Orlando, già neutralista, dopo l'intervento si dichiara apertamente favorevole alla guerra ed esalta le violente manifestazioni di piazza del maggio 1915.
[modifica] A capo del governo
Caduto anche il governo Salandra, Orlando è ministro dell'Interno nel successivo Gabinetto Boselli; dopo il disastro di Caporetto, il 30 ottobre 1917 è chiamato a sostituire il debole Boselli. È all'apogeo della sua carriera politica, alla guida del Paese - e mantiene anche il dicastero degli Interni - nella drammatica situazione di guerra.
Una delle sue prime iniziative è telegrafare al maresciallo Cadorna, per riconfermargli la sua fiducia e la sua stima; in realtà aveva già deciso la sua sostituzione col maresciallo Diaz e si ebbe così l'eterna inimicizia del Cadorna.
Con la pubblicazione nella fine del 1917, da parte del governo bolscevico, del testo, fino ad allora segreto, del Patto di Londra, ove si rivelavano gli accordi sulla spartizione dei territori delle potenze nemiche, si crea un ulteriore incidente con il Vaticano, dopo quello creato dal sequestro di Palazzo Venezia, già ambasciata austriaca presso la Santa Sede. La stampa inglese, traducendo malamente il testo dal russo, faceva erroneamente apparire che l'art. 15 del Patto escludesse il Vaticano dalle trattative di pace; l'Orlando voleva autorizzare la pubblicazione del testo di quell'articolo ma il ministro degli Esteri Sonnino si rifiutò.
Il 4 novembre 1918 l'Impero austro - ungarico si arrende; la guerra, costata 600.000 morti e 148 miliardi di lire - il doppio di quanto complessivamente speso dallo Stato unitario dal 1861 al 1913 - era finita.
Orlando si considerò soddisfatto degli esiti politici della guerra: il 15 dicembre 1918 dichiara al Senato che "l'Italia è oggi un grande Stato, non già per virtù di una indulgente concessione diplomatica ma perché essa ha rivelato una capacità di azione e di volere che la pareggia effettivamente ai più grandi Stati storici e contemporanei. È questo, secondo me, il primo e principale ingrandimento...non vi sono solo questioni economiche e territoriali che senza dubbio hanno per l'Italia un'importanza incomparabile ma vi è altresì tutto l'assetto etico e politico del mondo...". Sostenitore del riconoscimento delle nazionalità in opposizione alla politica decisamente imperialistica del Sonnino, alla conferenza della pace tenuta a Parigi nel 1919 con i rappresentanti di Francia, Inghilterra e Stati Uniti, il loro contrasto fu fatale; se Orlando, disposto a rinunciare alla Dalmazia, richiedeva l'annessione di Fiume, Sonnino non intendeva cedere sulla Dalmazia, cosicché l'Italia finì col richiedere entrambi i territori, senza ottenere nessuno dei due.
Il presidente americano Woodrow Wilson lo umiliò pubblicamente in aprile, dichiarando di dubitare che egli avesse la fiducia del suo Paese e che ne interpretasse la volontà: Orlando reagì abbandonando la conferenza. La sua carriera di uomo politico di primo piano finì con le dimissioni date il 23 giugno 1919.
[modifica] L'avvento del fascismo
L'avvento del fascismo vede Orlando tra i suoi benevoli sostenitori: fa parte, con Antonio Salandra e Gaetano Mosca, della commissione incaricata di esaminare il progetto di legge Acerbo, che dava al partito o alla coalizione che avesse ottenuto alle elezioni almeno il 25% dei voti, i due terzi dei seggi parlamentari. Don Luigi Sturzo scriverà a questo proposito:"Vedi la strana sorte di questi illustrissimi uomini di diritto, professori e consiglieri di Stato, quali Salandra, Orlando, Perla e Mosca. Appartenenti alla più pura tradizione liberale e Orlando per di più democratico di razza, sono obbligati a cancellare il loro passato, a dichiarare la bancarotta del liberalismo, a forzare la storia del diritto pubblico, a proclamare il dogma del diritto delle minoranze soverchiatrici, per arrivare a costituire un governo che non è più il governo del Re, né il governo del popolo, ma il governo della fazione dominante vestita della legalità di pseudo - maggioranza...".
È candidato nel "listone" governativo per le elezioni del 1924, ma sostiene di essere rimasto il liberale democratico di sempre; neanche l'omicidio di Giacomo Matteotti lo spinge all'opposizione, alla quale aderisce solo dopo il famoso discorso di Mussolini, il 3 gennaio 1925, "...se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di quest'associazione..." che segna la formale instaurazione della dittatura, con la successiva messa fuori legge dei partiti e gli altri provvedimenti autoritari. Nell'agosto 1925 si dimette dall'ormai inutile incarico di parlamentare.
Nel 1931 rinuncia anche all'insegnamento universitario per non essere costretto a giurare fedeltà al regime ma nel 1935 in una lettera testimonia a Mussolini solidarietà per la sua guerra etiopica. Mussolini, che fa pubblicare dai giornali la lettera privata dell'Orlando, vorrebbe ricambiare l'inatteso riconoscimento con l'offerta della presidenza del Senato ma Orlando rifiuta.
[modifica] Il ritorno della democrazia
Orlando, con altri, fu consultato nel luglio 1943 da Vittorio Emanuele III nella preparazione della defenestrazione di Mussolini e suo è il testo del proclama firmato da Badoglio che annuncia la caduta del fascismo e la continuazione della guerra; appoggiò i governi di unità nazionale ma fu diffidente verso i successivi governi centristi, cui rimproverava di non porre in proprio piano i motivi politici dell'indipendenza e della dignità nazionale. Fece clamore, nel 1947, il suo discorso in occasione del dibattito parlamentare per la ratifica del trattato di pace, in cui accusò De Gasperi di "cupidigia di servilismo".
Senatore di diritto, tenne il discorso d'apertura della prima legislatura della Repubblica italiana. Fece la sua ultima battaglia parlamentare a 92 anni, in opposizione alla riforma della legge elettorale maggioritaria, proposta dalla maggioranza centrista, nota come "legge truffa".
[modifica] Opere
- Della riforma elettorale, Milano, 1881
- Le fratellanze artigiane in Italia, Firenze, 1884
- Della resistenza politica individuale e collettiva, Torino, 1885
- Principi di diritto costituzionale, Firenze, 1889
- Principi di diritto amministrativo, Firenze, 1890
- Teoria giuridica delle guarentigie della libertà, Torino, 1890
- La giustizia amministrativa, Milano, 1901
- Le régime parlamentaire en Italie, Parigi, 1907
- Lo Stato e la realtà, Milano, 1911
- Discorsi per la guerra, Roma, 1919
- Crispi, Palermo, 1923
- Discorsi per la guerra e per la pace, Foligno, 1923
- Diritto pubblico generale e diritto pubblico positivo, Milano, 1924
- Recenti indirizzi circa i rapporti fra diritto e Stato, Tivoli, 1926
- L'opera storica di Michele Amari, Milano, 1928
- Su alcuni miei rapporti di governo con la Santa Sede, Napoli, 1929
- Immunità parlamentari e organi sovrani, Tivoli, 1933
- Diritto pubblico generale, Milano, 1940
- Scritti vari di diritto pubblico e scienza politica, Milano, 1940
- Discorsi parlamentari, Bologna, 2002
[modifica] Bibliografia
- Francesco Parafava, Dieci anni di vita italiana, 1899 – 1909, Bari, 1913
- Luigi Albertini, Venti anni di vita politica, Bologna, 1952
- Paolo Alatri, Vittorio Emanuele Orlando, in Belfagor, Firenze, 3, 1953
- Giuseppe Capograssi, Il problema di Vittorio Emanuele Orlando, in Opere, Milano 1959
- Paolo Grossi, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico: 1860 - 1950, Milano, 2000
Predecessore: | Presidente del Consiglio del Regno d'Italia | Successore: | ![]() |
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Paolo Boselli | ottobre 1917 - giugno 1919 | Francesco Saverio Nitti | I |
Predecessore: | Presidente della Camera dei Deputati | Successore: | ![]() |
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Giuseppe Marcora | 1919 - 1920 | Enrico De Nicola | I |
Dino Grandi | 1944 - 1946 | II |