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La vita è sogno - Wikipedia

La vita è sogno

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La vita è sogno (titolo originale La vida es suẽno) è un dramma filosofico-teologico in tre atti e in versi scritto nel 1635 da Pedro Calderón de La Barca (1600-1681), secondo genio teatrale spagnolo dopo Lope de Vega e anche l'ultima voce del Secolo d'oro.

Indice

[modifica] Trama

[modifica] Primo atto

In un'immaginaria Polonia, sullo sfondo di rupi e montagne rocciose, vive un immaginario re Basilio esperto di astrologia. Egli ha un figlio che alla nascita ricevette strani prodigi. Basilio, temendo che il figlio Sigismondo diventi con il trascorrere degli anni un pessimo principe, lo fa rinchiudere in una torre sperduta in un paesaggio aspro e roccioso. Sigismondo è custodito da Clotaldo, il fido del re, esperto di scienza e di dottrina cattolica. All'inizio del dramma compaiono, in vista alla prigione, Rosaura figlia sconosciuta di Clotaldo e il suo servo Clarino. Clotaldo non conosce la figlia perché egli aveva abbandonato la moglie prima che la bambina nascesse. Rosaura sarà riconosciuta dal padre per mezzo di una spada che la giovane gli consegnerà. Ella era venuta in Polonia in cerca del suo amante, Astolfo di Moscovia, che l'aveva tradita per fidanzarsi con Stella, nipote di Basilio. Rosaura e Clarino si avvicinano alla torre, illuminata da una fioca luce, dove è rinchiuso Sigismondo che incatenato e vestito con semplici pelli si lamenta.

"...Ah, misero me! Ah infelice! Voglio scoprire, o cielo, poiché mi tratti così, quale delitto abbia commesso contro di te, nascendo, sebbene comprenda che un delitto io l'abbia commesso col nascere".

Rosaura, al lamento del giovane si commuove e ha una esclamazione di pietà. Sigismondo, inferocito, cerca di ucciderla ma interviene Clotaldo che chiama immediatamente le guardie e li fa arrestare con l'ordine del re che minaccia di morte chiunque osi avvicinarsi alla torre. Ma quando Rosaura gli consegna la spada egli la riconosce come figlia e decide di rimettere il giudizio al re. Intanto il re Basilio, per il quale è venuto il momento di abdicare e non vuole dichiarare suoi eredi i nipoti Astolfo e Stella, ha rivelato alla corte che esiste un figlio legittimo erede che egli ha imprigionato alla nascita e che ora vorrebbe fare una prova. Fa somministrare a Sigismondo un sonnifero e durante il sonno lo fa trasportare a corte perché al suo risveglio vi comandi e, se lo farà in modo saggio e giusto, sarà il suo successore.

[modifica] Secondo atto

Nel secondo atto si vede Sigismondo alla reggia, attonito tra i musici che cantano e i servi che lo vestono.

"M'aiuti il cielo, che vedo! M'aiuti il cielo, che scorgo!....Dire che sogno è un errore: ben so d'esser sveglio. Non son io Sigismondo? Cielo, disingannami tu: Dimmi che cosa poté accadere alla mia fantasia, mentre dormivo, ch'io, ora, mi trovi qui? Ma sia quel che vuole, chi mi obbliga a pensarci? Voglio lasciarmi servire ed accada ciò che deve succedere".

Sigismondo si affida dunque alla coscienza di sé stesso per convincersi di non sognare. Clotaldo intanto gli racconta la verità e la necessità di afferrarsi a sé stesso, spinge Sigismondo a manifestare la sua natura di essere non fondamentalmente cattivo, ma di individuo abbandonato a sé stesso, vissuto lontano dalla civiltà, in balia delle forze istintive contrastanti.

Secondo infatti il pensiero di Calderón, l'uomo non nasce padrone di sé stesso e quindi libero, ma lo diviene solamente attraverso un difficile percorso di educazione e autoeducazione.

Così Sigismondo, che ora vuole vendicarsi di tutto e di tutti, si comporta in modo superbo e tirannico, vuole uccidere Clotaldo, getta dal balcone un servo e litiga violentemente con Astolfo; solamente davanti a Rosaura, che è stata condotta a corte dal padre, egli si calma restando ammirato dalla sua bellezza. Basilio deve prendere atto che Sigismondo è veramente il mostro che gli astri avevano profetizzato, così lo addormenta nuovamente e lo fa ricondurre in prigione. Svegliatosi nella prigione, Sigismondo deve ammettere che ha sognato, ma l'evidenza di quel sogno, tanto simile alla realtà, fa nascere in lui una certa confusione tra il sogno e la realtà, risolvendosi infine nella certezza d'una verità superiore che diventerà regola per la sua vita futura: tutta la vita è un sogno.

[modifica] Terzo atto

Nel terzo atto alla notizia che al trono è stato designato Astolfo e Stella, il popolo insorge in favore di Sigismondo e lo acclama re. Sigismondo è condotto a corte e lungo la strada incontra Rosaura che gli racconta il mistero della sua vita e gli chiede di vendicarla contro Astolfo. Sigismondo è smarrito perché si rende conto di aver già visto quella fanciulla e ancora si chiede se quello fu sogno o realtà. Molto saggiamente, alla fine, pensa che se tutto al mondo è effimero è inutile perdersi in sterili considerazioni e così, alla testa del suo popolo, egli sconfigge le forze del re, prende le redini del governo e opera con saggezza e giustizia. Perdona il padre, obbliga Astolfo a sposare Rosaura, chiede in sposa la cugina Stella e abbraccia il fido Clotaldo. Alla meraviglia di tutti per il suo nobile comportamento, conclude dicendo:

"Di che vi meravigliate? Di che stupite, se fu mio maestro un sogno e sto tuttavia temendo nelle mie ansie di dovermi svegliare e trovarmi ancora una volta nel mio chiuso carcere? E se pur ciò non avvenga basta il sognarlo soltanto, perché così sono giunto a sapere che tutta la felicità umana infine passa come un sogno...Ed ora voglio farne buon uso per tutto il tempo che mi dura, chiedendo perdono degli errori, poiché è proprio dei nobili cuori il perdonare".

[modifica] Voci correlate

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